Il monastero benedettino di San Martino delle Scale vanta un passato glorioso e origini molto antiche: addirittura risalenti a S. Gregorio Magno, intorno agli anni 573, che lo avrebbe fatto costruire e affidato alle suore prima e ai benedettini poi, fino a quando i saraceni non l’avrebbero distrutto nel IX secolo. Storia suggestiva, purtroppo non validata da fonti attendibili.
Il Monastero benedettino
Il grande complesso abbaziale di San Martino delle Scale, come lo vediamo adesso, copre un’area di circa 20.000 metri quadrati ed è strutturato in un grande quadrilatero suddiviso in quattro settori: due chiostri e due cortili; oltre il chiostro di san Benedetto, costruito intorno al 1612 nella parte più antica del monastero, proprio dietro la Basilica.
Naturalmente il monastero ha subito diversi rifacimenti, diventando via via sempre più grande nel corso dei secoli.
Gli ampliamenti più notevoli sono stati realizzati su progetto dell’architetto palermitano Venanzio Marvuglia (1729 -1814). Alla fine del 1700 fu completata la grandiosa facciata principale rivolta ad Oriente, verso Palermo. In stile Rococò, lunga più di 130 m con due ordini di balconi di pietra grigia e decorazioni in stucco.
La basilica
La via naturale di accesso al complesso abbaziale di san Martino è da piazza Platani: attraversata la porta si è già nel cortile d’ingresso della chiesa.
La basilica fu costruita sulla chiesa preesistente, alla fine del XVI secolo, e consacrata al culto il 20 maggio 1602, con un rito solenne presieduto dall’arcivescovo di Palermo Diego Aedo.
La facciata su tre elevazioni è piuttosto scarna, senza alcun elemento architettonico di rilievo. Anche l’interno appare abbastanza sobrio col suo colore bianco, probabilmente rimasta incompleta nelle decorazioni. La forma è basilicale a croce latina con una sola navata, transetto, cupola e 10 cappelle, che ospitano altrettanto altari in stile barocco.
Le cappelle della navata sinistra |
Le cappelle della navata destra | |
“San Matteo”, opera di Gaspare Vazzano. | 1 | “San Placido e Santa Scolastica”, opera di Guglielmo Borremans. |
“San Giovanni Battista che predica agli Ebrei”, attribuito a Filippo Paladini | 2 | “Addolorata”, opera di Paolo De Matteis. |
“I Sette Angeli”, opera di Gaspare Vazzano. | 3 | “I Santi Apostoli”, opera di Gaspare Vazzano ( detto “lo zoppo di Gangi”) |
“Santa Rosalia”, opera di Paolo De Matteis | 4 | “San Domenico de Silos”, opera di Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto |
“Epifania”, opera di Gaspare Vazzano. | 5 | “San Nicola di Bari”, opera di Gaspare Vazzano. |
Transetto e absidiole
Al di sopra del transetto, la cupola poggia su 4 pilastri di marmo bianco dove sono posti altrettante statue in pietra che raffigurano San Benedetto, San Gregorio Magno, San Placido e San Mauro scolpite da Benedetto Pampillonia, monaco benedettino.
Nella absidiola destra: la Cappella della Vergine o Cappella della Madonna della Consolazione con le statue marmoree raffiguranti Maria Vergine e ai lati Sant’Agata e Santa Caterina d’Alessandria, opere del 1368.
Nei due transetti le cappelle di San Benedetto e di San Martino. Nella prima il quadro è di Pietro Novelli, nella seconda di Filippo Paladini.
Possibile reperto della vecchia chiesa del XII – XIII secolo, il Portale, manufatto marmoreo recante 20 scene raffiguranti il Mistero Pasquale.
Il presbiterio, il coro e l’organo
Salendo pochi gradini si entra nel presbiterio. Nel mezzo dei due pilastroni l’altare maggiore è composto da preziosi marmi mischi mentre il paliotto che guarda il coro è in verde antico.
Dietro è il magnifico coro ornato da 68 stalli in legno intagliato, superbamente lavorato a mezzo rilievo. Al centro un grande leggio nel quale venivano posti i libri detti corali per la preghiera comune e il canto durante le liturgie.
