La Festa dei morti a Palermo è una delle più sentite tradizioni palermitane: l’evento è triste ma ricordare i morti il 2 novembre è considerato una festa.
Ricordarli significa andare al cimitero, porre sulle tombe fiori freschi e dir loro qualche preghiera “Pi rifriscarici l’arma” si usa dire in siciliano (Rinfrescarci l’anima) e raccomandarla alla clemenza di Dio. Festeggiare i morti, invece, significa comprare giocattoli per i bambini e dolciumi tipici di questa ricorrenza.
I giocattolai della nostra città, nei giorni che vanno dalla fine di ottobre al 2 novembre, tirano un sospiro di sollievo, perché le casse vengono di certo rimpinzate.
La tradizione è quella che per la festa dei morti, i genitori regalano ai bambini dolci e giocattoli, dicendo loro che sono stati portati in dono dalle anime dei parenti defunti (leggi: Il giorno dei morti raccontato da Andrea Camilleri).
La festa dei morti nella tradizione
Un tempo era d’obbligo comprare ai bambini la “Pupaccena” o “Pupa ri zuccaro“, una statuetta di zucchero colorato rappresentante solitamente ballerine, contadine con tamburelli per le bambine, e cavalli con rispettivo cavaliere o paladini per i maschietti, ora sostituite con personaggi di cartoni animati molto più appetibili per i nostri piccoli.
Un’antica leggenda racconta che un nobile arabo invitò a cena alcuni ospiti e il suo cuoco, visto le ristrettezze economiche del suo padrone, creò, con lo zucchero, una statuetta, che fu tanto apprezzata dai commensali, da qui il nome “Pupaccena” o “Pupi a Cena”.
La pupaccena trionfava al centro di un cesto pieno di mandorle, noci, melograni, castagne e fichi secchi, biscotti detti “Ossa ri muortu“, Tetù, Reginelle, Taralli dolci e la tipica Frutta Martorana fatta con pasta di mandorle dipinta, che le mamme o le nonne preparavano per i propri bambini.
E poi caramelle, cioccolatini e filamenti dorati o argentati che rendevano ancora più colorato il festoso cesto. I giocattoli invece consistevano in pistole, spade, fucili, tamburi per i maschietti mentre per le bambine bambole, passeggini e pentoline.
Al mattino del 2 novembre tutti i bambini si svegliavano presto ed eccitati andavano a cercare il luogo dove i loro parenti defunti avevano portato i regali. Altroché se non era una festa, era proprio un miracolo!
La sera prima, in alcune case, si usava nascondere la grattugia perché si diceva che i morti sarebbero andati a grattare i piedi a chi si fosse comportato male.
Un tempo si usava anche recitare una filastrocca che diceva:
“Armi santi, armi santi (anime sante)
Io sugnu unu e vuatri siti tanti: ( io sono uno e Voi siete tante)
Mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai (mentre sono in questo mondo di guai)
Cosi di morti mittitiminni assai“(Regali dei morti mettetemene molti)
Nel tempo, a questi semplici regali si sono aggiunti giocattoli costosi e i bambini ormai sanno che i morti non portano nessun dono. Si è perso così, quel velo di mistero gioioso che aleggiava in tutte le case di quel tempo.
L’origine di questa usanza è certamente incerta, probabilmente il suo significato va ricercato nei culti pagani delle popolazioni che ci hanno preceduto e al banchetto funebre di cui si ha ancora un ricordo. Infatti in Sicilia, principalmente nei paesi, dopo la morte di un proprio caro e dopo la tumulazione è usanza che i vicini di casa offrano il pranzo ai parenti che hanno vegliato tutta la notte, il cosiddetto “consulu“.
Dopotutto tutt’oggi nei nostri cimiteri non è raro vedere “tavolate” apparecchiate proprio sulle lapidi dei defunti e mangiate e… ma questo è un altro discorso.