Nella chiesa di S. Giorgio dei Genovesi a Palermo c’è una lapide dedicata a Sofonisba Anguissola, posta a sua memoria dal marito, il nobile genovese Orazio Lomellini, dopo la morte della moglie ormai plurinovantenne. Questa donna non era siciliana, eppure dobbiamo essere fieri di custodire le sue spoglie nella nostra città perché, al di là del talento che la distinse, lei fu la prima donna ad avere il coraggio di esercitare un mestiere fino ad allora interdetto al mondo femminile. E per questo merita tutto il rispetto e il riconoscimento che purtroppo non sempre è stato adeguato.
Chi era Sofonisba Anguissola?
Non era bella Sofonisba Anguissola, pensate che venne data in sposa quando aveva ormai 41 anni e per questo non ebbe figli, tuttavia doveva essere buona e gentile tanto da entrare nelle grazie di chi la conobbe e la frequentò. Ma ancora di più fu una grande artista che riuscì a rendere vivi e reali i personaggi che dipinse, e con la forza e lo spessore della sua personalità, che andava ben oltre la sua bravura di pittrice, aprì la strada ad altre donne che dopo di lei, tra mille difficoltà, provarono ad emanciparsi in un mondo che al talento delle donne non lasciava alcuno spazio.
Sofonisba nacque a Cremona, probabilmente il 2 febbraio del 1532, da Amilcare Anguissola e Bianca Ponzoni, entrambi di famiglia benestante. Primogenita di sette figli: sei femmine e finalmente il settimo, maschio!
Ora, bisogna capire che in passato il ruolo femminile era subalterno rispetto a quello maschile, soprattutto nel campo del sapere, dell’arte, della musica. Le donne erano relegate all’interno della famiglia, prima come figlie da dare in sposa o inviare in convento per evitare l’onere della dote, e poi come madri dedite al governo della casa.
Il mondo della pittura ancor di più era interdetto al mondo femminile. I ragazzi andavano “a bottega” per apprendere l’arte cominciando praticamente da garzoni; si dipingeva dal vero, dunque con modelle e modelli spesso nudi o quasi; a volte si doveva viaggiare per accogliere commissioni o comunque per fare sopralluoghi. Insomma cose impossibili per una ragazza del Cinquecento. Per questo non sono note donne pittrici nella storia dell’arte fino al Cinquecento, tranne rarissime eccezioni: qualche figlia d’arte che si esercitava nella bottega del padre o qualche suora dedita a miniature e nature morte.
Sofonisba Anguissola fu la prima donna pittrice riconosciuta a livello internazionale.
Il merito va senz’altro alla sua bravura come artista e al suo coraggio nello sfidare questo mondo così apertamente ostile alle donne. Ma un grande riconoscimento va dato al padre che non solo avviò tutte le sue figliole allo studio della letteratura, della pittura e della musica, ma divenne il primo promotore della figlia che mostrò più talento delle altre.
D’altronde le condizioni economiche della famiglia non consentivano di provvedere a sei doti per le figlie (Elena da lì a poco sarebbe entrata in convento) per cui si capisce che la pittura doveva essere una professione e non un semplice passatempo. Sofonisba col suo lavoro avrebbe dovuto aiutare materialmente la famiglia per il suo sostentamento. Cosa che regolarmente fece anche se in alcuni periodi della sua attività in quanto donna non poté percepire denaro ma solo doni, benché preziosi.
Così, nonostante per i tempi fosse inconsueto, se non azzardato, il padre assecondò le doti artistiche che le ragazze mostrarono sin da giovanissime e mandò Sofonisba e la sorella Elena a fare esperienza nella scuola del famoso ritrattista Bernardo Campi e in seguito presso Bernardino Gatti detto il Sojaro.
La ragazza mostrava di avere talento e il padre fece opera di marketing inviando ad amici, conoscenti e perfino all’ormai anziano Michelangelo, opere e lavori eseguiti dalla ragazza, cosicché ben presto Sofonisba venne conosciuta, apprezzata e ricercata come “pittrice egregia”.
Sofonisba Anguissola ritrattista ufficiale della corte spagnola
Ancora giovanissima, entrò nelle corti della nobiltà lombarda per ritrarre le nobildonne dei Gonzaga di Mantova e degli Estensi di Ferrara fino all’invito, nel 1559, alla Corte di Spagna di Filippo II, come dama di compagnia della regina Elisabetta di Valois, di cui fu amica e confidente. Divenne in questo modo ritrattista della famiglia reale. La giovane regina Elisabetta ancora giovanissima morì di parto soli ventitré anni, lasciando due figlie ancora piccole di cui Sofonisba si impegnò ad occuparsene.