Il coro fu iniziato nel 1591 è terminato nel 1597 ad opera dei napoletani Nunzio Ferraro e G. B. Vegliante che lo eseguirono sulla copia di un coro simile della chiesa napoletana SS. Severino e Sossio. Due secoli dopo, i palermitani Pietro Marino e Nunzio di Paula si occuparono del suo ampliamento.
Sulle due pareti laterali del coro, sei grandi tele del pittore Paolo De Matteis. Nella parete di sinistra: “La cena di San Gregorio ai poveri“, con Gesù nelle vesti di pellegrino; il “Martirio di San Placido e santa Flavia”, martirizzati in Sicilia; “san Benedetto riceve il re Ostrogoto Totila”.
Nella parete di destra: “San Benedetto nell’atto di ricevere i primi monaci“, i Santi Mauro e Placido; “San Mauro e il re Teodoberto“, “San Martino e il mendicante“. Dello stesso autore l’immagine della Madonna col Bambino posta sulla porta del coro.
Sopra la sede abbaziale che sta al centro, sovrasta uno dei migliori organi di Sicilia col magnifico prospetto laccato in oro. Fu commissionato nel 1594 al “magister Raffaele Lavalle”, successivamente ingrandito verso il 1781 e completato da Francesco La Grassa nel secolo XIX. Con le sue 4000 canne, nel 1981 è stato restaurato ed elettrificato.
Accedendo alla Sacrestia si notano gli armadi in noce, intagliati, e la grande porta delle Reliquie, probabilmente anch’essa opera degli intagliatori napoletani del coro. La Cappella delle reliquie vanta il possesso di 4 corpi di Santi (tra cui le spoglie di Angelo Sinisio) e 1253 reliquie tra cui reliquie della Santa Croce e della Sacra Spina, queste ultime donate insieme al proprio manto regale, dal Bey di Tunisi al padre Giuliano Majali (†1470), quando egli fu mandato come ambasciatore dal re Alfonso.
Il monastero
Si può accedere alle sale del monastero di San Martino uscendo dalla chiesa, seguendo un grande corridoio all’aperto che termina in corrispondenza del campanile: in basso si può ammirare il complesso scultoreo del palermitano Ignazio Marabitti che rappresenta “il fiume Oreto“. Da qui si dipanano lunghi e larghi corridoi che corrispondono al nucleo più antico del convento.
Dopo gli ampliamenti del XVIII secolo i locali di rappresentanza ed i saloni sono nel complesso che guarda Palermo. Nella facciata principale si apre il portone che immette nel vestibolo, una struttura coperta sostenuta da 16 colonne in marmo. In fondo, di fronte alla porta, si ammira una statua in marmo bianco raffigurante san Martino di Tours nell’atto di dividere il suo mantello con un povero. Anche questa del Marabitti.
Una sontuosa scalinata settecentesca a due rampe, affrescata secondo il gusto pompeiano, introduce alla sala Capitolare, dentro la quale è conservato un busto di Pio VII, protettore dei benedettini, e ai diversi saloni settecenteschi, aree normalmente riservate ai monaci.
Aree di clausura come i dormitori e i due refettori del complesso: uno detto della “Ricreazione” e l’altro più famoso, detto “dell’Osservanza”. Qui i monaci consumano i pasti in silenzio, come vuole la Regola benedettina, ascoltando la lettura quotidiana. Da segnalare l’affresco sul tetto, dove è rappresentato l’episodio biblico di “Daniele nella fossa dei leoni” di Pietro Novelli (1629) e il grande quadro in fondo alla sala dove è rappresentata “la cena di Gesù a casa di Matteo Levi“, attribuito ai pittori Mariano Smiriglio e Filippo De Mercurio (1602).
Il chiostro di san Benedetto
Non può esserci un monastero senza il chiostro: esso è sempre il cuore del cenobio, dove dedicarsi alla meditazione mentre si passeggia, ma anche punto nevralgico per collegare i diversi ambienti del monastero.
Nel monastero di san Martino sono presenti più chiostri, ma il più conosciuto è quello comunemente chiamato “Chiostro di san Benedetto”, realizzato a partire dal 1612 a più riprese nell’area dove sorgeva precedentemente un altro Chiostro più piccolo.
Deve il nome alla statua del santo che si erge al centro della struttura. Si tratta di una fontana sormontata dalla magnifica statua di San Benedetto, in pietra con testa e mani in marmo bianco, con a fianco due angeli che mostrano in due lapidi marmoree il programma benedettino. Opera realizzata nel 1728 dallo scultore Benedetto Pampillonia.
