Una terribile epidemia colpì Palermo nel 1575, precisamente la mattina del 9 Giugno, quando, nel quartiere di San Domenico si trovò una donna morta e dopo di lei anche un uomo, un mercante di tappeti, un certo capitano di un brigantino proveniente dalla Barbaria, che aveva avuto con lei rapporti sessuali. Non si trattava di delitti passionali, ma dei primi casi di peste a Palermo.
Riferiscono i Diari di Palmerino e Paruta, i due storici palermitani:
“l’innamorato di detta donna e tutti di casa di una febbre con certi vozzi all’ancinagli, l’uno imbiscandola all’altro”
(L’innamorato di questa donna e tutti a casa con la febbre e certi rigonfiamenti agli inguini, l’uno contagiando l’altro)
La peste, la temibile “morte nera”
La peste è malattia conosciuta fin dall’antichità. Privi di rimedi adeguati uccideva così tante persone da assumere l’appellativo di “Morte nera”. Nel 1350 fu così devastante da causare la morte di un terzo della popolazione europea nel giro di 5 anni e da allora e per almeno tre secoli successivi si ripresentò ciclicamente ogni circa 10 anni.
Si diffondeva laddove si manifestavano condizioni di scarsa igiene e le abitazioni e le città erano infestate da ratti e pulci. Infatti la causa di questa malattia è un batterio, Yersinia pestis, che vive come ospite delle pulci che infestano ratti e roditori. Se la pulce infetta punge una persona può inoculare il batterio causandone l’infezione. La malattia si presenta in tre forme molto gravi: la peste polmonare che si trasmette da persona a persona attraverso l’aria ed è quindi la forma più pericolosa. Questa può essere primaria o essere il peggioramento delle altre due forme, quella bubbonica, così chiamata per gli ingrossamenti delle ghiandole linfatiche, e la peste setticemica quando il batterio si moltiplica nel sangue del malcapitato. L’incubazione della forma polmonare dura da uno a tre giorni ed è caratterizzata da una polmonite acuta che si manifesta con febbri, mal di testa, debolezza, e un rapido compromissione dei polmoni, con i suoi sintomi caratteristici: respiro corto, dolori toracici e tosse. Il tasso di morte nei pazienti con peste polmonare è del 50 per cento.
La peste a Palermo, l’epidemia del 1575
La peste dilagava a Palermo e ben presto colpì tutta la Sicilia, specialmente le città che si affacciavano sul mare, perché più facilmente raggiungibili dalle navi. Furono chiuse le porte della città e i varchi delle due sole porte aperte, erano altamente controllate per evitare che i contagi aumentassero.
In tutte le case c’era gente che moriva. Allora il Senato palermitano, decise di chiamare a consulto un gran medico di quei tempi, il Dott. Gian Filippo Ingrassia che insieme ad una equipe di colleghi studiarono il rimedio per bloccare la terribile virulenza.
E’ a questo luminare che Palermo deve la sua riconoscenza per la salvezza, al suo ammirabile intelletto e al suo prodigarsi per abbattere questo mostro che era la peste.
Passarono ben 11 mesi di lotta prima che la peste si debellasse del tutto. Palermo perse circa 3100 persone.
Inizialmente i contagi a Palermo avvenivano lentamente tra la gente del popolino per cui si attribuiva la responsabilità ai contatti promiscui con le prostitute, ma quando l’epidemia si diffuse da Sciacca, Palazzo Adriano, Palermo e Messina, si riconobbe essere stata veicolata da una nave, dai tappeti che trasportava in cui il morbo aveva un periodo di incubazione. Da queste intuizioni, Ingrassia organizzò una quarantena così radicale che mirasse ad isolare i portatori del male dai sani.
Nelle sue osservazioni epidemiologiche trasse la conclusione corretta che il contagio prediligesse certe persone per predisposizione personale peggiorata dalle condizioni igieniche a anche alimentari. Per questo sostenne la necessità di bonificare le paludi del Papireto e nel contempo recuperare fondi per sostenere le persone più indigenti.
L’azione fu portata avanti con energia e intransigenza: i malati infetti vennero barricati dentro casa, vennero chiusi il convento di San Francesco e quello di San Domenico, in quanto i frati si infettavano l’uno con l’altro. La città era un inferno, roghi dappertutto, perché per ordine dei medici, roba, letti, materassi della gente appestata dovevano essere bruciati. Dolore e disperazione nelle famiglie che si vedevano morire da un giorno all’altro.
Delinquenza e teppismo non mancarono, vennero sorpresi ladri che rubavano cose infette e gravissime pene vennero loro date, qualcuno venne bruciato, altri impiccati, altri ancora mandati a sfracellarsi precipitandoli dall’alto dello Steri.
Gli ammalati venivano barricati in casa per fermare il contagio e poi trasportati nei due grossi presidi che si trovavano alla Cuba e nel Borgo di Santa Lucia.
Successe di tutto: i malati non si dichiaravano per non lasciar bruciare il loro arredamento, si disse pure che i medici non volevano trovare la medicina per questa epidemia perché altrimenti sarebbe venuto meno la loro parcella. Fu per questo motivo che il Dott. Ingrassia sdegnato, rinunciò del tutto al proprio stipendio.
Egli fu molto generoso nel dare cura e soccorso agli ammalati. Scrisse un libro che intitolò “Informatione del Pestifero et Contagioso Morbo” che conteneva le sue riflessioni su questa esperienza.