Rimase in Spagna fino al 1573, quando Filippo II volle darle “una sistemazione”: la munì’ di una discreta dote e la diede in sposa al nobile siciliano Fabrizio de Moncada, governatore di Palermo, principe di Paternò. Il matrimonio avvenne per procura a Madrid e la pittrice, ormai quarantenne, tornò in Italia, stabilendosi a Paternò con lo sposo nel palazzo di famiglia.
Non si conoscono lavori eseguiti in questo periodo, e forse Sofonisba dovette occuparsi più che altro della gestione dei feudi che non rendevano abbastanza e a peggiorare la situazione fu la morte del Moncada nel 1578, vittima di un atto di pirateria mentre si recava in nave in Spagna.
In ricordo del suo soggiorno siciliano e del marito, la pittrice lasciò in dono ai frati francescani di Paternò una bella Pala d’altare: la Madonna dell’Itria”.
Dalla Sicilia a Genova e poi a Palermo
L’anno successivo si imbarcò per ritornare a Cremona e durante il viaggio in mare conobbe il capitano Orazio Lomellini, nobile genovese vedovo e con un figlio: i due si innamorarono e si sposarono trasferendosi a Genova.
Benché oggi risulta poco comprensibile, anche un matrimonio per amore a quei tempi era un atto di emancipazione per una donna. I matrimoni per lo più erano “combinati”, specie tra i nobili, e le ragazze non avevano possibilità di scelta ed in ogni caso dovevano ottenere il benestare del padre o, in mancanza di questo, di un fratello.
In Liguria rimase per quasi trentacinque anni, lavorando molto nella specialità della ritrattistica finché, nel 1615, quindi quando aveva più di ottanta anni, insieme al marito, si trasferì definitivamente a Palermo.
Era il 12 luglio del 1624 e Palermo era schiacciata dall’epidemia di peste. Sofonisba Anguissola aveva 96 anni ed era ormai quasi cieca quando ricevette la visita del giovane pittore fiammingo Antoon Van Dyck, già famoso per essere il pittore ufficiale della corte spagnola e chiamato a Palermo dal viceré Emanuele Filiberto di Savoia desideroso di farsi ritrarre da lui. Il giovane artista era emozionato nel conoscere di persona quella “signora Pittrice” di cui conosceva le opere di Genova e Madrid. Ne lasciò un ritratto a penna ed una breve descrizione in cui la descrive come “cortesissima, lucida e con la mano ferma”, e benché ormai priva della vista, prodiga a dare consigli e indicazioni sul come prendere la luce e addolcire le rughe della vecchiaia.
Sofonisba morì a Palermo il 16 novembre 1625, e venne sepolta nella Chiesa di S. Giorgio dei Genovesi dove una lapide posta a sua memoria dal marito recita:
“Alla moglie Sofonisba, del nobile casato degli Anguissola, posta tra le donne illustri del mondo per la bellezza straordinarie doti di natura, e tanto insigne nel ritrarre le immagini umane che nessuno del suo tempo poté esserle pari, Orazio Lomellini, colpito da immenso dolore, pose questo estremo segno di onore, esiguo per tale donna, ma il massimo per i comuni mortali”.
Saverio Schirò
Per approfondire:
- Adriana De Angelis, Quella sublime capacità di fissare un attimo interiore quasi insignificante. Sofonisba Anguissola e il ritratto femminile nel Rinascimento, 2019, La donna nel Rinascimento. Amore, famiglia, cultura, potere Atti del XXIX Convegno internazionale Chianciano Terme/Montepulciano, 20/22 luglio 2017
- Carla Almirante, Sofonisba Anguissola in Miti e altre storie, Centro Internazionale di Studi sul Mito (CISM)
- Anna Banti, Quando anche le donne si misero a dipingere, Ed. Abscondita Milano 2011
- Sofonisba Anguissola, in Treccani.it
- Sofonisba Anguissola, in Wikipedia.org
- Immagini by wikipedia.org (dominio pubblico)
Mis disculpas. En otro comentario le sugería incluir el conmovedor texto de la lapida de Sofonisba. Ahora que no sólo el texto, sino que ha incluido la biografía de la gran pintora, cada vez más reconocida. Como suele ocurrir con las mujeres, ha permanecido un tanto olvidada. Varias obras suyas del museo del Prado en Madrid se atribuyeron a Pantoja de la Cruz, pintor real, y al Greco.
En lo que podríamos discrepar es en lo que dice que no era hermosa. En varios autoretratos de su juventud nos aparece una mujer muy hermosa. También debió parecerse a su segundo marido, mucho más joven que ella ( infrecuente en aquel siglo….y ahora). En la lapida escribió “situada entre las mujeres del mundo por su belleza….sus extraordinarias cualidades naturales.. “. Muchas mujeres desearían un epitafio similar.
Gracias por su comentario, incluiré el texto de la lápida en el artículo, y en cuanto a sus cualidades estéticas, son ciertamente irrelevantes comparadas con sus cualidades artísticas.