“Pochi posti in Europa possono rivaleggiare con Solunto per bellezza di panorama, e questa circostanza accresce il merito delle rovine stesse di questa Pompei palermitana.
Antonino Salinas
A circa venti chilometri ad est di Palermo, adagiata sulle pendici del versante sud-orientale di Monte Catalfano che stende la sua mole rocciosa tra Capo Mongerbino e Capo Zafferano, sorge una preziosa testimonianza del passato della nostra isola.
Una quasi sconosciuta meraviglia di straordinaria importanza storica che ad oggi costituisce un esempio, forse tra i più significativi, di città ellenistico-romane del panorama archeologico siciliano: “Le antiche rovine della città di Solunto” indicata dallo storico ateniese Tucidide con Mothia e Panormus, uno dei più antichi insediamenti di fondazione fenicio-punica nell’isola.
La storia
Le sue origini sono avvolte nel mito. Si narra infatti che Eracle, nel suo lungo peregrinare per la Sicilia, avrebbe ucciso il malvagio ladrone Solus, il quale stava rifugiato sul monte Catalfano molestando tutti i pellegrini, onde, secondo Ecateo di Mileto la città che stava adagiata sul monte fu chiamata “Solus”.
Questa leggenda è stata ispiratrice della battitura di molte monete soluntine in bronzo e argento recanti come effige la testa di Ercole. Tuttavia, una fonte storica che possa confermare la presumibile presenza micenea nel territorio soluntino non è ancora stata rinvenuta: il nome della città appare nei testi di Tucidide come “Soloeis”, in Diodoro come “Solus” o “Soluntum”, città del sole (appellativo per niente usurpato), mentre in alcune monete puniche appare anche il termine “Kfra”, corrispondente a “Kafara” termine che indica il villaggio.
Solunto, è sempre passata nella generale credenza come una delle tre città fondate dai Fenici in Sicilia ma su ciò, specialmente in tempi recenti, le opinioni degli storici sono state discordanti. L’incongruenza stava nel fatto che, come si è detto, Tucidide considerava Solunto, assieme a Mozia e Panormo, città di fondazione fenicia; ma mentre per le altre due città la notizia tucididea corrispondeva con i dati archeologici, lo stesso non si poteva dire per Solunto.
Allora alcuni studiosi, si sono posti questo interrogativo; come mai i Fenici, popolo essenzialmente di mare e di commercio, avrebbero fondato una città in un sito così poco adatto ai loro scopi commerciali? Per i Fenici fondare una città in un territorio con queste caratteristiche non avrebbe avuto nessun senso. E perché invece non pensare ai Sicani che occupavano già da alcuni secoli vaste zone della parte occidentale dell’isola e vi avevano fondato numerose città? Per i Sicani, infatti, popolo indigeno di agricoltori dediti alla pastorizia costruire una città sopra un promontorio roccioso era una consuetudine. Inoltre gli scavi e gli studi che negli anni si sono succeduti, dopo la scoperta del complesso archeologico, hanno accertato che dall’impianto urbanistico e dal materiale rinvenuto non si poteva attribuire al sito una datazione anteriore al IV Sec. a.C. Quindi era chiaro che quella arrivata ai nostri giorni non era la Solunto antica di cui parla Tucidide nel VI Libro della sua opera, che doveva esistere già tra i secoli VIII e VII Sec. a.C. Era ovvio pensare, visto che evidenti erano le tracce del passaggio di genti fenicie, e per l’attendibilità dello storico greco, che doveva esistere una città più antica ubicata altrove.
Attingendo dai testi di Diodoro Siculo che, fra gli storici delle cose di Sicilia è il più affidabile, si ricava che Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa, durante la guerra con i cartaginesi, nel 396 a.C. espugnò Solunto, prendendola per tradimento e dopo avere devastato il territorio si accaniva a distruggere le mura della città. Probabilmente fu questo il momento in cui il vecchio insediamento venne abbandonato.
Dove si trovava?
