Tra le numerose leggende siciliane, una delle più misteriose riguarda la Monacella della Fontana. Questa figura mitologica ha origini antichissime, riconducibili alle antiche leggende ellenistiche e romane.
Questo oscuro personaggio si dice che appaia nei pressi di fontane e sorgenti d’acqua, nelle quali tuffandosi si dissolve. Ma di chi si tratta?
La leggenda della Monacella della Fontana
La misteriosa Monacella della Fontana, è una figura ricorrente nella mitologia siciliana. Si tratta di una cosiddetta ninfa d’acqua, quella che i greci chiamavano Naiadi e i romani Ondine, alle quali, a seconda delle circostanze, venivano attribuiti poteri positivi o negativi per chi vi si fosse imbattuto.
Questa ninfa siciliana viene descritta come una giovane monaca dalla pelle pallidissima, che appare nei pressi di fontane e sorgenti d’acqua. Indossa tre abiti, uno sopra l’altro. Il più esterno è nero e più corto degli altri. Il secondo è turchese mentre l’ultimo, più lungo, è giallognolo. Il capo è ricoperto da un soggolo candido (il tipico velo monacale di origine medievale che avvolge il viso ricoprendo collo e testa).
Si dice che appaia tre volte l’anno, ovvero i primi tre martedì di giugno, sempre accompagnata da un cane. In mano porta un canestro pieno di fiori e di monete d’oro, che offre a chiunque la incontri, ma ad una condizione: entrare insieme a lei nella fonte.
Cosa accada ai fortunati o malcapitati di turno non è ben chiaro. Qualcuno dice che chi entra nell’acqua per prendere il tesoro non fa più ritorno, altri invece sostengono che la monachella renda effettivamente ricchi, ma prendendo in cambio l’anima di chi accetta il suo denaro.
Quali che siano le sue condizioni, questa fanciulla è stata vista in molte fonti sparse in tutta la Sicilia. A Palermo molti dissero di averla incontrata tra le fontane della Zisa, tanto da crederla la figlia perduta di un re normanno.
La testimonianza di Pitrè

Tra le varie fonti che raccontano questa storia, una delle più interessanti la dobbiamo all’etnologo palermitano Giuseppe Pitrè, che nei suoi scritti riportò il racconto dell’ultimo incontro noto con la Monacella della Fontana.
Il primo martedì del mese Maruzza, una giovane ragazza siciliana (forse di Chiaramonte Gulfi) fu mandata dalla madre a prendere dell’acqua. Erano le prime ore del giorno e bisognava fare il pane prima che spuntasse il sole, in modo che il padre potesse portarlo con sé in campagna alle prime luci dell’alba.
Giunta alla fonte la ragazza si stupì nel vedere una giovane monaca con un cane, che stava lì tutta sola. Si domandò se non fosse fuggita dal convento, tuttavia credendola assorta in preghiera, non le disse nulla, e presa l’acqua si voltò per tornare a casa. Fu allora che la monaca la chiamò: «Maruzza, vieni qui».
Le presentò la cesta piena di fiori e monete d’oro e la invitò a prendere tutto ciò che voleva. Fu allora che Maruzza si ricordò del racconto della Monacella della Fontana, che da secoli si tramandava tra le famiglie contadine. Presa dal panico scappò, ma la monaca le gridò: «Sciocca, di che temi? Io voglio fare la tua fortuna. Vieni qui il martedì che viene e avrai di che ringraziarmi».
Tornata a casa la giovane raccontò l’episodio alla madre, che la sgridò e la picchiò, per aver lasciato andare una simile fortuna. La furia della donna si placò solo quando Maruzza le riferì la possibilità di incontrarla nuovamente, una settimana dopo.
Così il martedì successivo, Maruzza fu costretta dalla madre a tornare alla fonte. Lì l’aspettava la monaca.
«Venisti o Maruzza?» disse appena la vide. «Perché ti spauri di me? Io voglio farti ricca. Ebbene: lo vuoi il danaro?». La ragazza inizialmente accettò l’offerta, ma all’invito di entrare con lei dentro l’acqua, la paura di perdere l’anima prese il sopravvento, e nuovamente la spinse a scappare.
«Sciocca! Tu perdi la tua fortuna. Ti aspetto l’altro martedì; ma sarà per l’ultima volta».
Tornata a casa Maruzza non riuscì a proferire parola, tanto che la madre dovette frugarla per capire se avesse preso o meno il denaro. Non avendo trovato nulla di nuovo si infuriò e la picchiò, costringendola a tornare di nuovo alla fonte la settimana dopo.
Giunto il terzo martedì la ragazza si preparò all’incontro. Si ricoprì le gambe e il petto di immagini sacre, indossò l’abitino della Madonna del Carmine e con il rosario in mano si avviò verso la sorgente. Camminando, pregava Dio e i santi di proteggerla e di darle la morte nel caso in cui fosse stata costretta a commettere peccato.
Anche questa volta la Monacella della Fontana la stava aspettando: «Benvenuta, Maruzza. Ci vieni con me dentro la grotta donde scaturisce quest’acqua?».
La ragazza annuì.
«Togliti, dunque, d’addosso l’abitino e il rosario».
A queste parole la ragazza invocò un aiuto divino e subito cadde svenuta e colta da un’improvvisa malattia, che quasi la uccise.
Maruzza guarì miracolosamente qualche tempo dopo e la madre si pentì, capendo che la sua avidità aveva messo in pericolo la vita dell’amata figlia.
Fonti: G. Pitrè – Usi e Costumi, Credenze e Pregiudizi del Popolo Siciliano
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