Il palazzo Chiaramonte Steri è l’emblema più rappresentativo del casato dei Chiaramonte che, agli inizi del Trecento al culmine della loro potenza e ricchezza, avevano acquistato a Palermo, a ridosso dell’antica Kalsa, un’enorme estensione di terre paludose dal convento di S. Maria di Ustica, le avevano bonificate e dato inizio (sembra su preesistenze più antiche), alla costruzione del loro palazzo fortificato “Hosterium Magnum” (donde il nome Steri) che doveva rappresentare l’importanza della famiglia e del potere politico che essi esercitavano in città.
Il Palazzo Chiaramonte “Steri”: la storia
Palazzo Chiaramonte, edificato nel 1307, è il più solenne e splendido documento dell’arte chiaramontana, singolare innesto di forme islamiche, normanne e gotiche, amalgamate in un’arte tutta ed esclusivamente siciliana. Sede vicereale, della Regia Curia, del tribunale del Santo Uffizio e infine sede di uffici giudiziari, il palazzo oggi è sede del rettorato universitario, una delle maggiori istituzioni culturali della città.
In origine la storica dimora era circondata da un grande e rigoglioso giardino ricco di piante ornamentali, di alberi da frutto e con tanti animali esotici.
Era stato costruito seguendo i canoni del palazzo residenziale, tipica dimora aristocratica medievale, rispondente all’esigenza di esprimere con la sua forma severa e massiccia la potenza e la grandezza dei Chiaramonte. Nel contempo questo palazzo, grazie al suo cortile interno con portico sottostante e loggiato superiore, che anticipa il modello rinascimentale della grande residenza nobiliare, si pone come uno dei primi prestigiosi esempi di palazzo signorile italiano, ed è arrivato fino ai nostri giorni come testimonianza di un’epoca.
Descrizione del Palazzo Chiaramonte “Steri”
Nel prospetto antistante la piazza è possibile cogliere gli elementi della tradizione architettonica trecentesca nelle ampie finestre bifore e trifore, con le caratteristiche decorazioni ad intarsio.
L’ingresso al palazzo, oggi avviene sul lato orientale, presso la cappella trecentesca di Sant’Antonio Abate, coperta con volte costolonate e con un bel portale quattrocentesco, anche questa fatta edificare da Manfredi Chiaramonte come cappella privata della famiglia. La magnifica corte a duplice loggiato presenta forme essenziali con una serie di arcate a sesto acuto poggianti su colonne con capitelli di diverso aspetto e di diversa provenienza.
La sala magna terranea (oggi adibita a spazio espositivo) ricalca modulo e dimensione della sala magna superiore: molto interessante la spina di grandi arcate in pietra, che attraversa tutto l’ambiente dando l’effetto di una spazialità superiore a quella reale.
Dall’interno del cortile, tramite una scala interna a rampe contigue, si accede alla “Sala Magna”, il cui soffitto ligneo a cassettoni di rara suggestione, è il più grande soffitto dipinto rimastoci a testimonianza della ricchezza di questi elementi strutturali e decorativi.
Un grandioso complesso figurativo e ornamentale di grande efficacia descrittiva, un eccezionale ciclo pittorico di arte “mudejiar” che trova riscontro solo nei più preziosi “artesonados” spagnoli. Venne realizzato in soli tre anni tra il 1377 e il 1380, per volontà di Manfredi III, da tre artisti popolareschi siciliani che ci trasmisero i loro nomi in tre iscrizioni, di cui una fino a pochi anni fa non era conosciuta. L’uno è Cecco di Naro “Chicu pinturi di Naru“, l’altro è Simone da Corleone “mastru Simuni pinturi di Curiglu“, e il terzo è un tal “mastru Darenu pingituri di Palermu“.
Vi sono raffigurate scene dell’antico testamento, leggende cavalleresche, episodi popolari, scene d’amore, stemmi nobiliari ed episodi celebrativi della famiglia Chiaramonte. Senza dubbio nelle travi di questo soffitto è condensata una vera enciclopedia medievale. Certamente una mente organica concepì il vastissimo disegno dell’opera, la scelta delle molte leggende raffigurate in queste pitture non può essere attribuita solo all’iniziativa dei tre pittori (probabilmente allo stesso committente?). Forse i Chiaramonte con lo sfarzo di questa vistosa decorazione ambivano a dare un segno appariscente della loro ricchezza e potenza? Certo è che il soffitto dello Steri è un’opera di straordinaria bellezza che nei secoli è rimasta oggetto di ammirazione:”l’opera più insigne di decorazione pittorica prodotta in Italia nel XIV secolo” (G. Spatrisano).
