Non tutti lo sanno, ma nell’aprile del 1900 lo scrittore irlandese Oscar Wilde arrivò a Palermo per un breve soggiorno, lontano dai problemi che lo costrinsero a fuggire dalla Gran Bretagna.
La storia dell’autore de “Il Ritratto di Dorian Gray”, è nota a tutti. La sua fama di grande scrittore e uomo di cultura lo rese celebre in tutto il mondo, tuttavia parte della sua vita fu segnata dalle persecuzioni giudiziarie legate alla sua omosessualità, che in quegli anni in Inghilterra era considerata un reato.
Proprio a causa di queste accuse, dopo aver trascorso due anni in prigione ai lavori forzati, Wilde passò molti anni in viaggio, soprattutto tra Francia ed Italia.
Nel suo ultimo anno di vita, dopo un precedente soggiorno a Taormina, decise di visitare Palermo, dove si intrattenne per 8 giorni, dal 2 al 10 Aprile, restando ammirato dalla bellezza della Cappella Palatina e del Duomo di Monreale, ed intrattenendosi tra gli agrumeti della città che lui stesso definisce “deliziosa”.
Lui stesso racconta del suo soggiorno in una bellissima lettera scritta all’amico ed ex amante Robert Ross, subito dopo il soggiorno, dove descrive lo splendore di Palermo nel suo inconfondibile stile poetico.
La sua lettera comincia descrivendo la magia del luogo in cui sorge il capoluogo siciliano e la bellezza degli agrumeti che in quegli anni contraddistinguevano l’aspetto delle campagne intorno a Palermo.
“Come posizione è la più bella città del mondo, passa la vita sognando nella Conca d’oro, una valle squisita divisa tra 2 mari. I boschetti di limone e i giardini di aranci erano di una perfezione così totale che sono diventato preraffaellita e ho aborrito i comuni impressionisti”.
In seguito parla della bellezza dei mosaici che si possono ammirare nella Cappella Palatina e nel Duomo di Monreale, dove spesso si recava in carrozza, restando affascinato anche dai cocchieri che lo accompagnavano fin là.
“In nessun luogo, nemmeno a Ravenna, ho visto mosaici cosi. Nella cappella Palatina, che dal pavimento alla cupola è tutta d’oro, ci si sente veramente come seduti in grembo a un gran favo di miele a guardare gli angeli che cantano. […] Di Monreale hai sentito parlare, con i suoi chiostri e la cattedrale. Ci andavamo spesso in carrozza essendo i cocchieri ragazzi modellati nel modo più squisito. La razza si vede da loro, non dai cavalli di Sicilia”
Infine racconta della sua visita alla Cattedrale di Palermo e al sarcofago di Federico II, per il quale provava una forte ammirazione, e della sua amicizia con un giovane seminarista, Giuseppe Lo Verde, che ogni giorno gli mostrava ogni angolo della chiesa intrattenendosi a conversare con lo scrittore.
“Ogni giorno mi mostrava tutta la cattedrale e io mi inginocchiavo davvero davanti al massiccio sarcofago di porfido nel quale giace Federico II. È una cosa sublime, nuda e mostruosa, color sangue, e sostenuta da leoni, che hanno colto un po’ dell’ira dell’animo irrequieto del grande imperatore.”
Poi si sofferma sulla storia di questo ragazzo quindicenne, entrato in seminario per una ragione “singolarmente medievale” a suo dire. Giuseppe infatti veniva da una famiglia povera e numerosa. Suo padre faceva il cuoco e la casa in cui vivevano era molto piccola, per questo aveva deciso di farsi prete, in modo che in casa ci fosse “una bocca in meno da sfamare”.
Questa ragione, seppur non troppo remota nella società siciliana del secolo scorso, agli occhi dello scrittore doveva apparire fuori dal tempo, abituato com’era ai floridi salotti inglesi e francesi.
“La ragione per cui era entrato nella chiesa era singolarmente medioevale. Gli chiesi perché aveva pensato di farsi chierico e come. Rispose : -” Mio padre fa il cuoco ed è poverissimo e a casa siamo in parecchi, così mi è sembrato bene che in una casetta piccola come la nostra ci fosse una bocca in meno da sfamare […] Io gli dissi di consolarsi perché Dio usa spesso la povertà come mezzo per portare a Sé la gente e la ricchezza mai, o di rado. Così Giuseppe si è consolato e io gli ho regalato un librino di devozioni, molto grazioso, contenente molte più figure che preghiere, dunque di grandissima utilità per Giuseppe che ha bellissimi occhi”.
Questa breve lettera è quasi tutto ciò che resta della visita di Oscar Wilde a Palermo. È uno splendido omaggio alla nostra città e alla sua bellezza senza tempo. Nonostante questa sia molto cambiata dalla sua visita, la sua storia ed il suo fascino sono ancora in grado di incantare chiunque decida di immergervisi.
Fonti: Wikipedia.org – Oscar Wilde
The Letters of Oscar Wilde – A cura di Rupert Hart-Davis
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