Ma quanto è buono il pane a Palermo!?

Il palermitano può rinunziare a tutto ma non al pane!

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Il pane è buono dappertutto, e in ogni luogo ha la sua forma, il suo sapore, la sua tradizione. Come non ricordare il famoso ed eccellente pane di Piana degli Albanesi, quello di Monreale, il pane nero di Castelvetrano e quello impastato con grani antichi siciliani ormai quasi scomparsi. 
Ma quanto è buono il pane a Palermo! Esclamano gli amici venuti da fuori, la prima volta che lo assaggiano. Il pane a Palermo è davvero buonissimo ma per il palermitano rappresenta molto più di un semplice alimento. Ecco perché.

Parliamo del pane

Il pane è uno degli alimenti più antichi, conosciuto in tutte le culture, specialmente quelle povere, semplici, contadine. Basta pensare che viene citato persino nell’Antico Testamento della Bibbia e Gesù lo sceglie come segno della sua presenza. 
D’altronde, il pane è  tanto buono da essere diventato la metafora della bontà: “Buono come il pane” si dice delle persone per bene. Ma non solo: da sempre è considerato come accompagnamento di ogni altro alimento: companatico viene da da “cum panis” (insieme al pane) e addirittura “i compagni” sono coloro tanto intimi da condividere lo stesso pane (companion)!
Ciò che lo fa buono è la semplicità della sua ricetta, in pratica acqua, farina e lievito; ciò che lo ha reso essenziale è la composizione ricca di calorie utili a sostenere il duro lavoro dei contadini. 
Oggi il pane è un po’ bistrattato dai nutrizionisti per via dell’alto contenuto calorico e del terrore che ormai incutono la farina bianca, insieme allo zucchero e al sale. Ma la tradizione si sa è dura a morire e così il palermitano è disposto a rinunziare a tutto, ma mai al pane: “U pani c’è!” esclama la mamma ai figli, “Papà u purtò u pani!” va tutto bene, l’essenziale è garantito!

Il pane a Palermo

Per il palermitano comprare il pane è un rituale che si perpetua almeno due volte al giorno: a pranzo e a cena, appena sfornato. Per questo a Palermo si panifica più volte al giorno fino alla sera. Se entri in un panificio di pomeriggio, prima della sfornata, la commessa ti avvisa che il pane in vetrina è della mattina e te ne assumi la responsabilità se lo prendi ugualmente. E sì, perché se non lo mangi freschissimo, cioè caldo, dopo qualche ora il pane può risultare un po’ “gommoso”. Ma non è sempre vero!
A Palermo, di solito, si prende più pane di quello che serve, un po’ perché non si sa mai, e poi perché il primo pane viene consumato prima ancora di arrivare a casa, pezzetto dopo pezzetto. 
E se rimane? niente paura, il pane non si butta, sarebbe una offesa “au Signuruzzu”: i resti diventeranno pan grattato per infarcire involtini o panare carni e verdure oppure tostato come condimento di numerose pietanze tipiche a Palermo (pasta c’anciovi e a muddica, pasta con le sarde, u sfinciuni…). Insomma, la mamma palermitana saprà usare quel che rimane del pane per preparare pietanze che non ti aspetti.

La forma del pane

Tradizionalmente, nei paesi di Sicilia il pane ha due forme: la pagnotta tonda da mezzo o un chilo, oppure il filone, allungato, da mezzo chilo o un quarto di chilo (quartino). A Palermo, invece, il pane ha tantissime forme e tre “pezzature”: pane, panino, bocconcino, rispettivamente 200, 100, 50 grammi… circa. Dobbiamo aggiungere il “circa” perché oggi il pane viene venduto “al pezzo” e non importa a quanto viene al chilo.
Negli anni settanta, invece, il pane veniva pesato, per cui era necessario aggiungere un pezzo di pane tagliato per raggiungere il peso esatto, “la junta”. Non c’erano i sacchetti di carta, per cui il pane veniva avvolto nella carta leggera, marrone chiaro, e legato con lo spago, non prima di avere aggiunto una manciata di crostini ricavati dalle millefoglie rimaste invendute, tagliate a pezzetti e tostate.

Il pane viene preparato dai “panificatori” nel retrobottega del panificio. Una volta cominciavano di notte fonda, in ogni caso mentre ancora la città dorme, per essere pronti con la prima sfornata la mattina presto per soddisfare i lavoratori mattinieri e gli scolaretti che prima di andare a scuola passano nel panificio a prendere la merendina: una pizzetta, una treccina e una volta la millefoglie (sorta di pane dolce e morbido spolverato di zucchero e la millefoglie impastata insieme all’uvetta).

Fare il pane a Palermo è un’arte perché anche se adesso i macchinari aiutano, le forme tipiche sono opera dell’abilità del panettiere. La farina può essere bianca, tipo 00, oppure di “rimacina”. Il lievito, di birra oppure più tipicamente quello “madre”, ottenuto dalla acidificazione del pane in pasta. Può essere infornato direttamente nel piano del forno e risultare piuttosto croccante, “pane forte” viene detto, oppure posto nelle teglie rettangolari ottenendo un pane più morbido, chiamato “a birra” (non chiedetemi perché questa definizione!). La superficie è cosparsa abbondantemente di cimino (semi di sesamo), ma a volte anche senza.

Ogni forma ha il proprio nome e sarebbe bello scoprirne l’etimologia benché credo che sia piuttosto difficile. Senza entrare nella fantasia di molti panettieri che ne inventano ogni giorno di nuove, le forme più tipiche sono quelle allungate, i “filoni” che prendono i nomi di “signorine”, parigini e pizziati, chi ancora li fa! E le forme più compatte: mafalde, scalette e torcigliati.
I panini tendenzialmente riproducono in piccolo le forme ed i nomi dei pani, eccezione per il toscanino (una specie di grosso grissino), la pagnottina e il famoso semprefresco, il panino più usato a Palermo e non solo. I bocconcini sono dei semprefreschi in miniatura mentre sono diventate rarissime le “rosette”, forma industriale, che in realtà non è un pane originario di Palermo.

Il pane nella tradizione popolare di Palermo

Un alimento così importante non poteva non diventare elemento per tradizioni popolari e religiose.
La più importante a Palermo è una tradizione “privativa”, cioè non si mangia il pane solo il giorno di santa Lucia, il 13 dicembre, e i panifici rimangono chiusi. Per conoscere la tradizione puoi leggere “Santa Lucia, arancine, panelle e cuccìa”.
Per la festa di san Giuseppe, il 19 marzo, i panificatori sono soliti donare dei piccoli panini impastati con finocchietto ingranato che portati in chiesa vengono benedetti e distribuiti ai fedeli. 
Per il giorno dei morti, il 2 novembre, si è soliti mangiare le moffolette, pagnottine morbidissime di farina di rimacino, aperte in due e condite con olio d’oliva e acciughe. 

A questo punto cosa fare? Appena possibile, andiamo a mangiare un bella pagnottina con panelle oppure mezza mafalda con la milza! E buon appetito: ma quanto è buono il pane a Palermo!? 

Saverio Schirò

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Saverio Schirò
Saverio Schiròhttps://gruppo3millennio.altervista.org/
Appassionato di Scienza, di Arte, di Teologia e di tutto ciò che è espressione della genialità umana.

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