
Ed è proprio nei laboratori reali Thiraz di Palermo che sono stati realizzati alcuni dei ricami più ricchi e belli della storia, oltre ad innumerevoli oggetti di fattura straordinaria, che facevano parte di quello che fu definito il Tesoro Imperiale .
Dopo le dominazioni dei Greci e dei Bizantini, maestri eccellenti nell’arte del ricamo, i Saraceni introdussero l’arte della tessitura della seta e dei tessuti d’oro, così che quando Ruggero II capì che i laboratori Thiraz arabi potevano essere potenziati, si adoperò affinché i migliori ricamatori, tessitori e lavoratori della seta, ma anche artigiani abili nel creare con metalli, pietre e gemme, perle e cristalli, avorio, argento e bronzo, si ritrovassero in quello che divenne il luogo più prestigioso per la realizzazione dei lavori tessili e non: il Thiraz di Palermo annesso al Palazzo Reale.
Le creazioni qui prodotte non avevano eguali, le mirabili stoffe destinate ai vestiti e ai mantelli dei sovrani, riprendevano l’arte bizantina, mediorientale, nordafricana, spagnola, che arricchita di filigrana d’oro, smalti e perle, creavano uno stile inedito e unico, che si distingueva dai prodotti realizzati in altri laboratori Thiraz di altre città.
Insomma un vero e proprio atelier riservato ai regnanti, ma di cui potevano servirsi anche nobili ed ecclesiastici.

Questo splendido manufatto, di forma semicircolare, è un’opera di straordinaria sontuosità, se si pensa che le sue dimensioni sono di circa 146 cm di altezza e che la sua apertura raggiunge i 345 cm di diametro. In seta rossa, il suo colore è stato ottenuto dal “chermes“, un colore estratto dal corpo essiccato della cocciniglia, è ricamato con fili d’oro, smalto e perle. Una palma al suo centro, in oro stilizzato, rappresenta “l’albero della vita” con sette rami, e divide in due il mantello. Su ogni lato sono raffigurati in maniera simmetrica, due leoni che sovrastano due cammelli, a rappresentare la potenza sugli arabi da parte dei normanni, a cui rimanda il leone, animale araldico degli Altavilla. Nel bordo inferiore, lungo l’orlo della circonferenza, si legge una scritta in caratteri cufici da cui risulta che venne eseguito nell’anno 528 dell’Egira che corrisponde al 1133/1134 d.C. cioè quattro anni dopo l’incoronazione di Ruggero II. L’iscrizione a lui dedicata dice:
Lavoro eseguito nella fiorente officina reale, con felicità e onore, impegno e perfezione, possanza ed efficienza, gradimento e buona sorte, generosità e sublimità, gloria e bellezza, compimento di desideri e speranze, giorni e notti propizie, senza cessazione ne rimozione, con onore e cura, vigilanza e difesa, prosperità e integrità, trionfo e capacità, nella Capitale di Sicilia, l’anno 528
La fine del regno normanno con i successivi eventi storici, fece perdere la memoria del collegamento fra il prezioso mantello e la Sicilia, tanto che si metteva in dubbio persino la sua provenienza, che invece la scritta conferma in modo chiaro ed inequivocabile. E così da quasi nove secoli, il manto ed altri pezzi pregiati dell’artigianato tessile normanno, come ad esempio i chiriteche, i tibiali, i sandali e la cintura, nonché la preziosa Alba di Guglielmo, anche questi sottratti da Enrico VI, sono rimasti a Vienna, senza che nessuno ne chiedesse la restituzione.
Solo nel 1918, dopo la sconfitta dell’impero austro-ungarico, il trattato di pace siglato prevedeva fra le altre richieste di risarcimento, che l’Austria dovesse restituire all’Italia “tutte quelle opere d’arte sottratte nel corso dei secoli e attraverso svariate vicende storiche a talune regioni d’Italia”. A seguito di questa clausola fu presentata, per quanto riguardava la Sicilia, una richiesta di restituzione di tutti i reperti. La Commissione incaricata della valutazione delle richieste di restituzione, però non accolse la richiesta siciliana rivendicando una discutibile prescrizione del diritto stesso. A questo rifiuto ahimè, le autorità italiane non seppero avanzare nessuna pretesta, e i reperti rimasero a Vienna fino all’annessione dell’Austria al Reich nazista, che appropriandosene, li riportò a Norimberga dove li aveva depositati Enrico VI.
Solo nel 1918, dopo la sconfitta dell’impero austro-ungarico, il trattato di pace siglato prevedeva fra le altre richieste di risarcimento, che l’Austria dovesse restituire all’Italia “tutte quelle opere d’arte sottratte nel corso dei secoli e attraverso svariate vicende storiche a talune regioni d’Italia”. A seguito di questa clausola fu presentata, per quanto riguardava la Sicilia, una richiesta di restituzione di tutti i reperti. La Commissione incaricata della valutazione delle richieste di restituzione, però non accolse la richiesta siciliana rivendicando una discutibile prescrizione del diritto stesso. A questo rifiuto ahimè, le autorità italiane non seppero avanzare nessuna pretesta, e i reperti rimasero a Vienna fino all’annessione dell’Austria al Reich nazista, che appropriandosene, li riportò a Norimberga dove li aveva depositati Enrico VI.
Finita la guerra, con la sconfitta nazista, l’Austria chiese la reimmissione in possesso del manto e degli altri reperti che tornarono al Museo imperiale di Vienna, dove continuano ad affascinare con la loro bellezza gli occhi dei turisti.
Maria Floriti
Gentilissima Floriti, pur non essendo siciliano (sono di Trieste ma da decenni vivo e lavoro a Roma) amo questa splendida isola, in particolare Palermo, in cui ci sono stato diverse volte.
Oltre a farle i complimenti per l’articolo e per la precisione storica (faccio il ricercatore storico presso un Museo Naziobale e quindi parlo con cognizione di causa) , non posso che essere concorde con lei. Il Mantello di re Ruggero II dovrebbe stare a Palermo e non all’Hofburg di Vienna. Chissà, forse un giorno…
Qui di seguito le indico il mio sito in cui ho pubblicato alcuni articoli dedicati a Pakermo d alla Sicilia. http://Www.ilpuntosulmistero.it
Buona giornata.
Giancarlo Pavat
che schifo