Nel corso del secolo scorso mirate ricognizioni e indagini archeologiche sono state condotte nell’area per individuare la localizzazione del sito originario della città: una svolta decisiva si ebbe quando le lucide deduzioni di alcuni archeologi orientarono le ricerche verso la pianura che si trova ad est di Monte Catalfano, nel territorio di Sòlanto in prossimità della tonnara, a circa due chilometri dalla “nuova” città.
La campagna di scavi, a cura della Soprintendenza ai Beni Culturali, svolta tra il 1992 e il 1997, grazie al progredire delle tecniche di indagine archeologica, diedero subito risultati soddisfacenti: furono rinvenuti infatti, rilevanti traccie di abitato certamente anteriore al IV sec. a.C. (una antica fornace e alcune installazioni artigianali) databili almeno a partire dal VII sec. a.C.
Sebbene non sia stato possibile arrivare ad una ricostruzione dettagliata dell’insediamento, ciò ha permesso di dipanare alcuni nodi potendo ipotizzare che ci si trovava di fronte alla primigenia città di Solunto espugnata da Dionisio, e dunque, quanto tramandato nel testo di Tucidide, alla luce dei nuovi dati archeologici, “dovrebbe” rispondere al vero.
Probabilmente le ricerche future ci aiuteranno a comprendere ancora più approfonditamente le vicende che riguardano la città arcaica.
Era già invece quella sopravvissuta fino ai nostri giorni, la città rifondata dai soluntini su monte Catalfano, la Solunto che accolse per volere di Cartagine nel 307 a.C., i mercenari greci reduci dalla spedizione in Africa ribellatisi al tiranno siracusano Agatocle.
Sappiamo, infatti, che nel 367 a.C. anno della morte di Dionisio, si stipulò un trattato di pace fra Siracusa e le città puniche che sanciva la possibilità per le popolazioni sconfitte di poter ricostruire le loro sedi. E’ logico supporre, di conseguenza, che la fondazione del nuovo centro urbano, quello che oggi conosciamo, si colloca a una data che va dal 367 a.C. al 307 a.C.
Nel 254 a.C, nel corso della prima guerra punica, Solunto, secondo Diodoro e Plinio, si da spontaneamente ai Romani e passa sotto il controllo di Roma; tuttavia molto scarse sono le notizie sulle vicende della città in questo periodo: di certo sappiamo che Cicerone la menziona tra le città Decumanae e che poco per volta decadde e fu progressivamente abbandonata, probabilmente in modo volontario. Non sono note, finora le circostanze che hanno portato i soluntini, a lasciare la città, non solo per le scarse fonti storiche esistenti, ma anche perchè non sono stati mai effettuati degli studi programmati che permettessero di conoscere le cause per cui ciò avvenne (si pensa alla mancanza di risorse idriche).
La città, di cui comunque sin dal XVI secolo era nota l’esistenza, rimase sepolta per molti secoli nelle proprie macerie, finchè nel secolo XVIII l’erudito Gabriele Lancillotto Castelli principe di Torremuzza, Regio custode delle antichità del Val di Mazara visitò il sito i cui resti egli definì “miseramente rovinati”: il Torremuzza inoltre scoprì alcune tombe e brani della originaria cinta muraria.
Già dai primi sistematici scavi compiuti dalla prima metà dell’ottocento si rinvenne un’ampia gamma di avanzi architettonici come capitelli, fregi di architravi, statue, nonché vasellame, monili e monete di provenienza fenicia, greca e romana, oggetti a cui siamo debitori di molte notizie utili per conoscere la vita della città, che invano avremmo cercato nelle fonti letterari.
