I pupazzi di Mastressa: Storia di un inganno archeologico

Intorno al 1867 il noto archeologo siciliano Cavallari, si imbattè in quella che appariva come una grande scoperta. In realtà stava per cadere in una elaborata truffa.

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Intorno al 1867 a Mastressa, nei dintorni di Taormina, uno dei più noti archeologi siciliani si imbatté quasi per caso in quella che sembrava una scoperta archeologica di enorme importanza. Un contadino del luogo gli raccontò di essersi imbattuto in delle antiche tombe nelle quali aveva rinvenuto una grande quantità di sculture.

Si trattava in realtà di una truffa in piena regola, anche se ci vollero diversi anni prima di fiutare l’inganno e di rimuovere (non senza imbarazzo) i pezzi dalle teche di importanti musei, tra cui il British Museum di Londra.

Scopriamo questa curiosa storia.

Una sensazionale scoperta

Francesco Saverio Cavallari – Ph. Davide Mauro via Wikipedia

Uno dei protagonisti di questa vicenda è l’architetto palermitano di fama mondiale Francesco Saverio Cavallari, massima autorità nel campo dell’archeologia siciliana, nonché Direttore della Commissione per le Antichità e Belle Arti di Sicilia.
Questi raccontò che mentre si trovava nelle campagne vicino Taormina, si imbatté in una piccola casa di campagna di recente costruzione, ma per la quale erano stati utilizzati mattoni di chiara origine antica, forse greco-romana, che dovevano essere stati rinvenuti nei terreni circostanti e opportunamente riutilizzati.

Per un archeologo questa può essere un’informazione preziosa, perché il ritrovamento di tali oggetti in una zona agricola potrebbe essere il preludio al ritrovamento di altri preziosi reperti effettuando scavi nelle vicinanze.

A tal proposito decise di parlarne ad un collega del luogo, l’architetto Buonadonna, il quale gli riferì che proprio in quella zona un contadino aveva rinvenuto una gran quantità di sculture, definite dallo stesso Buonadonna come “insignificanti”, visto il loro aspetto grezzo ed infantile.
Cavallari volle comunque vedere le statue e parlare con il contadino, Gaetano Moschella il quale, visto il vivo interesse mostrato dall’archeologo, ricamò un’elaborata storia su come si era imbattuto in alcune tombe murate e di come ci avesse trovato dentro moltissime figure scolpite nella pietra.

Quando le vide Cavallari si illuminò. Le figure, per quanto rozze, dovevano essere frutto di un’arte preistorica, il corredo funerario di un antichissimo popolo precedente ai tempi della Magna Grecia, come testimoniavano le incisioni scritte in un alfabeto incomprensibile.

Tornò subito a Palermo, dove fece rapporto di questo ritrovamento alle autorità competenti e sollecitò l’acquisto immediato dei reperti perché fossero collocati nel Regio Museo (oggi Museo Salinas).

Questo in effetti avvenne e le strane sculture vennero presto esposte al pubblico, e non solo a Palermo.
Già in quegli anni Taormina era meta di viaggiatori facoltosi provenienti da tutta Europa, soprattutto da Germania e Inghilterra. Non sappiamo in quale circostanza, la storia di questi ritrovamenti arrivò ad alcuni artisti e collezionisti stranieri, i quali furono convinti dal contadino Moschella ad acquistare alcune sculture, che divennero parte di importanti collezioni private e pubbliche. Le esposizioni più note avvennero nell’Istituto Archeologico Germanico di Roma e al British Museum di Londra.

La verità sui pupazzi di Mastressa

Pupazzi di Mastressa
Uno dei “Pupazzi di Mastressa” – da R. La Duca: Cercare Palermo vol. 1

Risalire alla verità sulla vicenda non è semplice, ma la cosa certa è che nonostante l’autorevole opinione del Cavallari, in grado di convincere anche i più scettici studiosi siciliani, ad un’analisi approfondita apparve evidente che le statue non erano che una banale imitazione, quasi puerile per certi versi, probabilmente opera dello stesso Gaetano Moschella in combutta con altri complici (vista la grande quantità di sculture e l’evidenza che non tutte le statue erano state realizzate dalla stessa mano).

Scoperta la truffa il museo di Palermo si affrettò a rimuovere la gran quantità di pezzi esposti, ricollocandoli nei magazzini, dato che essendo beni acquistati dallo stato e regolarmente inventariati non potevano essere distrutti o gettati via.
Anche gli altri musei fecero lo stesso, rietichettando i reperti come “falsi”.
I preziosissimi reperti vennero presto dispregiativamente rinominati i “Pupazzi di Mastressa”, sottolineandone l’insignificanza storica.

Il grande imbarazzo causato dalla vicenda fece sì che non se ne parlasse più e che se ne perdesse ogni memoria non derivante dai documenti ufficiali.

Resta da capire se effettivamente Francesco Saverio Cavallari restò vittima di un grosso abbaglio professionale, oppure se abbia voluto approfittare della sua indiscussa fama per trarre anche lui profitto dall’opera di Gaetano Moschella, che tutto era meno che l’ingenuo contadinotto che aveva voluto impersonare.

A noi non rimane che una curiosa storia da raccontare ed un mucchio di strane sculture sepolte in quella che adesso è la loro tomba, i magazzini del Museo Salinas.

Leggi anche: Le Misteriose Piramidi dell’Etna


Fonti: R. La Duca – Modì: uno, nessuno, centomila – Giornale di Sicilia – 19 Settembre 1984
F. Frisone – Gaetano Moschella e i falsi archeologici del Museo Salinas di Palermo – Osservatorio Outsider Art, 16, 2018

Foto Copertina: Marcello Costa via Fame di Sud

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Samuele Schirò
Samuele Schirò
Direttore responsabile e redattore di Palermoviva. Amo Palermo per la sua storia e cultura millenaria.

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