Da questa sala, attraverso eleganti finestre bifore con delle sottili colonnine bianche, le stesse che vediamo dall’esterno, adorne di cornici in tufo intagliato e intarsi a zig-zag in pietra lavica, arte chiaramontana per eccellenza, possiamo ammirare l’odierna piazza Marina, ombreggiata dall’immenso ficus Magnolioides di villa Garibaldi, che visto da qui, sembra di dimensioni ancora più grandi.
Sempre al primo piano si trovano altri ambienti di rappresentanza, come la sala che oggi ospita lo studio del rettore e la “sala dei vicerè,” con bel soffitto ligneo, destinata alle sedute del senato accademico.
Altro ambiente di notevole bellezza è l’altra sala del piano superiore chiamata delle “Capriate“, così detta per le caratteristiche capriate che sorreggono il tetto, che il rettorato mette solitamente a disposizione per convegni e conferenze.
Agli inizi del Seicento, al tempo del tribunale dell’Inquisizione, il palazzo fu interessato da radicali trasformazioni per adattarlo al nuovo uso. Si progettarono e si realizzarono in pochi anni le carceri dei “penitenziati” e la porta monumentale sul piano della marina. Vennero realizzati anche la scala e i vani di collegamento delle celle con la “stanza del secreto“, dove gli inquisitori si riunivano per emettere le sentenze. In seguito, furono costruite le celle del primo piano e si eseguirono altri lavori che comportarono una notevole trasformazione dell’originaria configurazione dell’edificio.
Al pianterreno, oltre alle celle erano sistemate le sale di tortura dove avvenivano gli interrogatori dei carcerati, anche se il tribunale dell’inquisizione poteva condannare con una sola testimonianza. Agli inizi del Novecento sono stati scoperti dal grande studioso delle tradizioni popolari siciliane Giuseppe Pitrè, sotto gli intonaci, graffiti con disegni e frasi di dolore dei carcerati che vi erano rinchiusi, che lo studioso riuscì a salvare dalla completa distruzione. Altre testimonianze del periodo dell’inquisizione sono state scoperte nel corso di più recenti restauri, quei muri che sembravano custodire solo quei pochi graffiti scoperti dal Pitrè, invece occultavano scritti e disegni di una straordinaria varietà, un vero patrimonio di interesse storico e culturale.
Un monumento- documento della storia di Palermo
Nei suoi quasi sette secoli di vita, il palazzo-fortezza dei Chiaramonte si può dire che ha accompagnato la storia di questa città, è stato testimone di tantissimi eventi storici, di episodi tragici, di avvenimenti pubblici e privati che si svolsero dentro e fuori le sue mura.
Il piano della marina per secoli fu teatro di spettacoli solenni come cavalcate, tornei, giostre, ma anche di un altro genere di spettacoli: questo luogo, infatti, era destinato alle esecuzioni capitali dei condannati a morte. Vi sorgeva in permanenza il patibolo per i criminali di bassa estrazione, e di volta in volta, veniva innalzata la mannaia per le esecuzioni di nobili e borghesi. Anche il famigerato tribunale del sant’Uffizio (che di santo aveva ben poco) vi svolgeva i suoi roghi e celebrava gli autodafè (atto di fede), che contribuivano a dare a questo luogo un aspetto lugubre e sinistro.
Da notare nella facciata rivolta verso piazza Marina, nel secondo ordine, si vedono scavati nella pietra dei solchi, lasciati dalle pesanti gabbie di ferro che pendevano dai merli del palazzo (macabro monito), dove per oltre due secoli e mezzo vi erano esposte le teste dei nobili condannati a morte per la sfortunata congiura filo-francese del 1523, nota con il nome di “Congiura dei fratelli Imperatore” dove fu giustiziato tra gli altri Federico Abbatellis conte di Cammarata, proprietario del palazzo contiguo allo Steri.
Un eguale tragico destino accomuna questi personaggi, ultimi proprietari di questi due palazzi: Andrea Chiaramonte e Federico Abbatellis furono spogliati dei loro beni e decapitati entrambi.
Lo Steri un tempo era il simbolo del potere sociale, economico, militare e politico, di una signoria splendida e imperiosa che osò sfidare l’autorità della Corona.
Oggi rimane uno dei più importanti monumenti del nostro patrimonio architettonico, parte di quel grande “museo a cielo aperto” che è questa nostra splendida città.
