Dopo la folcloristica tradizione del Festino, di solito di celebra la vera festa religiosa dedicata a Santa Rosalia, con il passaggio delle spoglie mortali della Santuzza in processione, all’interno della sfavillante vara argentea, l’urna di Santa Rosalia è un altissimo simbolo di devozione e maestria artigiana.
La si è ammirata con immensa fede tantissime volte ma… cosa si sa di essa?
La cassa reliquiaria che si può ammirare presso la Cattedrale di Palermo, all’interno della Cappella di S. Rosalia, non è la primigenia urna ad aver custodito le sacre reliquie, bensì la terza.
Nino Basile, storico dell’arte palermitano (1866 – 1937) nel suo Schedario ci offre un vero e proprio excursus delle vicende circa la trasposizione delle reliquie della Santuzza, seppur con alcuni limiti, facendo riferimento ad una originaria cassa in legno del 1624, ad una seconda cassa in vetro del 1625 ed, infine, alla terza ed ultima in argento del 1631.
Chi ha realizzato la cassa in argento?
Come ha affermato Maria Accascina (1898 – 1979), storico dell’arte e pioniera degli studi sulle arti decorative, i nomi ricorrenti circa la paternità dell’opera sono quattro e si rifanno a Francesco Rivelo, Giancola Viviano, Giuseppe Oliveri e Matteo Lo Castro, argentieri ampiamente documentati nella produzione artistica del tempo, nonostante soltanto dei primi due si abbia l’effettiva certezza della tipologia dell’intervento, grazie al ritrovamento delle iniziali del nome accanto al marchio di Palermo in una parte della cascia (nel caso di Francesco Rivelo) nonché ai documenti che ne attestano la commessa da parte del Senato (nel caso di Giancola Viviano).
Circa gli interventi di restauro senza alcun tipo di attribuzione indicati dal Basile, si può ben dire, alla luce degli approfondimenti della Prof.ssa Di Natale e del Prof. Vitella, che questi sono stati eseguiti dagli argentieri Giulio Raguseo nel 1667 e Antonino Mollo nel 1716.
Il disegno della cassa, invece, vide la mano di Mariano Smiriglio, nobilissimo architetto del Senato Palermitano dal 1602 al 1636 che preferì un reliquiario che ricordasse per certi versi il dinamismo e la meraviglia degli apparati effimeri processionali.
L’urna reliquiaria del 1625, poco adatta in pieno Seicento a rappresentare stilisticamente l’appassionato fermento barocco, venne riutilizzata per contenere le spoglie di S. Agata.
Come è stata realizzata l’urna di Santa Rosalia?
Definita tecnicamente “a sarcofago” è stata descritta da Gioacchino Di Marzo come una delle più preziose opere che possa vantar l’oreficeria siciliana del secolo XVII.
In argento finemente sbalzato e cesellato, è composta da tre parti sovrapposte: la base, il fusto ed il coperchio.
La base è stata concepita come una sorta di pedana di sostegno, mentre è proprio la parte centrale, caratterizzata dall’aquila a volo alto, simbolo della città, attorniata da quattro putti con scudi e rose, a sorreggere l’urna reliquiaria decorata con scene a rilievo raffiguranti episodi di vita della Santa, vale a dire: Vocazione di S. Rosalia, S. Rosalia alla Quisquina, S. Rosalia riceve i fiori, S. Rosalia incoronata da Gesù.
Il coperchio, terzo livello dell’arca, è definito da sei formelle narranti episodi di vita di Rosalia, dall’abbandono della Quisquina fino al trasferimento presso Monte Pellegrino, arricchite da attributi iconografici come il bastone eremitico, la conchiglia e la corona del rosario, ad indicare il fortissimo legame di Rosalia con la Vergine.
Sulla sommità, la statua della Santa in abiti da monaca basiliana, con in mano il crocifisso ed intenta a schiacciare un drago, da sempre simbolo religioso del male, in questo caso possibile metafora della peste, sconfitta al passaggio delle sue reliquie.
La profonda fede del popolo palermitano nei confronti della Santuzza va ben oltre l’effettiva organizzazione del festino stesso: è appartenenza, identità, devozione che si rigenera ogni anno e allo stesso tempo genera nuovi fedeli.
Lei veglia su Palermo ed intercede presso il Padre; il 15 Luglio ogni preghiera è per Lei.
M. Luisa Russo