Una seconda fase di scavi effettuati tra il 1863 e il 1875 sotto la direzione di Gabriele de Spuches principe di Galati prima e di F.sco Paolo Perez, Giuseppe Patricolo e Antonino Salinas dopo, hanno portato alla luce una parte considerevole dell’antico tessuto urbano e la disposizione delle sue costruzioni. Lo stesso Salinas assieme al professore F.sco Saverio Cavallari, che dedicò a Solunto lunghi studi, fra il 1872 e il 1876 diressero una serie di scavi nella necropoli punica rinvenuta nei pressi della stazione ferroviaria di S. Flavia. Nel corso del novecento altre indagini archeologiche dirette dal Sovrintendente alle Antichità della Sicilia Occidentale Vincenzo Tusa portarono alla luce interessanti strutture e ampie porzioni del sistema viario della città, nonché il ritrovamento di importanti parti dell’abitato tra cui la Casa delle Ghirlande, la Casa di Leda, come pure parte del quartiere monumentale della città, con alcuni suoi edifici pubblici come l’antico Teatro e il piccolo Bouleuterion.
La città
La città di Solunto, che si estende per una superficie di circa 18 ettari, presenta un impianto urbanistico dove sono evidenti gli schemi planimetrici di matrice ippodamea (greca) rigidamente divisi in Insulae rettangolari abbastanza regolari, da strade perpendicolari al “Decumanus maximus”, il grande asse urbano, la via maggiore.
Questa è ancora oggi per lungo tratto lastricata con grosse pietre di arenaria e attraversa l’intero insediamento in direzione nord-ovest dall’ingresso della città fino all’Agorà, la piazza pubblica, dividendo in due parti l’area archeologica.
L’abitato realizzato su modelli ellenistico-romani, è composto da piccole dimore, quelle della gente di più modesta condizione sociale, che ricordano quelle pompeiane; delle grandi dimore patrizie, dove prevalgono le abitazioni con ampio peristilio centrale, rimangono, oltre a resti di mura perimetrali, pezzi di pavimento a mosaico, in cocciopesto (tritume di mattoni) e alcuni frammenti di pareti affrescate. Peculiare di questa edilizia è la finezza degli intonaci, l’uso abbondante dello stucco, la qualità e la vivace policromia dei motivi decorativi, segno tangibile della prosperità economica dei cittadini di Solunto in età imperiale.
L’Antiquarum
Nel luogo di accesso all’area archeologica sorge un piccolo museo dove sono esposti alcuni reperti provenienti anche da scavi recenti, che esemplificano le varie fasi di vita della città: calchi di monete, frammenti di vasi greci e di ceramica italiota, reperti di età romana, sculture di terracotta, nonché una serie di reperti subacquei ed una interessante documentazione fotografica e topografica.
Gli edifici più importanti
L’edificio monumentale più noto e meglio conservato è la cosiddetta Casa di Leda (II sec. a.C.-I sec. d.C.) – così denominata dalla raffigurazione di Leda (mitica regina di Sparta) e il cigno su una parete del triclinio, una grande dimora a tre livelli con un grande peristilio, ambienti decorati da pitture con pavimenti a mosaico e in “opus signinum” (coccio pesto con tessere marmoree inserite, in modo da costituire motivi geometrici), tra i quali spicca la rappresentazione di una sfera armillare ( astrolabio ).
Situata nella strada principale della città, al pianterreno della lussuosa casa si aprivano le “tabernae” (botteghe) dotate di mezzanino. Di grande interesse, sebbene lo stato di conservazione sia estremamente precario, anche il cosiddetto “Gymnasium”: questa denominazione, erronea, fu dovuta al ritrovamento nelle vicinanze dell’edificio di una iscrizione greca con dedica a un ginnasiarca. Si tratta, in realtà, di una ricca domus patrizia a peristilio disposta su tre livelli principali (il vero ginnasio, ovvero una palestra, è stato identificato in un grande edificio addossato al teatro), dove il professore Cavallari nel 1886 fece mettere in piedi alcune colonne doriche scannellate sormontate da architrave; vivissime sono state le polemiche su questa “ricostruzione” ma tutto sommato si tratta di un po’ di vita tra queste rovine mute da tanti secoli.
