Palermo e il gioco del Pallone

Dal gioco delle bocce al gioco del pallone nella Palermo del Settecento

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Oggi quando si parla di “partite di pallone” il nostro pensiero vola subito al calcio, data l’enorme influenza che il nostro sport nazionale ha ormai assunto un po’ dappertutto, tuttavia tale denominazione risale a circa 100 anni prima che il celebre sport fosse inventato ufficialmente in Inghilterra.

Pallone 1700


Sebbene le cronache ci raccontino di come i nobili palermitani del Settecento trascorressero il loro tempo tra ozi, balli e battute di caccia, esistono altre attività, meno documentate ma ugualmente praticate, che appassionavano i cittadini durante il loro tempo libero.

Una di queste attività consisteva nel gioco delle bocce, simile a quello praticato tutt’ora, ma senza il boccino a cui mirare per vincere. A trionfare era il giocatore che riusciva a lanciare la sua sfera più distante. Ovviamente tale attività richiedeva enormi spazi (si giocava nei pressi della Villa Giulia) e causava anche le lamentele di viaggiatori e passanti, che spesso rischiavano di essere colpiti dalle pesanti bocce di legno o di avorio.


Se tale gioco era praticato dai nobili, un altro sport appassionava democraticamente tutte le classi sociali di Palermo, clero incluso. Si tratta del gioco del Pallone, che il Villabianca descrive sommariamente nei suoi opuscoli. Questo gioco, praticato in campo aperto, consisteva nel far volare un grosso pallone di cuoio colpendolo con un “guanto di legno” legato al braccio destro, senza mai farlo cadere per terra. Questo sport veniva regolarmente praticato nei pressi della vigna del Gallo, sotto il baluardo dello Spasimo (oggi via Lincoln) e veniva seguito appassionatamente da spettatori di ogni ceto che, seduti o in piedi, seguivano la partita con attenzione.


Alcuni giocatori affezionati pensarono di assicurarsi il possesso del terreno di gioco, per continuare a praticare il gioco del pallone in un impianto stabile. A tal proposito presentarono un Memoriale al re Ferdinando III che descriveva il gioco ed il favore che esso riscuoteva tra i cittadini. Questa richiesta tuttavia fu ignorata dal re e passata al Senato che, dopo averla analizzata, decise di respingerla e di concedere invece il terreno alla costruzione dell’Orto Botanico. Per questo motivo, anche dopo la costruzione del meraviglioso giardino, i palermitani continuarono a chiamare la contrada “Il Pallone”.

Se la decisione del re e del Senato fosse stata diversa, probabilmente oggi avremmo avuto un nuovo gioco e al posto dell’Orto Botanico avremmo avuto uno stadio settecentesco.

Nonostante il dispiacere per la scomparsa dello sport, a conti fatti possiamo ritenerci soddisfatti e goderci lo splendido giardino. A volte alcune decisioni apparentemente futili sono decisive ai fini della storia di una città.

Samuele Schirò

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Samuele Schirò
Samuele Schirò
Direttore responsabile e redattore di Palermoviva. Amo Palermo per la sua storia e cultura millenaria.

4 COMMENTI

  1. Si trattava di un gioco codificato in Francia sotto il regno di Luigi XIV (1643-1715) e chiamato, in origine, ballon au poing (pallone a pugno) diffusosi poi in tutta Europa e praticato sino alla fine del XIX secolo con molte varianti. A voler azzardare un paragone con uno sport moderno, era una sorta di pallavolo senza rete: il campo di giuoco veniva diviso in due o da una linea tracciata sul terreno o con una fila di mattoncini di altezza non superiore ai tre centimentri; altra analogia con l’attuale pallavolo è che le due squadre in competizione erano formate da sei giocatori ciascuna.

    P. S. Mi permetto di segnalare che l’incisione a corredo dell’articolo non si riferisce a Palermo, né al “giuoco del pallone”, ma ad una partita di cricket giocata nei pressi di Sheffield (Regno Unito).

  2. Ed ancora oggi due toponimi in prossimità dell’Orto Botanico – Via del Pallone e Vicolo del Pallone – ricordano l’antico uso dei luoghi; in particolare, Vicolo del Pallone – già Cortile del Pallone – detto dai palermitani “meno giovani” Curtigghiu Balluni, era “noto” per le risse (“sciarre”) e il linguaggio “colorito” dei suoi abitanti, cosicché quando qualcuna/o eccedeva in – dirò così! – “maleducazione espressiva” a mo’ di sarcastico rimprovero le/gli si diceva: “E unni semu? O Curtigghiu Balluni?” (in Italiano: “E dove siamo? Al Cortile del Pallone?”). 🙂

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