Le ondate epidemiche che si sono susseguite nel corso dei secoli, ultima quella del Covid 19, hanno causato un immenso dolore e stravolto la vita delle persone lasciando un segno indelebile nella memoria collettiva. La morte improvvisa e di massa ha generato nei più un clima di terrore e sconforto, alimentando sentimenti di disperazione e rassegnazione e alimentando tensioni sociali ed episodi di violenza.
Un tempo era peggio! Si conoscevano pochissime informazioni sulle cause del contagio e si disponeva di pochi rimedi per contenerlo. Di fronte all’incombente pericolo di morte, le reazioni della popolazione erano varie: alcuni si rifugiavano nella preghiera e nell’espiazione, altri cercavano scampo in eremi e santuari, mentre alcuni sorprendentemente si abbandonavano a piaceri sessuali, come se la fine del mondo fosse imminente.
La peste: una terribile malattia contagiosa
La peste è una malattia conosciuta sin dall’antichità, nonostante l’origine e il modo di diffusione del contagio fossero sconosciuti. Si diffondeva in condizioni di scarsa igiene a causa della presenza di ratti e pulci nelle abitazioni e nelle città. La causa della malattia è il batterio Yersinia pestis, che vive come ospite delle pulci che infestano ratti e roditori. Quando una pulce infetta punge una persona può inoculare il batterio, causando l’infezione.
La peste si presentava in forme molto gravi che solitamente causavano la morte delle persone infette nel giro di 3 o 4 giorni, i più forti resistevano al massimo un paio di settimane, mentre pochissimi sopravvivevano al contagio.
Le conseguenze demografiche e sociali nella Sicilia
L’impatto della peste sulla demografia siciliana fu devastante durante tutto il Medioevo. Si stima che, tra il 1526 e il 1576, circa la metà della popolazione isolana sia stata decimata dal morbo. Intere famiglie vennero spazzate via, interi borghi si spopolarono, lasciando dietro di sé un panorama di desolazione e dolore.
Emersero anche figure eroiche, come medici e religiosi che si prodigarono nell’assistenza ai malati, spesso a rischio della propria vita. Tra questi, ricordiamo il medico Giovanni Filippo Ingrassia, che si distinse per il suo impegno nella lotta alla peste a Palermo e nell’elaborazione di nuovi metodi di cura.
Ma come reagiva la popolazione davanti alla pestilenza?
La testimonianza di Federico del Carretto
Da un manoscritto conservato nella biblioteca Comunale di Palermo, redatto dal nobile agrigentino Federico del Carretto durante l’epidemia di peste che colpì la Sicilia nel 1526, scopriamo come reagì la gente durante il contagio. Quello che sorprende è la perdita della moralità e dei freni sessuali che coinvolse larghi strati della popolazione! Il resoconto del manoscritto riguarda la provincia di Agrigento, tuttavia non molto diversamente deve essere andata in altre città.
Quando l’epidemia esplose nel 1526, con il numero di morti che passò rapidamente da 20 a 100 al giorno, la prima reazione, per chi possedeva proprietà, fu la fuga verso le campagne.
Tuttavia, molti che erano fuggiti dalla città nella speranza di salvarsi, una volta contagiati vi facevano ritorno desiderando morire nelle proprie case. Ma invece di essere accolti dai familiari, numerosi ammalati venivano abbandonati sotto gli alberi in preda di lupi e cani affamati. Così, i corpi degli appestati rimanevano insepolti, finché non si trovava qualcuno disposto a seppellirli, ovviamente non nelle chiese come di consueto, ma in fosse comuni fuori dalle mura cittadine.
Alcuni presi da raptus di follia correvano nudi per le strade finché non venivano immobilizzati e rinchiusi dentro grotte fuori dai centri abitati, dove talvolta trovavano la morte lanciandosi dai dirupi. In questo clima allucinante non esisteva più un organo costituito per mantenere il controllo sociale, per cui non era raro che gente di malaffare, scampata dal contagio, si impossessasse abusivamente delle abitazioni rimaste vacanti, delle cariche pubbliche o dei beni dei defunti.
Ma ciò che sorprende sono i numerosi atti riprovevoli che si verificarono sul piano sessuale!
La perdita di ogni moralità e freno sessuale
Sembra impossibile credere che in mezzo alla morte, alla sporcizia e al rischio di rimanere contagiati, molta parte della popolazione abbia perso ogni freno sessuale oltre che ogni scrupolo umanitario, come ci racconta il cronista!
Alcuni, invece di pentirsi e cercare conforto nella religione, si abbandonarono ai piaceri della carne, convinti dell’imminente fine. Già è noto come i monatti, cioè gli incaricati di portare i malati ai lazzaretti, incuranti del rischio di contagio, spesso abusavano delle donne rimaste sole o delle fanciulle infette ricoverate nei luoghi di cura. Il “liberi tutti sessuale” in questo caso coinvolse anche le persone “per bene”, uomini e donne di ogni estrazione sociale.
Si registrarono in questo modo numerosi casi di adulterio, stupri e incesto, anche da parte di donne considerate precedentemente caste e virtuose. Alcune ragazze giunsero persino a sedurre attivamente gli uomini, spinte da un desiderio irrefrenabile di esperienze sessuali.
Così, alla fine dell’epidemia, dopo circa un anno, la popolazione si ritrovò decimata, molte case abbandonate, uno sconforto generale e, tuttavia, nei mesi seguenti, sorprendentemente, si assistette ad un incremento delle nascite!
Saverio Schirò
Fonti:
- C. Messina – Sicilia 1492-1799 una campionario di crudeltà umane – Editrice L’Orma 2022
- Soares da Silva, Davide: Le epidemie di peste (tra ‘500 e ‘600) e lo sviluppo della scritturalità in Sicilia – Open Access LMU
- La peste nera – Wikipedia
- Epidemie – Fondazione Prospero Intorcetta
- Foto di copertina by Depositphotos.com