Proprio come nella biblica piaga d’Egitto, le invasioni di cavallette, o di locuste, potevano segnare un periodo di lunga carestia, a causa della grande voracità di questi insetti che distruggevano ogni tipo di raccolto e a causa della mancanza di mezzi per debellarle.
Questo è quello che avvenne a Palermo nella seconda metà del XVII secolo, quando si registrò una delle più drammatiche invasioni di cavallette della storia siciliana.
Da quanto si legge nei diari cittadini dell’epoca, nel 1657 la città si ritrovò piena di “grilli”, che avevano devastato in breve tempo tutti i raccolti e che richiesero straordinarie misure di sicurezza cittadina, come l’obbligo di coprire tutti i “capi dell’acqua”, ovvero le sorgenti cittadine, per evitare che si riempissero di cavallette morte.
Data l’assenza di contromisure l’anno successivo, con la schiusa delle uova, il fenomeno si ripeté in quantità addirittura maggiore e la città reagì nell’unico modo possibile, con la preghiera.
Nel martedì santo del 1658 si tenne una pubblica cerimonia di “maledizione dei grilli” fuori dalla Porta Nuova, dato che l’invasione si era propagata in tutta l’isola. Questa cerimonia ovviamente non ebbe alcun effetto e le cavallette continuarono a prosperare fino a che, nel 1688, i cittadini disperati e sull’orlo di una grave carestia, chiesero l’intervento di Santa Madre Chiesa, la quale intervenne con una maledizione ancora più grande e solenne, accompagnata dall’innalzamento di un maestoso altare con in cima la statua di S. Oliva, vergine e martire palermitana.
Purtroppo anche questo tentativo non ebbe esito.
All’inizio del XVIII secolo si decise di migliorare le contromisure adottate fino ad allora, aggiungendo messe, canti e digiuni ai soliti scongiuri della Chiesa. Perciò, per rispondere all’ennesima piaga avvenuta il 6 luglio 1710 con lo scirocco che attirò un enorme numero di grilli anche dentro la città, l’arcivescovo ordinò tre giorni di digiuno (che con la carestia non era poi tanto difficile), mercoledì 9, venerdì 11 e sabato 12 luglio. Inoltre il SS. Sacramento doveva rimanere esposto in Cattedrale, e nelle chiese dovevano essere celebrate messe speciali, canti e litanie per liberare la città dal maleficio.
Giorno 11 luglio ci fu una grande processione a cui presero parte quasi tutti i cittadini, compreso il senato ed il clero. Tale corteo si radunò alla fine fuori Porta Nuova, dove l’arcivescovo “interdisse” le locuste. Questa volta, forse per l’interdizione più efficace, forse per le preghiere a S. Rosalia, i grilli andarono via davvero e giorno 15 luglio la città e le campagne erano di nuovo sgombre.
A tal proposito Rosario La Duca, che nel 1967 ha raccontato questa storia, ha precisato che ai suoi tempi, nonostante l’assenza di grilli, la città abbondava di scarafaggi e topi e ha aggiunto: “In attesa che si trovi una adeguata soluzione all’attuale disservizio della nettezza urbana e si costringa la ditta appaltatrice ad assolvere i suoi impegni contrattuali, ci permettiamo di proporre che si proceda, in primo luogo, ad una pubblica «maledizione» di topi, scarafaggi e simili e, ove ciò non bastasse, che si imponga alla cittadinanza, come in passato, un triduo di digiuni.”
Corsi e ricorsi storici, oggi come allora.
è come se oggi si facesse una processione contro la munnizza 🙂