Un secondo chiostro, detto Cortile dei Marmi è più grande ma meno famoso: al centro ospita una Fontana di Giovanni Biagio Amico.
Storia del monastero di San Martino delle Scale
Ammettendo come incerta la fondazione “gregoriana” dell’abbazia di San Martino delle Scale, il primo documento risale al 1347: è l’atto di fondazione, redatto dalla cancelleria dell’arcivescovo di Monreale Don Emanuele Spinola nel quale vengono citati sei monaci benedettini che dal monastero di San Nicola a Nicolosi, furono inviati nel feudo già allora detto di San Martino, di pertinenza monrealese per dar vita ad un monastero.
Tra questi monaci, il beato Angelo Sinisio primo abate dal luglio del 1352 fino alla sua morte il 27 novembre del 1386. Monaco dalle spiccate qualità spirituali e uomo con grandi capacità organizzative, il Sinisio viene considerato il fondatore della comunità di san Martino. Si occupò della costruzione del primo monastero, ingrandendo la comunità accogliendo altri uomini desiderosi di condividere l’ideale monastico benedettino: ora et labora. Lavoro che includeva la coltivazione dei campi e lo scriptorium per la riproduzione dei codici.
In pochi anni il patrimonio dell’abbazia crebbe notevolmente grazie alle tante donazioni ricevute dal Sinisio, come i feudi di Cinisi, Borgetto, Sagana e Milocca (attuale Milena) in cui l’abate di San Martino delle Scale esercitava anche la potestà baronale. Quando l’abate Angelo morì il suo ricordo rimase sempre vivo sia tra i monaci che tra i fedeli dei vicini centri di Palermo e Monreale, soprattutto per le tante opere di beneficenza che lo stesso abate e i suoi monaci avevano elargito. Il suo corpo riposa sotto l’altare della Sacrestia, e quasi da subito gli viene attribuito (pur senza una regolare proclamazione canonica) il titolo di beato.
Dopo un periodo di notevole fioritura, le ingerenze di nobili laici o ecclesiastici che miravano alle cospicue rendite dei monasteri portarono al decadimento dell’osservanza monastica. Fenomeno comune a molte comunità, per cui, a partire dalla fine del Cinquecento, il cenobio venne aggregato nella unione dei monasteri benedettini cassinesi con lo scopo di sostenersi a vicenda.
A San Martino si videro i benefici di questa nuova stagione. Le attività culturali accrebbero notevolmente: produzioni e committenze artistiche, attività editoriali, insegnamento e l’allestimento di un museo composto da opere artistiche dall’età ellenistico-romana al medioevo, più una quadreria di pregevole valore. Crescita che si manifestò anche nell’ampliamento architettonico del monastero.
Il secolo XIX rappresenta per l’abbazia di San Martino l’inizio di una crisi interna che ridurrà il suo ruolo spirituale e porrà fine a tutte le iniziative culturali. In seguito alle leggi eversive del 1866 che prevedeva la confisca dei beni, la spoliazione del patrimonio storico-artistico lascerà la comunità monastica decimata e indebolita.
La vita monastica riprenderà lentamente il suo vigore durante tutto il Novecento segnando anche il ripristino di alcune attività proprie della comunità: l’insegnamento nel collegio, l’allestimento di un laboratorio di restauro del libro, l’apertura al pubblico della ricostituita biblioteca e la vendita di alcuni prodotti tipici del monastero.
Saverio Schirò
Indirizzo: Piazza Platani, 90046 San Martino delle Scale PA
Centralino | 091418104 |
Economato | 091418426 |
Bottega | 091418430 |
Officina della Memoria- Accademia –Restauro del libro | 091418343 |
Biblioteca | 091418042 |
Parrocchia | 091418471 |
Fonti | http://www.abbaziadisanmartino.it/abbazia/ |
Basilica abbaziale di San Martino delle Scale in Wikipedia.org | |
G. MANTOVANI, Cicerone di Sicilia, Guida ai monumenti, Palermo e Monreale, Palermo 1981 | |
R. LA DUCA, San Martino dei legni e degli intagli, in Cercare Palermo, Palermo 1988, 135-137 | |
Foto di Salvatore Ciambra |