Ho conosciuto Padre Pino Puglisi il 3 gennaio del 1977. Avevo 17 anni. Di episodi simili a questo ne esisteranno a centinaia, ma l’averlo incontrato di persona, per me, è stato un vero privilegio e lo voglio raccontare proprio oggi, a pochi giorni dalla celebrazione della sua beatificazione.
Io sono convinto che dietro alla figura di un “santo” autentico, ci deve essere la realtà di un uomo autentico, cioè di un Uomo con la U maiuscola. Certo, nel caso di padre Puglisi c’è tutta la traiettoria del suo ministero sacerdotale, l’impegno per riaccendere la speranza nei giovani che ha lungamente frequentato, la rivalutazione di un quartiere difficile come quello di Brancaccio a Palermo che gli è valso l’appellativo di prete antimafia e che gli ha causato il martirio proprio lungo quelle strade.
Ma a me è bastato il ricordo di quell’incontro per sapere che tipo d’uomo egli era.
Il 3 gennaio del 1977 era di lunedì e faceva molto freddo, benché non piovesse. Insieme ad altri cinque ragazzi coetanei avevamo deciso di trascorrere qualche giorno in montagna. Il luogo che avevamo scelto era Valle Agnese, nei pressi di Godrano, un luogo incantevole che i miei amici conoscevano per i loro trascorsi di scout.
Muniti di zaini, pentolame, tende canadesi e sacchi a pelo arrivammo in pullman a Godrano e da lì a piedi su per la vallata. Il tempo di montare le tende, organizzare il campo e provvedere alla legna e ci accorgemmo che uno dei compagni stava male: Salvo aveva gli occhi lucidi e la fronte bollente. Che fare? Decidemmo di andare in paese e chiedere aiuto. Il primo, ingenuo, pensiero fu di rivolgerci al parroco piuttosto che alla guardia medica e così ci dirigemmo in parrocchia. Era chiusa e bussammo nell’adiacente casa canonica. Ci aprì il parroco, l’allora quarantenne, don Pino Puglisi. Ci accolse in casa e volle che il ragazzo febbricitante rimanesse con lui in canonica. Lasciammo Salvo con don Pino e tornammo in montagna.
Il campeggio si svolse tranquillamente ed ogni giorno scendevamo in paese per vedere il nostro amico che pian piano si riprendeva. Mercoledì stava quasi bene e don Pino ci assicurò che il giorno dopo lo avrebbe accompagnato lui stesso, in macchina, fino alla valle.
Il giovedì sarebbe stato il 6 gennaio, Epifania del Signore, festa di precetto. “Perché non viene a celebrare la Messa su in montagna?” gli chiedemmo.
“Perché no!?” rispose subito, “Domani, dopo la Messa in parrocchia, salgo da voi”.
Eravamo emozionati.
Preparammo il posto sistemando per altare un enorme tronco già tagliato in due, e grossi ceppi sistemati intorno per sederci. Puntualmente don Pino si presentò insieme a Salvo e la valigia con l’occorrente per la celebrazione della Messa. C’era un vento bestiale e fummo costretti a legare la tovaglia sull’altare con una corda. Poi, passeggiando a braccetto tra gli alti pioppi, uno ad uno ci confessammo tutti e così iniziò la celebrazione.
Eravamo in sei, sette con padre Puglisi.
Ricordo ancora le prime parole che pronunciò in quella celebrazione: “Cominciamo la santa Messa in questa meravigliosa casa di Dio che è la natura”.
Mangiammo insieme, lì seduti sui tronchi, dopodiché lui tornò in paese.
Non ricordo di averlo rivisto altre volte, se non di sfuggita, ma quel ricordo mi aveva segnato.
Un episodio in sé insignificante, lo capisco, probabilmente dimenticato da lui stesso, ma per me molto importante. Avevo visto l’uomo e il prete così come l’ho sempre concepito: attento ai bisogni dell’altro e libero dalle convenzioni.
Questa piccola tessera certamente non aggiunge molto al meraviglioso mosaico della sua vita pubblica e tuttavia credo che in qualche modo ne mostri un aspetto essenziale: un piccolo aneddoto di una vita vissuta in maniera riservata e tutto sommato nascosta, dove solo i fatti, i gesti e la coerenza conditi dall’amore per l’uomo ne hanno segnato la traiettoria.
Per non dimenticare…
Saverio Schirò
Grazie, davvero una bella testimonianza
Questo è il mio personale ricordo di Padre Puglisi
Una classe di adolescenti che si affaccia nel mondo della scuola superiore, alcune con lo sguardo un po’ spaurito e intimidito, altre spavalde e sicure. Non avevamo idea di quello che ci aspettava, di quello che avremmo dovuto affrontare, di chi ci avrebbe guidato e istruito: la Prof di Lettere e quello di Storia e Filosofia si presentarono e ci piacquero molto; poi sei entrato tu, minuto e sottile, ti confondevi fisicamente tra di noi (alcune alunne erano persino più alte d te), dolce e affabile capimmo subito che potevi essere “uno di noi”, certamente non da temere, ma con cui potere parlare e anche ridere. Durante una delle prime lezioni dicesti che avevi “il pallino del Vangelo”, e fu così che immediatamente ti appioppammo il nomignolo di “Padre Pallino”, e tu, arrossendo, sorridevi. Era piacevole l’ora di Religione: potevamo sederci sui banchi, ti ascoltavamo e facevamo domande alle quali rispondevi sempre con la semplicità che caratterizzava ogni tuo gesto.
E poi tra i miei ricordi riaffiora la tua Fiat 126, verde, non certo nuovissima, con la quale mi riportasti a casa al rientro da un ritiro pasquale, dato che le mie amiche non avevano esitato a lasciarmi sola per farsi accompagnare dai loro fidanzatini.
Gli anni del liceo passarono, arrivò la sospirata Maturità, e non ti incontrai più fino a quando, molti anni dopo, dovendo celebrare il matrimonio della mia migliore amica e tua ex alunna, ti ho rivisto e mi sembrò che non era passato neanche un giorno dall’ultima volta. Mi sembravi persino più alto mentre celebravi la Messa ma sempre dolce, affabile, sorridente.
E quella fu l’ultima volta che ho potuto parlare con te: dopo, il tuo ricordo si lega ad una telefonata concitata e rotta di pianto a cui non volevo credere, sei diventato un’immagine vista al telegiornale, un lenzuolo disteso per terra che pietosamente ti ricopre il viso, un’icona, un simbolo, un nome ripetuto tante e tante volte per indicare un uomo giusto, un uomo buono.
Per me, sarai sempre “Padre Pallino”.
Grazie, bellissima testimonianza.
Grazie per la testimonianza Patrizia.
Che bella esperienza. La ricordo anch’io con gioia. Il tuo racconto mi ha(k(o)) trasmesso un’emozione da brividi. La serenità, la disponibilità la voglia di stare in mezzo alla gente e la semplicità che lo distinguevano, erano il segno tangibile del progetto di Dio. Quel breve, ma ricco campeggio fatto in quel lontano 1977 mi ha lascito un’ indelebile sensazione meravigliosa. Io rividi diverse volte don Pino in incontri fugaci in presenza della mia fidanzata davanti al duomo di Palermo. Poi ci perdemmo di vista.
Davvero indimenticabile: Natura, amici, spiritualità! Tutto quello che basta per stare bene. Grazie per la condivisone del ricordo Gianni.
Bellissima testimonianza. Puglisi grande uomo.