Il macabro culto dei morti a Palermo

Tra tutti culti della morte presenti al mondo, quello della Palermo del '600 e '700 era uno dei più macabri, in grado di lasciare a bocca aperta i viaggiatori stranieri. Ecco in cosa consisteva.

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La morte è un concetto che riguarda l’intera umanità, a prescindere dalla storia e dalla cultura di un popolo. Per questo motivo in giro per il mondo si sono sviluppati usi e rituali volti ad esorcizzare la paura verso l’ineluttabile, alcuni un po’ più sobri e tradizionali, altri decisamente più inusuali o addirittura estremi.

Tra tutte le usanze legate al culto dei morti, quello che si poteva osservare a Palermo nel XVII e XVIII secolo era davvero uno dei più macabri e impressionanti, tanto da lasciare a bocca aperta i viaggiatori provenienti da ogni angolo d’Europa.

Prevedeva che i parenti si prendessero cura dei loro cari defunti per decenni, facendo frequenti visite ai loro corpi imbalsamati, parlando con loro e curando addirittura il loro aspetto estetico.

Ecco come si svolgeva la procedura.

Il processo di mummificazione

Dopo i cortei funerari, di cui abbiamo parlato qui, i corpi dei palermitani più benestanti venivano consegnati ai frati cappuccini, che da decenni detenevano i segreti della lunga conservazione dei defunti, attraverso una serie di processi in grado di arrestare il decadimento delle salme tramite una vera e propria imbalsamazione.

Il primo passaggio consisteva nella rimozione degli organi interni. Fegato, viscere, cuore e polmoni venivano asportati e chiusi in contenitori di bronzo, che venivano subito consegnati alla famiglia perché li seppellissero. Se il defunto apparteneva ad una famiglia nobile, che di solito possedeva feudi e proprietà in ogni angolo della Sicilia, questi resti umani venivano mandati lì ed onorati con apposite cerimonie funebri, prima di essere sepolte nei cimiteri o nelle chiese locali.

Il secondo passaggio consisteva nell’immergere il corpo nudo del defunto in uno speciale bagno chimico a base di arsenico oppure a base di calce viva, quest’ultimo altrettanto efficace nell’arrestare il processo di decomposizione, ma talvolta meno preferito perché tendeva a sbiancare il corpo, privandolo del suo colorito naturale.

Al termine del bagno, che durava in genere alcune ore, i corpi venivano adagiati nei colatoi e rinchiusi lì per almeno otto mesi, periodo nel quale avevano tutto il tempo di drenare completamente i liquidi organici.
La procedura di mummificazione si concludeva all’aria, nella bella stagione addirittura all’aperto, nella terrazza del convento. Qui i corpi venivano lasciati a “stagionare” ancora per una ventina di giorni.

Alla fine di questo lungo processo, durato circa 9 mesi, il defunto rinasceva simbolicamente, venendo di nuovo al mondo accolto dalla sua famiglia, perfettamente in ordine e nel suo vestito migliore.

I parenti, a seconda dei mezzi economici di cui disponevano, potevano scegliere se collocarlo in un costosissimo sepolcro privato o lasciarlo esposto nella catacomba, disteso in una bara o in un loculo, o più classicamente appeso ad un gancio e collocato in una nicchia.

Tutto qui? Neanche per sogno.

Lo sconvolgente culto dei morti

Una volta restituito il corpo ai parenti, e stabilita la collocazione della mummia, iniziavano le pratiche più macabre e sconvolgenti (ebbene sì, la mummificazione non era che l’inizio).

La famiglia del morto iniziava, a seconda delle circostanze, a fare visita al congiunto, andando a trovarlo e sedendosi in circolo attorno a lui, chiacchierando normalmente, dandogli notizie dal mondo esterno e talvolta affidandogli preghiere di intercessione.

Si racconta che tutte le preghiere e le suppliche che i vivi affidavano ai morti, venissero raccolte da un cappuccino, fra Benedetto da Corleone, che trascorreva le notti nella catacomba interrogando le mummie una ad una, per poi “inoltrare” le richieste di intercessione alla Madonna.

I parenti più lontani o più distaccati si limitavano a recarsi dal defunto una o due volte l’anno, ma talvolta in caso di parentele strette o perdite dolorose, le visite potevano essere anche quotidiane. Così non era raro recarsi ai Cappuccini e vedere mamme pettinare i capelli al proprio bimbo defunto, oppure uomini applicare balsami e unguenti profumati al corpo della giovane moglie.

Alcuni addirittura cambiavano o rammendavano gli abiti delle mummie, per conferire loro un aspetto sempre pulito e ordinato.

Il culto dei parenti morti infatti includeva una cura anche fisica del corpo, il che spesso ne preveniva ulteriormente il decadimento. Lo testimonia il fatto che quando, dopo anni o generazioni, una mummia smetteva di ricevere visite, il suo aspetto iniziava a sfigurarsi mostruosamente, fino a mostrare solo gli scheletri, che oggi possiamo vedere visitando le catacombe dei Cappuccini.

Potrebbe sembrare strano, ma la possibilità di subire un processo di imbalsamazione e di ricevere le visite dei parenti, alla stregua di una persona viva e vegeta, ai tempi era un vero status symbol, dato che solo i ricchi potevano permetterselo. Altro che auto sportive!

Tutte queste macabre pratiche oggi farebbero inorridire i più, ma in quegli anni erano perfettamente normali, o almeno lo erano a Palermo.

Fonti: D. Mascali-Piombino – Le catacombe dei Cappuccini. Guida storico-scientifica – 2018 – Ed. Kalos
P. Zullino – Guida ai misteri e piaceri di Palermo – 1973 – Sugar Editore

Copertina: Léon Cogniet – Tintoretto che dipinge la figlia morta (particolare)

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Samuele Schirò
Samuele Schirò
Direttore responsabile e redattore di Palermoviva. Amo Palermo per la sua storia e cultura millenaria.

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