La regina Sibilla di Acerra, moglie del re di Sicilia Tancredi di Lecce, fu, a mio parere, una regina “intrigante” in almeno due dei possibili sensi di questa della parola. “Intrigante”, perché molti aspetti della sua vita rimangono in un chiaroscuro enigmatico, e “intrigante” per la sua sbalorditiva capacità di riprendersi, di riemergere, di mantenere o allacciare contatti prestigiosi, anche dopo aver subito delle cocenti sconfitte .
Origini e matrimonio con Tancredi di Lecce
Sibilla di Acerra, detta anche Sibilla d’Aquino, apparteneva a un’importante famiglia comitale. Manca, purtroppo, qualsiasi informazione sulla sua infanzia o sulla sua educazione. Andò sposa in data indeterminata (poco dopo il 1170) a Tancredi d’Altavilla, conte di Lecce, di discendenza regale, ancorché “illegittimo”, ma non è dato sapere chi combinò questo matrimonio, apparentemente non particolarmente ben assortito.
Sibilla, secondo qualche cronista, era una donna di grande bellezza, mentre Tancredi viene descritto dal malevole Pietro da Eboli come un essere ripugnante, un “uomo turpe”, “delitto della natura”, “scimmia”! Evidentemente, il cronista, adulatore e incensatore di Enrico VI e di Costanza, è poco credibile quando ingiuria così pesantemente l’infelice Tancredi.
Figlio del primogenito di re Ruggero II, ogni prospettiva di diventare re di Sicilia gli sembrava preclusa, essendo nato fuori dal matrimonio. Al momento del fidanzamento, Tancredi era nella trentina (aveva quindi almeno quindici anni più di Sibilla) e aveva già sulle spalle il carico di un passato pesante. Ribelle allo zio Guglielmo I (il Malo), aveva conosciuto il carcere e l’esilio ed era infine tornato in Sicilia dopo aver ottenuto il perdono del cugino, Guglielmo II. Avendo carpito la benevolenza del re Buono, Tancredi ricevette importanti incarichi e venne messo al comando della flotta reale. Si può supporre che facesse la spola tra Lecce e Palermo, mentre è probabile che Sibilla rimanesse nella loro contea, a crescere i cinque figli e a sostituire il marito assente nell’amministrazione.
L’ascesa al trono di Tancredi e Sibilla
La loro vita venne stravolta quando Guglielmo II morì all’improvviso, nel 1189, senza figli. L’erede legittima era Costanza, figlia di Ruggero II, sposa del re di Germania e futuro imperatore Enrico VI. Molti siciliani, però, temendo il famoso furor teutonicus, non vedevano di buon occhio l’arrivo di un sovrano germanico nel regno a fianco della sposa, in qualità, addirittura, di re di Sicilia, per cui in fretta e furia i magnates curiae – un specie di Consiglio dei ministri – elessero Tancredi come loro re, dimentichi del precedente giuramento di fedeltà fatto a Costanza. Verosimilmente, Sibilla venne incoronata assieme al marito nella cattedrale di Palermo. Così, per un certo periodo, si trovò a convivere con un’altra sovrana, Giovanna, la consorte del defunto re Guglielmo. Quali furono le relazioni tra le due regine? Si ignorarono con superba determinazione o riuscirono a provare un minimo di solidarietà femminile in quel mondo dilaniato da odi e ambizioni? La madre di cinque figli ebbe un po’ di compassione per la bella regina privata di ogni suo diritto per non essere riuscita in dodici anni di matrimonio a dare un erede al trono di Sicilia? Una questione che interessa ben poco gli storici accademici!
Il breve regno di Tancredi e Sibilla
Ahimè! Il breve e travagliato regno di Tancredi (gennaio 1190- febbraio 1194) fu segnato da eventi tragici, tanto nell’isola quanto sul continente. L’elezione del conte di Lecce non era gradita ai musulmani; essi si sollevarono, provocando una violenta guerra civile che sconquassò la parte occidentale dell’isola. Il Messinese venne, invece, scombussolato dalla presenza di due eserciti di arroganti crociati, quello inglese di Riccardo Cuor di Leone e quello francese di Filippo Augusto, i quali, dapprima alleati poi ben presto rivali, occuparono la città per tutto l’inverno 1190-91, rendendosi protagonisti di soprusi, saccheggi e stupri. Per giunta, Tancredi, dopo una difficile trattativa, dovette versare un’ingentissima somma in oro a Riccardo, che questi, a nome della sorella Giovanna, esigeva quale parziale compensazione del dovario della regina vedova (ossia dei vasti possedimenti attribuiti dal re Guglielmo alla moglie al momento delle nozze), di cui Tancredi si era indebitamente impossessato, attribuendolo forse alla propria moglie. Per di più, la regina Giovanna, oltre a essere stata spogliata dei propri beni, subiva in quel momento una specie di “incarcerazione”, isolata nel Palazzo della Zisa, in modo da evitare qualsiasi contatto con i sostenitori di Costanza. Per liberarla ci vollero le minacce del fratello Riccardo Cuor di Leone.
