Correva l’anno 1514 a Palermo, e durante dei lavori di scavo eseguiti nella Rocca delle prigioni del Palazzo Reale, ecco venir fuori dei cadaveri mummificati: erano donne, nobili a giudicare dai vestiti di seta che ancora indossavano. I palermitani che assistettero al loro ritrovamento rimasero stupiti e affascinati dal mistero tanto da coniare un proverbio: “Le donne che malamente vennero a Palermo” ma che il popolo, nei secoli seguenti, fece diventare “li tri donni chi mali ci abbinni”, detto per scherzo quando i giovani sfaccendati dell’Albergheria vedevano passare tre ragazze insieme.
È lo storico Tommaso Fazello che riporta questo episodio come testimone oculare, ma ciò che incuriosisce è capire chi fossero queste donne e di cosa erano state accusate per essere state probabilmente murate vive in queste segrete?
Dobbiamo fare un salto indietro di tre secoli, al tempo di Federico II di Svevia il grande imperatore del Sacro Romano Impero.
Certamente Federico II nella storia di Palermo ebbe una certa rilevanza: quando fu imperatore fece della sua corte un centro di cultura notevole: si circondò di intellettuali di grande spessore e fu il fondatore della prima poesia artistica italiana. Fu soprannominato lo Stupor Mundi per via della sua personalità affascinante che ha catturato l’attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, che lo vedevano protagonista nel bene e nel male. Eccellente uomo di cultura, Federico non andava tanto per il sottile sul campo politico: sono noti i mezzi sbrigativi e crudeli adoperati nei confronti di nemici e avversari, e la sua avversione contro il Pontefice che gli valse due scomuniche.
Tommaso Fazello, lo storico domenicano del XVI secolo, nella sua “storia della Sicilia” riporta con quanta crudeltà l’imperatore riportava all’obbedienza i sediziosi, mandando al rogo i loro capi. Ed esprime una esplicita condanna contro l’imperatore, accusato di avere fatto uccidere senza alcun rispetto vescovi ed arcivescovi e mandando in confine molti altri. E ancora di come abbia spogliato dei loro tesori molte chiese tra cui la Chiesa di S. Maria dell’Ammiraglio di Palermo per finanziare le sue guerre.
Un ritratto non proprio idilliaco dell’imperatore svevo, ed in parte si capisce visto che il Fazello era un monaco e Federico non fu propriamente rispettoso della religione e dei suoi rappresentanti ecclesiastici.
Lasciamo a chi è competente in storia il giudizio sulla imparzialità di questo ritratto su Federico e concentriamoci sull’episodio di cui lo stesso Fazello si dice testimone oculare.
Nel corso di alcuni lavori nei sotterranei del palazzo Reale, nel 1514 secondo il Fazello o intorno al 1550 durante la demolizione della Torre Rossa antistante il Palazzo, alcuni operai, scavando, videro emergere tra la polvere e le pietre alcuni resti umani mummificati ancora rivestiti dei loro abiti. Erano donne, nobildonne a giudicare dai loro vestiti. Erano due o più? Il Fazello dice due, la tradizione popolare parla di tre donne. Le voci corrono ed un grande clamore si sparge per la città. La domanda circola nelle bocche di tutti: cu sunnu sti donni (chi sono queste donne)? E la fantasia popolare finì per coniare l’antico detto “li tri donni chi mali ci abbinni” che si tramandò nei quartieri popolari slegandosi completamente all’episodio del ritrovamento, che presto fu dimenticato.
Ma chi erano queste poverette? Lo chiarisce il Fazello stesso collegandolo ad un giallo mai risolto risalente a tre secoli prima e che riguardava appunto Federico II.
Nel marzo del 1244 l’imperatore avrebbe convocato con l’inganno le mogli ed i figli di alcuni signorotti che si erano alleati con il Pontefice contro di lui: Theobaldo, Francesco, Guglielmo da Sanseverino e altri Baroni del casato napoletano. Una volta nel palazzo, le donne (e forse i figli) sarebbero sparite nel nulla. Ovviamente in quel clima di congiure e tradimenti nessuno osò indagare più di tanto, anche perché ben presto i baroni sediziosi furono catturati e sterminati, e il fattaccio fu ignorato fino ad essere dimenticato.
Adesso, dopo tre secoli, ecco che tutto diventava chiaro: le donne erano state condotte nei sotterranei del Palazzo Reale e chiuse, forse murate vive, all’interno dei meandri oscuri e sconosciuti, dove sarebbero state lasciate morire.
Una crudeltà rimasta segreta per tre secoli, e forse non collegata ufficialmente al ritrovamento del XVI secolo, anche questo presto dimenticato. Come del resto, neppure il detto palermitano si sente più in giro per la città, e se qualche anziano lo ha pronunciato o lo ha sentito pronunciare al padre, sicuramente non aveva idea chi mai fossero state queste tre donne venute da lontano per trovare una così cattiva “mala sorte”.
Saverio Schirò
Fonti:
- Tommaso Fazello, Le due deche dell’historia di Sicilia … tradotte dal Latino in lingua Toscana da Remigio Fiorentino, Venezia, appresso Domenico, & Gio. Battista Guerra fratelli, 1573;
- R. La Duca, Palermo ieri e oggi, la città, Sigma edizioni, Palermo 1994;
- Federico II di Svevia in wikipedia.org