L’Autolesionismo comprende tutti quei comportamenti finalizzati ad attaccare intenzionalmente parti del proprio corpo. Permessa principale è che siano atti intenzionali e non comportamenti finalizzati ad attirare l’attenzione su di sé da parte di altri (in questo caso si parla di comportamento isterico).

L’atto più comune con cui si presenta l’autolesionismo è il taglio superficiale della pelle, specie a livello dei polsi, ma esso comprende anche il bruciarsi, infliggersi graffi, colpire una o più parti del corpo, mordersi, tirarsi i capelli e altri gesti che infliggono dolore.
Il suicidio non è il fine dell’autolesionismo, ma tra i due vi è un legame piuttosto complesso poiché di per sé un comportamento autolesionista può essere pericoloso per la vita.
È un problema non poco diffuso tra gli adolescenti e cioè tipico in quel periodo di crescita dove si affacciano forti emozioni, non sempre gestibili da parte di ragazzi ancora privi di quelle strutture neurali deputate alla capacità decisionale. Ma è un problema diffuso anche nella fascia di età adulta, in soggetti con disturbi della personalità o in soggetti con sindrome depressiva.
Quali le ragioni che inducono all’autolesionismo
In ogni caso possono essere svariate le ragioni che determinano un comportamento autolesionista:
1. Fuga da problemi di tipo relazionale o di ordine pratico (crisi economiche, disoccupazione, dipendenze ecc). In questo caso il soggetto incapace di gestire i problemi rifugge in tali pratiche per deviare l’attenzione su altro, e cioè sul proprio corpo.
2. Incapacità a gestire emozioni dolorose o di rabbia e delusioni. In questo secondo caso il soggetto ha necessità di incanalare le sue emozioni sul proprio corpo come valvola di sfogo per non sentirsi scoppiare dentro.
3. Desiderio di punirsi. In questo terzo caso il soggetto vive una condizione di colpa (reale o percepita) e incapace di gestirla, si procura dolore per punirsi, per espiare le sue colpe attraverso la sofferenza fisica.
4. Necessità di sentirsi “vivi”: in questo caso si nasconde una sindrome depressiva tipica di chi, vivendo uno stato di mancanza di emozioni, di apatia, ritrova attraverso il dolore fisico il contatto con se stesso.
Dipendenza quale circolo vizioso
Comune denominatore di tali comportamenti è la “dipendenza”. Ovvero si finisce col creare un vero e proprio circolo vizioso dove l’autolesionismo diviene un rituale “terapeutico” dal quale diventa difficile uscirne.
Chi soffre di questo disturbo ha bisogno di aiuto, possibilmente di una persona qualificata che attraverso un percorso terapeutico fornisca strumenti per gestire le emozioni e fermare la dipendenza.
Chi vive una relazione di qualsiasi tipo con un autolesionista può sicuramente aiutare la persona a gestire il problema. Prima cosa da fare è ascoltare e promuovere il dialogo empatico e confidenziale: senza mostrare quelle che sono le proprie emozioni (incredulità, paura, rabbia, dolore) e senza giudizio e critica. Si può far in modo che il soggetto possa identificare una figura alla quale rivolgersi quando è in preda all’istinto autolesionistico. Instauratasi tale relazione di fiducia, bisogna invogliare il soggetto a rivolgersi a centri specializzati per la cura e il sostegno. (leggi l’articolo Psicologia positiva: un percorso di miglioramento personale)

Resta fondamentale rimanere vigili e soprattutto non diventare ossessivi controllori, in quanto si potrebbe generare un comportamento di fuga e chiusura con aggravamento del disturbo stesso. Dunque comprensione, ascolto, sostegno e guida. Ma soprattutto affetto, amicizia e amore non devono mai mancare in ogni relazione di aiuto che possa definirsi tale e che possa davvero funzionare.
Ovviamente ogni individuo ha la sua storia e rimane fondamentale per chi è vicino a tali persone capire che non bisogna giudicare e anzi è necessario dare fiducia e far sì che essi chiedano aiuto. Ricordiamoci che ogni dipendenza si cura riducendo il numero di episodi lesivi: ogni volta che avrete evitato un atto di autolesionismo, avrete dato un contributo per la guarigione.
Tea Fabiana (Psicologa)
teafabiana73@gmail.com
Molto interessante. Sì, anch’io conosco persone che hanno questo problema e mi rendo conto anche dei motivi che possono averlo causato e soprattutto dell’atteggiamento da assumere con queste persone. Questo articolo mi è stato davvero utile. Grazie