Chi erano i Chiaramonte
L’affermazione dei Chiaramonte (originari da Clermont-en-Beauvais), si delinea prima della fine del XIII secolo, con la costituzione di un grande patrimonio feudale che si realizza in seguito a una doppia successione femminile: Manfredi I infatti, eredita dalla madre Markisia Prefolio il casale di Caccamo, col suo castello turrito e merlato, e acquisisce attraverso la moglie Isabella, figlia di Federico Mosca, la Contea di Modica, la più grande Contea di Sicilia.
I Chiaramonte dominano, oltre che nella contea di Modica, su Palermo, su Agrigento e sull’immenso territorio posto fra le due città. Grazie a questi vasti possedimenti terrieri erano diventati potentissimi, e proprio a Palermo si imponevano come potere alternativo alla Corona, così forte e arrogante al punto che solo con il loro consenso i deboli sovrani aragonesi avevano libero accesso in città. Era fatale che in tali condizioni il turbolento baronaggio siciliano tentasse di opporsi al soverchiante potere dei Chiaramonte, così che, dopo la morte dell’ultimo re aragonese Federico IV, nell’isola si visse in un clima di profonda anarchia e la Sicilia fu teatro di una accesa guerra di fazioni che coinvolse i più potenti signori feudali del tempo divisi in due partiti: la fazione latina e la fazione catalana: la prima, capeggiata dai Chiaramonte, era composta dai discendenti dell’antica nobiltà di origine normanna e sveva ormai naturalizzata siciliana; la seconda, capeggiata dagli Alagona, era composta dalla nobiltà di più recente importazione iberica.
L’arroganza, la potenza economica delle grandi famiglie comitali cresce a dismisura e tocca l’apice quando incuranti dell’autorità regia, le quattro più potenti famiglie del regno, i Chiaramonte conti di Modica, i Ventimiglia conti di Geraci, gli Alagona conti di Agosta e i Peralta conti di Caltabellotta, arrivarono a spartirsi sia politicamente che territorialmente la Sicilia, instaurando un governo chiamato dei “Quattro Vicari“.
Ma quando la giovane figlia dell’ultimo re aragonese Maria di Sicilia, andò in sposa a Martino (il Giovane), duca di Montblanc, si sancì l’unione delle corone di Sicilia e di Aragona mettendo la nobiltà siciliana di fronte a una situazione complessa, e determinando in pratica, la fine della supremazia dei quattro vicari e dei loro privilegi.
In questo stato di cose, molti baroni cominciarono a trattare con Martino, comprendendo infatti che l’unica via per salvare la propria posizione era quella dell’accordo con il sovrano aragonese. Il nuovo re venuto dall’Aragona, trovò unico fiero oppositore in Andrea Chiaramonte, figlio bastardo di Manfredi III, che insieme a pochissimi fedeli tentò a Palermo una disperata resistenza. Ma era troppo impari il rapporto di forze e dopo un mese di assedio Andrea Chiaramonte si arrendeva e si sottometteva a Martino di Montblanc.
Il primo di giugno del 1392 venne decapitato ai piedi del palazzo dei suoi avi, simbolo della potenza e dell’orgoglio del suo casato.
Morto Andrea, i Chiaramonte scomparvero dalla storia e i sovrani aragonesi, intrapresero una politica volta a cancellare la memoria del periodo chiaramontano, confiscarono l’immenso patrimonio immobiliare della famiglia che passò al demanio regio: compreso il palazzo-fortezza del Piano della Marina.
Il prestigio e la magnificenza dei Chiaramonte influenzò la cultura architettonica del trecento, che è passata alla storia sotto il nome di “arte chiaramontana”: singolare innesto di forme islamiche, normanne e gotiche, amalgamate in un’arte tutta ed esclusivamente siciliana.
Nicola Stanzione
foto by www.palermodavedere.it
Per visitare il Palazzo Steri
- INDIRIZZO: piazza Marina, 61
- Orari: aperto dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 19.00. Lunedì chiuso
Ho visitato lo Steri nel pomeriggio di domenica 24 aprile (chiaramente aperto al pubblico). Vale veramente la pena di vederlo! Faccio però notare che il biglietto è di 8 euro anziché 6. La visita guidata è durata 1 ora anziche’ 1e 1/2 così come scritto in tutti i siti compreso quello della Provincia di Palermo.
Interessantissimo il racconto storico, e minuziosa quanto bella la descrizione di questo nostro importante monumento cittadino che ha una lunga e rocambolesca storia dietro di se…. Complimenti come sempre!