I crociati avevano da pochi giorni alzato le vele, dirigendosi verso la Terra Santa, quando si seppe che Costanza ed Enrico VI, erano stati incoronati dal Pontefice imperatore e imperatrice del Sacro Romano Impero e avevano dato l’avvio ad una campagna che avrebbe dovuto portare la coppia fino a Palermo per riprendersi la corona. Grazie al voltafaccia di numerosi e infidi conti, abati o altri amministratori, c’era da temere che si sarebbe trattato di una trionfale passeggiata militare, ma i coniugi imperiali non avevano tenuto in conto che, lungo la strada, si ergeva la fiera città di Napoli. Grazie alle sue formidabili fortificazioni e al coraggio dei suoi difensori, guidati dal fratello di Sibilla, il conte Riccardo d’Acerra, la città resistette all’assedio delle truppe imperiali, le quali, inoltre, vennero decimate da una terribile epidemia. L’imperatore, anche lui gravemente colpito, dovette tornare in Germania, mentre Costanza veniva catturata a Salerno.
Come doveva Tancredi trattare la nobile prigioniera, tra l’altro pure sua zia? Sappiamo dal cronista Pietro da Eboli che, molto imbarazzato, spedì una missiva alla consorte, chiedendole ingenuamente di prendere Costanza in custodia e di condividere con lei ogni momento della vita giornaliera. Una soluzione del tutto impossibile, rifiutata da tutt’e due. La regina usurpatrice fa una ben miserabile figura nei confronti della superba imperatrice: “Quale speranza di regnare mi resta, quale vita, dal momento che siede accanto a me una donna superba per il diritto paterno” esclama nei versi 933-34 del carmen di Pietro da Eboli. Lamentandosi per la stoltezza del marito, chiede furbescamente che l’ostaggio venga imprigionata nell’imprendibile Castel dell’Ovo di Napoli. La vicenda si concluderà con il ritorno di Costanza in Germania mesi dopo, grazie all’intervento del Papa.
Sibilla da reggente a prigioniera di Enrico VI
Sibilla, diventata reggente dopo i successivi decessi imprevisti del figlio maggiore e del marito, si trovò a dover affrontare da sola – o comunque con pochi sostegni – la seconda guerra di conquista dell’imperatore Enrico VI. Al solito molti siciliani voltagabbana si arresero senza nemmeno combattere, anzi accogliendo festosamente il vincitore. Per mettere fine ad ogni resistenza da parte della reggente, rifugiatasi con il piccolo re Guglielmo e le figlie nella fortezza di Caltabellotta, il furbo Enrico VI offrì di restituire loro la contea di Lecce e il principato di Taranto, in cambio della loro sottomissione, e così, a quanto si racconta, il giovane Guglielmo III dovette deporre la sua corona ai piedi del nuovo re di Sicilia durante la cerimonia dell’incoronamento, nella notte di Natale 1194. In quel momento così importante Costanza, ahimè, si ritrovò in qualche modo defraudata dall’incoronazione che le spettava, bloccata nella Marche, a Jesi, dove all’indomani di quella pietosa cerimonia, avrebbe partorito il suo unico figlio, il futuro Federico II.
Invece del ritorno a Lecce, che sembrava un’uscita onorabile per Sibilla, vi fu un incredibile colpo di scena: il nuovo re accusò l’ex reggente e i suoi più fidati consiglieri di aver ordito un complotto contro la sua vita, facendoli incatenare tutti. La maggior parte degli storici ritiene che si tratti di una macchinazione di Enrico VI per sbarazzarsi di eventuali oppositori; infatti è inimmaginabile che in una città o in un palazzo presidiati dalle truppe imperiali, si potesse immaginare di ordire una cospirazione con significative probabilità di successo. I supposti congiurati, anziché giustiziati, vennero imprigionati in Germania; solo il piccolo re Guglielmo III subì un trattamento atroce: accecato, secondo un cronista inglese, evirato al dire di uno tedesco; Guglielmo morì giovane in data indeterminata, probabilmente in Austria. Sibilla, con le tre figlie, venne portata in Alsazia, presso il convento di Hohenberg, sul monte Santa Odilia. In questo monastero prestigioso, un rinomato centro di alta cultura, si può ritenere che Sibilla sia stata trattata dignitosamente, che abbia mantenuto alcuni contatti per via epistolare, e che le tre figlie adolescenti abbiano potuto completare la loro educazione.
Il ritorno di Sibilla e il futuro delle sue figlie
Liberate subito dopo la morte di Enrico VI, Sibilla e le figlie trovarono ospitalità alla corte del re di Francia Filippo Augusto, non si sa grazie a quale intermediazione. Da quel momento la regina poté esercitare le sue notevoli capacità diplomatiche per assicurare l’avvenire delle principesse: con l’appoggio del re di Francia fece sposare la maggiore, Albiria, con un nobile di alto lignaggio, Gualtiero di Brienne, poi, in compagnia del genero, si recò dal Papa per rivendicare l’eredità della figlia, dopo la morte in cattività del piccolo Guglielmo. Innocenzo III, tutore del giovane re Federico, non poteva naturalmente appoggiare il presunto diritto al trono di Sicilia, ma riconobbe la sovranità sulla contea di Lecce e sul principato di Taranto – promessa a suo tempo da Enrico VI – facendo anche del de Brienne il suo personale campione nell intricata guerra tra i vari ambiziosi che ambivano a spartirsi il potere nel il Meridione.
Così, dopo otto anni di esilio, Sibilla poté ritornare nella sua contea di Lecce, dove morì, probabilmente nel 1205. Dopo la sua morte, le figlie faranno dei prestigiosi matrimoni. La seconda, Costanza, diventerà dogaressa di Venezia, ma non si sa chi avviò le trattative per questo matrimonio: che si tratti di un’ultima manovra dell’intrigante Sibilla?
Liliane Juillerat