Altre importanti testimonianze dell’antico abitato degne di nota sono, la casa delle Maschere, la casa delle Ghirlande, la casa di Arpocrate e la più modesta, ma non meno interessante, Casa del Cerchio a mosaico, tutti edifici che presentano eleganti decorazioni musive e pittoriche di particolare rilievo sia per la qualità artistica, sia per la finezza della tecnica di lavorazione.
Attorno alla zona dell’Agorà, una vasta area rettangolare limitata da una “Stoà” a paraskenia (tipico portico colonnato), oltre agli edifici privati più prestigiosi, si concentrano gli edifici di “pubblica utilità”: il Teatro e il limitrofo bouleuterion, il luogo dove si riuniva il consiglio cittadino (il boulè); la grande cisterna pubblica coperta a volta e pavimento a mosaico; il complesso termale, il quartiere artigianale e il complesso delle strutture religiose.
Particolarmente interessante è la zona degli edifici sacri, in prevalenza di tradizione fenicio-punica: un primo complesso sacro, il più noto, si trova all’inizio dell’Agorà. Tre “betili” (pietre a cui si attribuisce una funzione sacra) su un basamento delimitano un altare all’aperto sul quale, a giudicare dal numero delle ossa che vi sono state ritrovate, dovevano avvenire sacrifici di animali. Presso questo altare sorge il secondo complesso sacro, costituito da diversi ambienti contigui accessibili dall’esterno dove, probabilmente esistevano le stalle destinate ad ospitare gli animali da sacrificare: si è supposto che nelle celle coperte a volta di questo edificio fossero collocati in origine le due statue, l’una maschile, di Zeus–Baal Hammon, l’altra di una divinità femminile in trono, i reperti di maggiore interesse trovati tra le rovine di Solunto all’epoca dei primi scavi nel 1825, oggi esposti al Museo Archeologico Salinas di Palermo, come buona parte del cospicuo e ricco patrimonio archeologico ritrovato fra le rovine della città.
La Necropoli
La necropoli di Solunto, si estende lungo il versante orientale di Monte Catalfano in località Campofranco-Olivetano su un’area contigua alla stazione ferroviaria di Santa Flavia.
Si tratta di un’area di ampia estensione con numerose sepolture fittamente stratificate inquadrabili, in base ai materiali rinvenuti, in un arco cronologico che va dall’inizio del III sec. a.C almeno fino alla fine del I sec. d.C., dunque relativa alla fase tardo-ellenistica-romana dell’abitato soluntino.
Le tombe scavate nel banco compatto di calcarenite, che caratterizza la natura del sottosuolo, presentano una tipologia costante, peculiare delle aree cimiteriali fenicio-puniche. Il tipo di sepoltura più diffuso consiste in un semplice loculo rettangolare destinato a contenere una singola inumazione. Ma sono presenti anche tombe con una o due camere ipogeiche con ripiani per la collocazione dei sarcofagi e con un ampio “dromos” che conduce all’ingresso provvisto di gradini.
Altro cospicuo numero di tombe, non dissimili dalle precedenti, sono state rinvenute nell’area arcaica scavata tra il 1968 e il 1993 dal Tusa e dall’archeologa Caterina Greco attuale direttrice del museo Salinas.
Un altro significativo nucleo di sepolture è stato portato alla luce, in circostanze fortuite (in seguito a lavori edili) nel 2009, in una zona nelle vicinanze del pianoro di San Cristoforo, che presumibilmente nasconde ancora ampi lembi della necropoli.
Per quanto concerne le caratteristiche strutturali dei sepolcreti soluntini, si tratta di tipologie funerarie già ampiamente documentate in altre necropoli siciliane di epoca arcaica e classica.
Mi piace concludere questa sintetica “descrizione” citando una frase che, non ricordo dove, lessi un giorno: “ tutte le città del passato, custodiscono nelle loro “pietre” la memoria dei luoghi, e come documenti parlanti ci raccontano la storia e la vita dei popoli che un tempo quei luoghi abitarono”.
Nicola Stanzione
Foto by: Margy Sakura