Tra i tanti termini per definire i soldi, in lingua siciliana, probabilmente il più comune è picciuli. Da dove deriva questo termine apparentemente inconsueto?
La risposta è presto detta. Sin dalla fine del XV secolo, il Regno di Sicilia adottò una nuova monetazione, il cui pezzo di valore inferiore, si chiamava appunto picciolo, ed era equivalente ai nostri odierni centesimi. Queste monetine di rame erano largamente diffuse, per questo motivo sono diventate sinonimo di denaro, che era appunto l’altro termine usato per definirli.

Ma quanto valeva 1 picciolo? La divisione monetaria non era divisa in centesimi, come oggi. Servivano 6 piccioli per fare 1 grano (da cui deriva il termine grana, sempre utilizzato come sinonimo di denaro), 20 grani facevano 1 taro o tarì d’argento, 12 tarì costituivano 1 piastra.
Con l’avvicendarsi delle dominazioni il valore delle monete cambiava leggermente, così come anche il nome di alcuni dei tagli più grandi.

Successivamente, in epoca borbonica, la moneta da 1 picciolo fu abolita a causa del suo scarso valore e la moneta base divenne quella da 3 piccioli, equivalente a ½ grano. Inoltre vennero introdotte altre monete dal valore superiore, tra cui l’oncia (o onza) una grossa moneta d’argento di 69 grammi e le 2 once, una moneta d’oro di quasi 9 grammi.
Con l’Unità d’Italia questa monetazione fu rimpiazzata dalla lira, che ancora oggi ricordiamo e anche in Sicilia venne introdotta la divisione in centesimi che tutt’ora utilizziamo.