Il popolo pensò che la peste si sarebbe arrestata, facendo preghiere e processioni, dove l’uomo non poteva arrivare ci sarebbero potuti arrivare i santi. Ma il Dott. Ingrassia per quanto devoto, fece più affidamento alla scienza piuttosto che ai Santi.
La peste durò fino alla primavera del 1576 e solo in estate si dichiarò completamente estinta.
Nella Cattedrale come ringraziamento si poté finalmente cantare il “Te Deum Laudamus“.
Questo purtroppo non fu l’unica epidemia di peste, nel 1624, dopo circa 50 anni, la peste ritornò a Palermo e nonostante l’intervento che noi tutti conosciamo: il miracolo di santa Rosalia, il numero dei morti fu assai maggiore, mancava purtroppo ormai il caro Dottor Ingrassia.
Dottor Giovanni Filippo Ingrassia
Nato nel 1510 a Regalbuto, nell’odierna provincia di Enna, visse a Palermo studiando filosofia e lingue classiche finché non si dedicò alla medicina laureandosi a Padova nel 1537.
Tornato in Sicilia entrò in polemica con la classe medica del tempo per un’opera da lui scritta, la Iatropologia, in cui criticava la pratica medica troppo arretrata nei metodi e nella conoscenza. Tuttavia qui divenne il medico personale di Isabella Di Capua moglie del viceré di Sicilia, Ferrante Gonzaga e grazie a lei nel 1544 ottenne la cattedra di medicina e anatomia fino al 1556 nell’Università di Napoli.
In quell’esperienza ricca di studi e approfondimenti, Ingrassia ebbe tanta fama e stima da parte di studenti e colleghi che gli venne dedicato un monumento di riconoscenza, ancora lui vivente!
Sono di quegli anni le numerose scoperte in campo anatomico, dal piccolo osso dell’orecchio interno, da lui chiamato “staffa”, alla descrizione di alcune ossa del teschio e altre accurate osservazioni e ricerche. Scoperte che il medico siciliano riporterà nei suoi numerosi manoscritti che saranno pubblicati postumi contribuendo al rinnovamento della medicina di quel tempo.
Nel 1553 il viceré di Sicilia Juan de Vega promosse la scuola regolare di medicina a Palermo e nel gennaio 1554 Ingrassia fu nominato lettore ordinario di medicina. Oltre alla docenza egli continuò l’esercizio medico rinunziando spesso ai lauti proventi che potevano derivargli dalla professione privata e nel contempo risolvendo molti casi clinici che gli valsero la stima ed il riconoscimento delle classi dominanti dell’epoca cosicché 10 anni dopo veniva eletto “Protomedico del Regno di Sicilia”. In questo ufficio può essere considerato come il fondatore della medicina legale e dell’organizzazione sanitaria: elencò le norme per il riconoscimento dei titoli di esercizio delle diverse professioni mediche con l’obbligo di aggiornamento professionale, sotto forma di corsi bimestrali da frequentarsi ogni quinquennio; regolò il funzionamento delle farmacie; redasse un minuzioso tariffario professionale; costituì tutta una serie di misure contro ciarlatani e speculatori.
Insigne accademico tra i colleghi, il dottor Ingrassia sarà ricordato dalla popolazione palermitana quando nel 1575 fu incaricato dal Viceré Don Carlo a fronteggiare la terribile epidemia di peste che sconvolse la Sicilia. Attraverso tutta una serie di misure contenitive contro la diffusione del contagio, con la costruzione di sette lazzaretti per il confinamento dei contagiati e una durissima repressione per chi vendeva gli abiti degli appestati, riuscì a ridurre enormemente gli effetti della malattia tanto che dopo un anno si contarono circa 3000 morti contro i 60.000 di Venezia nello stesso secolo.
Gli interventi, le osservazioni e le riflessioni ricavate da questa esperienza ci sono tramesse attraverso la sua opera “Informatione del pestifero et contagioso Morbo“. Un’opera in quattro parti disponibile per chi volesse cimentarsi con l’italiano volgare della fine del ‘500.
Nonostante sia di difficile lettura l’Informatione risulta essere un prezioso documento sia per la cronaca dello svolgimento degli eventi ma anche per le intuizioni medico sanitarie sulla epidemiologia della peste. Teniamo conto che siamo in un epoca in cui ancora si credeva che il morbo provenisse da una corruzione dell’aria, da cui “epidemia” (dal greco epidemos – sopra il popolo) per cui si doveva contrastare bruciando l’aria. Ingrassia intuisce invece che il contagio avviene da persona a persona attraverso particelle che si trasmettono. Da qui la politica dell’isolamento dei malati e tutti quei provvedimenti che porteranno ad una riduzione notevolissima dell’incidenza e degli effetti della malattia.
Quando morì, il 6 novembre 1580, aveva settantanni. Fu sepolto nella cappella di santa Barbara nel chiostro della chiesa di san Domenico a Palermo.
Ad onorare la sua memoria Palermo gli dedicherà l’Ospedale G.F. Ingrassia”, la sua città natale, Regalbuto la via principale, una scuola elementare e una scuola media e l’Università di Catania l’Istituto di anatomia della facoltà di medicina.
Viva la scienza e la tecnica, noi adoriamo solamente lei al posto di Dio!