La parola “Carnevale” deriva dal latino “carnem levare“, togliere la carne, e indica il periodo che precede la Quaresima, in cui, secondo la tradizione religiosa, la carne è proibita.
Le prime notizie storiche sul Carnevale siciliano risalgono al 1600 e riguardano proprio la città di Palermo. Un detto antico palermitano dice: “Doppu li tri Re, tutti olè” a significare che dopo la Festa dell’Epifania, dove i protagonisti sono i tre Magi, viene il Carnevale, festa di scherzi, balletti, entusiasmo e divertimento.
Un tempo il Carnevale aveva inizio intorno al 12 gennaio, quindi una settimana dopo l’Epifania ed aveva il suo culmine più intenso gli ultimi tre giorni che precedevano il Mercoledì delle Ceneri.
A Palermo esisteva un celebre magazzino, conosciuto anche fuori le mura della città, di un certo Settimo Cane, che possedeva una vastissima varietà di maschere che la gente usava per travestirsi, pagando anche la polizia che dava loro il permesso di farlo liberamente.
Il Carnevale, nella nostra isola, era il periodo dell’anno in cui le famiglie si riunivano festose, era tempo di aggregazione sociale e di allacciamento di amicizie, periodo di banchetti e mangiate, che come si sa fanno bene al palato e all’umore.
Scriveva il Pitrè che i quattro “giovedì di Carnevale” alludevano tutti alla cucina e alla “pappatoia”ed erano importantissimi per i nostri cari antenati.
Il primo era detto “joviri di li cummari, cu unn’havi dinari si’mpigna lu falari” (giovedì delle comari, chi non ha soldi si impegni il grembiule) a significare l’importanza di mantenere saldi i rapporti di comparato, a costo di fare debiti, ma era obbligo mangiare insieme. Il secondo giovedì era detto “joviri di li parenti, cu unn’havi dinari si munna i denti” (se non ha niente da mangiare si ripulisce i denti). Anche questo giovedì sottolinea il fattore economico che non conta pur di stare insieme ai propri cari e festeggiare insieme. Il terzo era detto “joviri zuppiddu, cu unn’havi dinari, mali è pi iddu” (chi non ha soldi peggio per lui). L’ etimologia di tale parola non è certa, c’è chi sostiene che “zuppiddu” è una maschera diabolica, c’è chi sostiene che zuppiddu affonda le radici in Bacco, l’importante è comunque festeggiare e mangiar grasso. L’ultimo giovedì è “Joviri grassu o lardaloru“, appellativo derivante dalla minestra caratteristica del menù di questo giovedì, il cui principale ingrediente è il lardo. Conferma ne sarebbe anche il proverbio che recita: Lu Joviri grassu, chi n’havi dinari s’arrusica l’ossu, oppure “Lu joviri lardaloru, cu unn’havi dinari si impigna lu figghiuolu”.
Nessun rancore, dunque, il Carnevale cancella tutto. Dinnanzi ad un bel bicchiere di vino e tanto grasso mangiare, l’amicizia, l’amore e la concordia trionfa, ma è sempre così?
Attualmente l’abitudine di festeggiare il Carnevale è ancora molto sentito in tutta l’isola, specialmente dai più piccoli. Molte sono le feste organizzate dai privati, ma ancora più numerose sono quelle organizzate in forma pubblica e che possono vantare una secolare tradizione. Ogni paese ha la propria tradizione e la propria data di inizio del Carnevale, il giorno più sicuro è il “Martedì Grasso”, che precede le “Ceneri” primo giorno di Quaresima.