Solo poco tempo fa abbiamo appreso la notizia che palazzo Geraci, sito in Corso Vittorio Emanuele, è stato sequestrato dai vigili urbani del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico, perché a rischio di crollo.
Sono passati più di settant’anni e purtroppo ancora oggi vediamo le gravissime ferite lasciate al nostro patrimonio storico e architettonico dall’ultimo conflitto mondiale.
Il palazzo dei marchesi di Geraci, che nel 1943 è stato quasi interamente distrutto dalla violenza delle bombe, rappresenta una delle più grandi vergogne di questa martoriata città: dietro quei ponteggi arrugginiti si cela quello che un tempo era una tra le più belle e prestigiose case magnatizie palermitane.
Lo splendido edificio era stato riedificato in forme barocche attorno al 1626 da don Pietro Balsamo principe di Roccafiorita, su una preesistente casa cinquecentesca appartenuta alla famiglia Lanza, inglobando la quattrocentesca chiesa di S. Biagio, che il principe provvide a ricostruire nella via ancora oggi chiamata di S. Biagio (non più esistente): nel luogo dove sorgeva la chiesetta originaria, vi è oggi un corpo basso aggiunto, sede di una banca.
Alla fine del XVII secolo la proprietà del palazzo passò ai Ventimiglia di Geraci, la famiglia aristocratica più illustre e prestigiosa della Sicilia.
IL PALAZZO
A quei tempi il palazzo presentava due portali laterali tipicamente barocchi, un ammezzato, il piano nobile e il piano attico sottotetto, secondo la classica tipologia del palazzo nobiliare dei tempi: un’incisione di Francesco Cichè del 1714 ne ha fissato la memoria quale si presentava ai tempi dei principi di Roccafiorita.
Nell’ultimo ventennio del XVIII secolo, su progetto dell’architetto Venanzio Marvuglia, il palazzo fu completamente rielaborato e ampliato, per volontà di Giovanni Luigi Ventimiglia e Spinola, marchese di Geraci. In questo progetto il grande architetto diede prova del suo genio e del suo grande talento artistico, attratto com’era dalla grande stagione del barocco, ma anche dalla sobrietà del neoclassicismo.
Nell’ampliamento del palazzo, il Marvuglia intervenne con sorprendente originalità nella disposizione del vestibolo d’ingresso, nella magnifica sala, nell’elegante cortile principale e nella facciata: nelle parti scultoree l’architetto fu coadiuvato da Ignazio Marabitti. Il palazzo presentava tre ingressi di severa monumentalità sul Cassaro di cui quello centrale fiancheggiato da colonne con alti plinti: nella sovrastante tribuna due Cariatidi egizie dal vigoroso disegno recano al centro un trofeo scultoreo del Marabitti. Si deve pure al Marvuglia la decorazione dei balconi del piano nobile che erano decorati nella maniera seicentesca, la realizzazione delle due corti parallele divise da un arioso loggiato di grande effetto scenografico e il magnifico scalone d’onore in marmo di diversi colori e stucco, ricavato dal preesistente edificio seicentesco.
Gli stucchi che si vedono nel prospetto e in particolare i mascheroni dei portali sono opere di Tommaso Firriolo su disegno del Marvuglia, che intervenne sia nella decorazione esterna che interna dell’edificio.
L’impianto era tipico dei palazzi signorili del settecento, i locali del pianterreno adibiti a scuderie e magazzini, il piccolo piano ammezzato dai tipici balconcini, destinato all’amministrazione della casa, il piano nobile riservato al proprietario e alla rappresentanza, l’ultimo piano usato come abitazione per i cadetti della famiglia.
Al di sopra del palazzo le suore dell’antico monastero di Montevergini (non più esistente), con il permesso del principe avevano realizzato il loro belvedere sul Cassaro. Giardini pensili con statue scolpite dal Marabitti ed eleganti fontane, ornavano gli interni dell’edificio. La grande dimora nobiliare aveva un’impianto straordinariamente vasto, con un lungo fronte sul Cassaro e un fronte laterale che si estendeva lungo via San Biagio e via Montevergini, fino all’omonima piazzetta.
Si distingueva per la grandiosità e l’eleganza dei suoi ambienti, arricchiti da marmi pregiati, da sculture e cicli pittorici dovuti al pittore Giuseppe Velasco: il noto artista per palazzo Geraci aveva affrescato una suggestiva “Apoteosi di Bacco” alle pareti, e nella galleria aveva affrescato il mito di “Cerere” che si reca all’Olimpo per richiedere Proserpina.
Il palazzo nel 1860, dopo la morte dell’ultimo erede del casato, don Giovanni Ventimiglia passò in proprietà delle sorelle Corrada e Giovanna e quindi frazionato in più unità abitative. Successivamente parte del palazzo divenne proprietà del barone Francesco Cammarata che vi apportò notevoli trasformazioni: in quegli anni nel palazzo venne fondata “la Società del Nuovo Casino”, un circolo esclusivo, ritrovo della più alta società palermitana, con gabinetti di lettura, sale da biliardo e sala da ballo.
Ma gli anni d’oro appartenevano ormai al passato, frazionato e decaduto palazzo Geraci arrivò alle soglie della seconda guerra mondiale presago del suo fatale destino: un’incursione aerea che aveva come bersaglio la vicina sede della Federazione del Fascio (palazzo Riso), lo centrò in pieno sventrandolo letteralmente e riducendolo in un ammasso di macerie.
Della memoria della splendida residenza signorile oggi è rimasto poco, dimenticato, abbandonato all’incuria e destinato alla rovina, ha seguito la sorte di molti altri palazzi del centro storico.
Pronto a crollare, nel vero senso della parola, i cittadini palermitani aspettano che le istituzioni decidano cosa fare: speriamo che capiscano finalmente che il nostro patrimonio artistico e architettonico va tutelato e valorizzato: ma chissà quanto dovremo ancora aspettare!
Nicola Stanzione
Foto da: skyscrapercity.com
Articolo estremamente interessante! Grazie!
Bello, articolo affascinante come sempre!
Articolo prezioso perchè svela l ‘ esistenza di un palazzo, cittadino, anche se distrutto, riferibile ad una nota famiglia nobile cui, normalmente, si fa cenno parlando delle Madonie.
Molti ne disconoscevamo l’esistenza.
Articolo molto preciso e interessante, sp ecie per una che è nato a Piazza Bologni e che in quel palazzo aveva degli amici.