Situato nelle vicinanze del Palazzo Reale, nel cuore della Palermo storica, si trova un inconfondibile simbolo di Palermo. Stiamo parlando della Chiesa di San Giovanni degli eremiti, piccola oasi silenziosa le cui cupole arabeggianti svettano nel cielo palermitano.
Sorto nel VI secolo come sede di un monastero gregoriano dedicato a Sant’Ermete, diviene edificio islamico nel X secolo, per poi essere riedificato nel XII secolo dal Re normanno Ruggero II, il quale decide si fondarvi un monastero destinato ai Benedettini. La posizione centrale del luogo, situato a due passi dal fiume Kemonia e nei pressi del Palazzo reale, attira l’attenzione del re, che ne accresce il prestigio affidando vari incarichi all’abate della chiesa, come ad esempio quello di cappellano reale.
Del complesso conventuale che comprendeva la sala del Capitolo, un dormitorio, un refettorio, il cimitero, la chiesa di S. Giovanni e il chiostro, si possono ancora ammirare la chiesa, il chiostro e pochi resti del monastero.
L’origine del nome
Sull’origine del nome del complesso due sono le scuole di pensiero:
- secondo una prima teoria San Giovanni degli Eremiti, trae il suo nome dall’antico monastero di Sant’Ermete, che sorgeva, ai tempi di Gregorio Magno proprio nello stesso luogo dove poi fu edificata la chiesa normanna. Secondo questa teoria, per contaminazione verbale i seguaci di Ermete vennero poi identificati con il termine eremiti;
- una seconda ipotesi lo fa risalire alla definizione dei monaci del monastero, detti romiti per la vita eremitica. E da qui, per assonanza o storpiatura potrebbe essere nato il nome conosciuto oggi.
La struttura: un gioco di cubi, cilindri e sfere in un mix tra cristianesimo e cultura araba
Il complesso di San Giovanni degli eremiti, sia pur tacitamente, custodisce molteplici messaggi nelle sue geometrie che rimandano ai modelli architettonici islamici. Tutta la struttura è costituita da un perfetto mix di solidi: parallelepipedi, cilindri e sfere, rimandanti a significati di antica origine. Il quadrato, elemento generatore, rappresenta la terra, il cerchio, che sia nella cultura islamica che in quella bizantina, rappresenta il cielo, la loro unione da origine alla “qubba”, termine arabo con cui si identifica la cupola.
Sempre connessi all’ideale di perfezione geometrica, troviamo la “sala Araba” a pianta rettangolare e la chiesa, con impianto planimetrico a T, a navata unica orientata ad est. Il chiostro a pianta rettangolare è connotato dalla successione di colonnine binate con capitelli a foglie d’acanto sormontati da archi a sesto acuto marcati da ghiere piatte. Il chiostro è la parte meglio conservata. La cupola, il perfetto emisfero, è ubicata nella campata sinistra del transetto più alta rispetto alle altre ed assolve la funzione di campanile.
Il chiostro
Testimonianza dell’antico convento, ad oggi ancora visitabile è il Chiostro, di datazione problematica, verosimilmente del XIII secolo. Esso ha forma rettangolare, con archi a sesto acuto su colonnine binate. Singolare è la sua collocazione a ovest della chiesa, che con molta probabilità è dovuta alla presenza dei locali del monastero, cronologicamente anteriori.
Il giardino da mille e una notte
Caratteristico del luogo è anche il giardino ottocentesco che circonda il sito, databile alla fine del XIX secolo. Gli alberi esotici rievocano un’atmosfera da mille e una notte; in prossimità della chiesa si aggiungono piante di agrumi, insieme a nespoli, allori e ulivi.
Il segreto delle cupole rosse di Palermo
Le cupole, tipicamente di arte musulmana, oltre ad essere il simbolo di San Giovanni degli Eremiti, sono presenti in altre chiese palermitane risalenti più o meno allo stesso periodo: San Cataldo e San Giovanni dei Lebbrosi. Sebbene il loro colore unico rimandi alla realtà palermitana, le cupole normanne in Sicilia, con molta probabilità, in origine non erano rosse. Con tutta probabilità, in principio erano ricoperte da un intonaco impermeabilizzante, formato da calce, sabbia e frammenti di laterizio. Questo impasto, con il tempo, assunse un colore leggermente rosato che, a contatto con gli agenti atmosferici, presto divenne di colore grigio cinerino. Fu quando iniziarono i primi lavori di restauro che comparve il caratteristico colore presente nell’immaginario collettivo:
Intorno alla fine dell’Ottocento, l’architetto Giuseppe Patricolo, interpretando il ritrovamento di un avanzo di intonaco da lui considerato “rosso cupo”, fece rivestire di intonaco rosso vivo le cupole di San Cataldo e di San Giovanni degli Eremiti. Ciò significa che soltanto dalla fine del 1800, cioè dal 1882, fece la sua comparsa il caratteristico colore che oggi ammiriamo.
Cinzia Testa