Le spose di Gesù morte-vive non sono il titolo di un film sugli zombie in salsa religiosa, bensì è il nome di un terrificante ordine monastico che Gjaimo Zummo decise di fondare nel 1627. Ma andiamo per ordine.
Nella suddetta data, il cavaliere dell’Ordine dei Gerosolimitani don Gjaimo Zummo, appoggiato dal fratello Nicolò e dai suoi confratelli della Compagnia della Carità, decise di fondare un monastero per quelle giovani donne che non potevano permettersi l’esosa dote richiesta per l’ingresso nei vari monasteri palermitani.
Iniziativa sarebbe stata lodevole, se non fosse che Zummo era una specie di maniaco religioso e che aveva previsto una lunga serie di fantasiose, quanto mostruose, regole da imporre alle consorelle (a cominciare dall’infelice nome di Spose di Gesù Morte-Vive). Conoscendo la sua attitudine (nonché la sua probabile pazzia) l’allora arcivescovo Giannettino Doria si rifiutò di accordargli la concessione per il nuovo monastero adducendo, come scusa, l’alto numero di istituti religiosi già presenti in città.
Tuttavia Zummo, che intanto aveva perso l’appoggio del fratello (gravemente malato) e dei confratelli (ritiratisi di fronte alla richiesta di denaro), non si diede per vinto e, tramite l’amicizia con il governatore di Monreale Fortunio Arrighetti, ottenne la concessione di un vecchio ospedale abbandonato che fu frettolosamente adattato alla vita conventuale ed aperto alle monache nel 1629.
Per accedere a “perpetua reclusione”, furono scelte 15 giovani di età compresa tra i 15 ed i 28 anni che furono poste sotto l’occhio vigile della madre superiora, la tremenda suor Vincenza Gazzo, scelta personalmente da Gjaimo Zummo per la sua fama di donna intransigente e severa.
Le povere monache, oltre all’inadeguatezza dei locali, gelati d’inverno e bollenti d’estate, erano costrette ad obbedire all’ordine del monastero, che le obbligava al silenzio assoluto (da qui il nome di Morte-Vive), fatta eccezione per le due ore quotidiane di conversazione spirituale.
Le visite familiari erano concesse solo tre volte l’anno, dietro spesse grate e per un intervallo di due ore. In più si ha notizia di alcune delle vessazioni che le poverette erano costrette a subire senza necessariamente aver commesso una colpa. Tra queste vi era il perverso divertimento che la superiora provava nel far manomettere le pietanze, talvolta private del sale, talvolta mischiate con erbe amare.
Questo clima di terrore, unito all’aria malsana della zona, portò ben presto le consorelle ad ammalarsi e a deperire e questo fu sufficiente a convincere l’arcivescovo Doria a concedere a Zummo il trasferimento a Palermo. Il convento scelto fu quello di San Vito, al Capo, che nonostante l’opinione contraria dei monaci che l’abitavano, nel 1630 fu concesso all’ordine con il nome di Santa Maria di Tutte le Grazie in San Vito.
I primi tempi a Palermo non furono semplici, innanzitutto perché Zummo rimase a corto di fondi e i lavori di restauro dovettero interrompersi, poi perché un gruppo di monache, sicuramente stanche dell’assurda regola a cui dovevano sottostare, decisero di abbandonare il convento causando un enorme scandalo.
Una parte di quei problemi furono risolti pochi mesi dopo, quando la marchesa Lanza di Gibellina, rimasta vedova, decise di entrare in convento con il nome di suor Elisabetta Maria della Passione e di donare il suo ingente patrimonio all’ordine, che lo usò per completare i lavori e realizzare un nuovo grande chiostro al posto di quello preesistente.
Dopo la morte di Gjaimo Zummo, nel 1643, è probabile che l’ordine delle Morte-Vive ebbe una vità un po’ più semplice, tanto che sopravvisse fino al 1866, anno in cui gli ordini religiosi furono soppressi ed il monastero di San Vito passò prima in mano al Demanio regio e successivamente ai Carabinieri.
Samuele Schirò
Great Story!