Se ti immetti in autostrada per Catania, chissà quante volte hai visto la chiesa di san Ciro e qualcuno probabilmente neppure ne conosce il nome!
Una chiesa nel nulla, come possiamo vedere, addossata al costone roccioso del monte Grifone, e praticamente in uno stato perenne di abbandono. Per tanti anni, la chiesa di san Ciro è rimasta ai limiti del rudere, con tutte quelle crepe che mostravano come se stesse lì lì per cadere e adesso, dopo il restauro del 1982, rimaste come ferite cicatrizzate.
Probabilmente sarà difficile che l’amministrazione cittadina investa altre risorse per interventi di recupero di questa chiesa se non per mantenerla in messa in sicurezza, ed è comprensibile nonostante le richieste degli enti e delle associazioni che se ne occupano.
San Ciro non è un monumento di pregio o di valore, ma solo una chiesa di passaggio, relativamente lontana dalle abitazioni, senza pertinenze o servizi di alcuna utilità per i possibili fedeli frequentatori. Non presenta un’architettura particolarmente originale o ricercata da attirare lo sguardo dei turisti. Nulla di notevole al suo interno o qualche particolare opera d’arte o segreto nascosto: nulla di nulla.
L’esterno è in stile tardo barocco siciliano, doveva essere intonacata. La facciata è divisa in due ordini separati da cornici decorate; una breve scalinata collega la strada al portone squadrato chiuso da un grande arco soprastante. Nel secondo ordine una grande finestra a semicerchio è sormontata da un frontone che ne chiude la sommità.
Le decorazioni sono scarne, secondo lo stile: alcuni festoni di foglie d’acanto sulle paraste intorno al portone principale e i vasi fiammati sulla sua sommità.
L’interno è ridotto quasi ad un rudere. La pianta a croce greca forma tre absidi a trifoglio che si prolungano nell’unica navata centrale. Anche internamente le decorazioni sono piuttosto scarse ed oggi ormai fatiscenti.
Tuttavia questa chiesa ha una storia, ed una sua importanza: tanto che qualcuno la considera come “chiesa simbolo”.
Storia della chiesa di San Ciro
Nel luogo in cui sorge la chiesa, già dalla fine del ‘500 doveva esistere una piccola cappella dedicata alla Madonna Assunta: in questo luogo, a metà agosto, alcuni nobili del tempo celebravano la festa di Mare dolce, forse eredità di una festa pagana in onore della dea Cerere. Da quel luogo passava anche il sentiero attraverso il quale i carrettieri di Marineo entravano nel territorio di Palermo, e probabilmente si fermavano per dissetarsi alla Favara, la sorgente d’acqua che da diversi secoli alimentava il lago che giungeva al castello arabo di Maredolce. E immaginiamo i carrettieri passare di là facendo il segno di croce come ringraziamento per essere arrivati a destinazione.
La fonte si estinse ma non la devozione verso questo luogo, così nel 1656 la cappella venne ingrandita divenendo una piccola chiesetta: il promotore fu un padre teatino palermitano, Girolamo Matranga, che la chiamò Santa Maria della Grazia.
In questo luogo, venne fondata una Congregazione devota a san Ciro che grazie all’aiuto finanziario degli abitanti di Marineo, dal 1736 al 1738 costruì l’odierna struttura inglobando la prima chiesetta che oggi dovrebbe essere la sacrestia della chiesa. Da quel momento la chiesa si chiamò san Ciro a Maredolce.
Purtroppo, per la natura del terreno, neanche cent’anni dopo la sua costruzione, la chiesa cominciò a mostrare segni di cedimento e ben presto fu abbandonata. Nel 1874, don Leopoldo Villa Riso, parroco di Brancaccio, la volle riaprire al culto dopo una ristrutturazione e rimase in attività per parecchi anni ma sempre ai margini alla vita cittadina.
Ma il suo destino era segnato: l’apertura della cava alle sue spalle la rese pericolante ragion per cui nel 1960 venne chiusa definitivamente; poi il taglio per la costruzione dell’autostrada per Catania la isolò dal contesto urbano rendendola quasi un rudere dimenticato. Oggi è lì, sola e abbandonata tra le erbacce, nonostante i vari tentativi di renderla ancora fruibile per il turismo se non per il culto.
C’è però una testimonianza nostalgica che è legata a questo luogo. Riguarda gli abitanti della zona di Brancaccio quando durante i bombardamenti della grande guerra accorrevano in chiesa e nelle adiacenti grotte di san Ciro per cercare rifugio. Si racconta come i nonni e le donne prendevano i piccoli e li portavano dentro la chiesa, tappezzata di materassi e pagliericci per accogliere la gente spaventata: san Ciro li avrebbe protetti, si pensava, oppure i più ingenui si illudevano che il luogo sarebbe stato risparmiato dalle bombe per rispetto della sua sacralità.
In un modo o in un altro, fortunatamente la chiesa non fu mai bombardata e benché malconcia, ancora oggi sembra fare l’occhiolino e salutare con un “arrivederci a presto” chi esce dalla città.
Saverio Schirò
Fonti:
- Wikipedia.org – voce Chiesa di San Ciro
- Gioacchino di Marzo, “Opere storiche inedite sulla città di Palermo”, Volume III, Palermo, Luigi Pedone Lauriel, 1873
- A. Mongitore, Chiese della compagna di Palermo, in G. Di Marzo, op. cit.
- Immagini dell’interno: tratte dall’iniziativa – “Palermo apre le porte (Panormus. La scuola adotta la città) Palermo 2017, scuola primaria Oberdan: la chiesa di San Ciro a Maredolce
In realtà la storia di questa chiesetta ha anche alcune “strane” peculiarità non citate nell’articolo. Sostanzialmente ha fama da lungo tempo di essere uno dei siti più infestati da demoni e fantasmi della città di Palermo: all’origine alimentarono la leggenda il ritrovamento nelle caverne subito dietro la chiesa delle “ossa dei giganti” (in realtà interessanti fossili di elefante nano siciliano), ma poi tutta una catena di avvenimenti quali omicidi e messe sataniche portarono alla sconsacrazione della chiesa e ancora oggi ne alimentano questa fama sinistra con racconti anche contemporanei molto particolari.
Grazie per questi approfondimenti, Sergio. Sono sempre bene accetti.
Perchè non fate il modi di aprirla ogni domenica che qualcuno possa visitarla O Magari una volta al mese?
Purtroppo non è facile. Credo che della chiesa se ne occupi l’Associazione Castello e Parco di Maredolce, ma la aprono solo in determinate occorrenze. In ogni caso, oltre ad essere malsicura, l’interno è quasi praticamente spoglio.
Da fuori è caratteristica, ma è soprattutto un luogo simbolico.