Durante la seconda metà del Cinquecento, una serie di trasformazioni urbanistiche avviarono un processo di rinnovamento radicale di Palermo che da medievale si avviava a divenire una città moderna e monumentale. Ma cosa era Palermo in quell’epoca? Com’era la società palermitana di quel tempo? La città, che nei secoli passati era stata l’anello di congiunzione delle culture di più popoli, in questo secolo viveva periodi difficili. Le lotte per la conquista della supremazia cittadina da parte di diverse fazioni antagoniste, si combattevano senza esclusione di colpi: una volta conquistato, il potere si esercitava ad esclusivo vantaggio della propria parte, che finiva per monopolizzare cariche e uffici pubblici. La collusione tra istituzioni e delinquenza era diffusa ed evidente, gruppi di “bravacci e spataccini” spadroneggiavano in città, forti della protezione di signori e uomini potenti che si servivano di tali delinquenti per esercitare il potere senza sporcarsi eccessivamente le mani. Non vi era sicurezza per le strade e per i vicoli della città, bisognava percorrerli con prudenza, estorsioni, intimidazioni, prepotenze, rapine ed altri atroci delitti erano fatti quotidiani. Il capo di tutti i “Bravacci” palermitani, un malavitoso riverito ed onorato, che godeva di grande prestigio in città, era Girolamo Colloca, ufficialmente macellaio, considerato “il re della Bucceria grande” (il mercato di Palermo), un vero “mafioso”, sempre pronto ad impugnare la spada, e che vantava amicizie e protezioni da parte di importanti esponenti dell’aristocrazia titolata. Legato da stretta amicizia con il vicerè don Juan della Cerda duca di Medinaceli e con don Carlo d’Aragona già presidente del Regno, gli fu fatale la nomina a vicere di Sicilia di Marcantonio Colonna duca di Tagliacozzo. Il nuovo vicerè trovò la città oppressa dall’azione di questi prepotenti facinorosi, e determinato a stroncare la delinquenza a Palermo e in tutta l’isola, cercò di reprimere ogni forma di criminalità.
Era una bella giornata del 1579 quando il Colloca passeggiava per la città seguito da amici e guardaspalle, riverito e onorato come si addice ad un vero “capo”, quando un'”algoziro” (poliziotto) arrestò uno del suo seguito, il Colloca a questo punto con arroganza intimò al funzionario di lasciarlo andare per non mancare di rispetto alla sua persona: e poichè l’algoziro non era per niente disposto ad accontentarlo, contestandolo vivacemente “gli diede alcune piattonate e gli fè lasciare il preso”, vanificando di fatto l’azione dell’ ufficiale. Evidentemente l’arresto di uno del suo seguito appariva agli occhi del Colloca come un affronto personale, un’onta, un’offesa al suo prestigio ed alla sua reputazione. Ma l’atteggiamento del vicerè Marcantonio Colonna davanti a certi fatti non era quello che avevano avuto i suoi predecessori, che erano stati più concilianti, egli infatti non era disposto a tollerare nessun affronto alle istituzioni. Ordinò quindi l’arresto del Colloca, inviando un fiscale compare dello stesso, ad eseguire il mandato. Arrestato a Carini, dove si era rifugiato, fu condotto innanzi al Colonna, che così lo apostrofò: “Voi siete il re della Bucceria, il qual non temete la giustizia. Orsù portatelo in galera ed ivi stia con buona custodia”. La successiva condanna a morte inflitta al Colloca provocò una serie di richieste di clemenza da parte di molti “signori, cavalieri e dame” che non sortirono nessun effetto: persino la città di Palermo, con un atto ufficiale del suo Senato, ed alcuni membri della più elevata borghesia, chiesero ripetutamente la grazia per il condannato, ma il vicere fu irremovibile: rispose che l’esecuzione del re della Bucceria costituiva un servizio alla stessa città “li respusi che questa giustizia si facìa per servizio di essa città”. “Generosamente” concesse che la sua forca fosse più alta di quella di altri condannati a morte “ e tutta si fè parar di mortilla e di altre fronde”. Il 25 agosto fu eseguita l’esecuzione: fu quello l’epilogo che segnò la fine della storia di Girolamo Colloca “ uomo ambizioso, riverito, onorato e rispettato da tutti” che aveva raggiunto potere e prestigio degni di un vero “capomafia”. E come un vero capomafia Girolamo Colloca trattenne rapporti poco limpidi con potenti personaggi dell’epoca, nonché con rappresentanti delle istituzioni locali. Mi sembra che l’odierna realtà non sia poi così diversa: voi che ne pensate?
Nicola Stanzione
Difficilmente potrà trionfare la giustizia! È il marcio che tira le fila! Nella politica così come nella magistratura! Borsellino insegna!!
…..articolo molto interessante e soprattutto ……molto “istruttivo”
Articolo interessantissimo, ma vorrei sapere , se possibile , le fonti dalle quali è stato tratto. Grazie
Le fonti?
… già, peccato che manchi Marcantonio Colonna e sempre mancherà
Hai ragione, Nicola, ma penso che comunque la verità e la giustizia prima o poi trionferanno. E’ stato così anche per il “bravo” spadaccino, no?