La chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, nota come “la Martorana”, fu fondata nel 1143 per volere di Giorgio d’Antiochia, il grande ammiraglio siriaco al servizio del re normanno Ruggero II.
L’attiguo monastero, fondato nel 1194, fu invece voluto dalla nobildonna Eloisa Martorana per le “nobili signore dell’ordine di San Benedetto”.
L’edificio conventuale era sormontato da una loggia, detta anche “veduta” o “vista”, chiusa da barocche grate dietro le quali le misere monachelle avevano modo di osservare i beni e le lusinghe del mondo.
Non tutti i monasteri, però, si affacciavano direttamente sul Cassaro (l’attuale Via Vittorio Emanuele) che, a quel tempo, era la strada più frequentata ed elegante di Palermo.
I complessi monastici, siti nei pressi del Cassaro, pertanto, cominciarono a realizzare tortuosi camminamenti al di sopra dei tetti degli edifici limitrofi, sino a raggiungere apposite logge poste sui palazzi privati, prospicienti la strada. Da questa “rigorosa consuetudine” non si distacca il monastero delle monache della Martorana, che non potendo godere di questo privilegio per via della scomoda posizione e per la presenza di monumentali ostacoli individuati in Piazza Bellini e Piazza Pretoria, non fu in alcun modo disposto a rinunciare alla “nobile veduta” sulla mondana strada.
“Nell’anno di grazia 1765, le monachelle della martorana, dopo aver acquistato alcune case limitrofe al monastero, diedero inizio alla costruzione di una tortuosa strada sotterranea, scavata nel tufo calcareo che, costeggiando la vicina chiesa di S. Giuseppe dei Teatini, raggiungeva per mezzo di una scala a chiocciola la loggia sul palazzo Guggino”.
Le monachelle, infatti, ingegnarono, secondo quanto ci riferisce il Villabianca, un macchinoso camminamento che non sopraelevava gli edifici ma che li sottopassava per giungere direttamente a Palazzo Guggino, situato nel cuore della città, direttamente su Piazza Vigliena o “quattro canti di città”.
L’essere escluse da questo privilegio, che costituiva anche l’unico legame con il mondo esterno, sarebbe stato infatti una grande umiliazione per le “nobili signore di Santa Maria dell’Ammiraglio”.
Quando però, nella seconda metà del secolo scorso, venne abbassato il livello stradale della via Maqueda per raccordarlo con quello del Cassaro, fu “riscoperta”ed in parte distrutta “la strada sotterranea”, utilizzata dalle “mondane” monache della Martorana e della quale si era ormai perduto ogni ricordo.
Sul ritrovamento della galleria sotterranea si cucirono numerose e piccanti storie che avevano sempre come protagoniste le ardite monachelle della Martorana, le quali percorrendo la insolita strada sotterranea potevano facilmente raggiungere vicini conventi, in cui consumare travolgenti passioni notturne. Ma questo rientra solamente nel malevole e infondato “gossip” del tempo. Certamente, invece, da quanto attestano le fonti, grazie al sottopassaggio, le monache di Santa Maria dell’Ammiraglio potevano finalmente affacciarsi sul Cassaro, curiosare all’esterno del chiostro e certamente rimpiangere, ancora una volta, quella vita alla quale, non sempre di propria volontà, si erano sottratte. Le discusse e chiacchierate suore della Martorana sono note, ancor più che per questo aneddoto di pura vita “mondana”, per avere inventato una delle specialità dolciarie più famose di Palermo: la pasta Riali (reale), di mennule (di mandorla) o più comunemente chiamata, appunto, Pasta di Martorana.
Il monastero della Martorana delle “nobili signore dell’ordine di San Benedetto” arcinoto, infatti, per i suoi “frutti” di pasta di mandorle, confezionava frutta di pasta reale di ogni tipo, cercando di imitare alla perfezione quella naturale.
Una tradizione orale ricorda un aneddoto curioso e molto interessante. Nel giugno 1537 Carlo V visitò il giardino del monastero, ricco di alberi di aranci di cui le “nobili signore” andavano fiere, ma che, visto il periodo, erano sprovvisti di frutta. Pertanto le monache, per dare l’idea di un giardino curato, realizzarono con la pasta di mandorle, “succose” arance e frutta di varia stagione, che colorata e appesa agli alberi del chiostro del loro monastero dava al giardino un effetto più vistoso e bello. Nonostante quegli alberi avessero inaspettatamente “fruttificato tutti contemporaneamente”, le ingenue monache di Santa Maria dell’Ammiraglio furono contente di aver burlato comunque il buon re che, incredulo, rimase stupito da anta abbondanza.
Dopo la soppressione delle corporazioni religiose, avvenuta nel 1866, l’attività e la produzione dolciaria del monastero della Martorana cessarono completamente e le specialità delle “nobili signore” di Santa Maria dell’Ammiraglio divennero patrimonio dei pasticceri della città. All’epoca, infatti, questo dolce ebbe talmente tanto successo che superò le mura del convento fino ad arrivare alla corte del re, diventando così, in quel momento, “pasta Riali” (pasta reale). Era un tipico e originale dolciume consumato durante la commemorazione dei defunti e per il Natale, anche se oggi è reperibile in ogni stagione, ed è considerata una vera e gustosa opera d’arte della pasticceria siciliana.
Sabina Buccheri
Tratto da: La Palermo delle donne di Claudia Fucarino
Ecco perché si chiama frutta di martorana!! Grazie per questa storia.
…..grazie…non conoscevo la storia delle monache della martorana…molto bella.