La porta della Pescaria (o Pescheria) si apriva lungo le mura della Cala a Palermo: doveva immettere al mercato dei pesci e tuttavia questa porta, tra le cinque esistenti nel XVII secolo nel vecchio porto, non ebbe molta fortuna a detta degli storici del tempo. Oggi non è più esistente ma vediamo di delineare la sua breve storia.

Conosciamo l’aspetto della Porta della Pescheria da una incisione riportata in un libro del canonico Mongitore sulle Porte della città di Palermo del 1732: eseguita in pietre da intaglio, presentava due pilastri, una cornice a mensola, due piedistalli laterali e in alto alcune decorazioni già rovinate. Anzi, al tempo del Mongitore, la porta era in parte già murata e un secolo dopo non era più distinguibile, a detta del Villabianca il quale precisava che la porta murata era diventata la parete dell’antica casa del regio custode della Dogana Gaetano Vernengo.
La Porta era stata costruita nel 1596 in sostituzione di una preesistente, posta nelle vicinanze. Si trovava dopo la Porta delle Dogana, accanto alla chiesa della Catena, più o meno nel retro del palazzo delle Finanze che a quei tempi era il grande carcere di Palermo, infatti la Porta della Pescaria era conosciuta anche come Porta della Vicarìa (carcere).
Non era particolarmente grande, il vano quasi 3,5 metri per 6 di altezza che arrivava fino ai 9 metri con tutta l’architettura sovrastante. Il nome, Pescheria, era dovuto al mercato dei pesci che si svolgeva nei suoi pressi ed infatti, quando questo venne spostato più avanti in prossimità della Porta di Piedigrotta, la Porta della Pescaria perse di importanza e venne chiusa.
Ma come si svolgeva il mercato del pesce a quei tempi?
Il pesce a Palermo ha avuto sempre una certa rilevanza essendo disponibile sia per le classi agiate ma anche per la povera gente che aveva a disposizione, a buon prezzo, il pesce azzurro di piccolo taglio come sarde e sgombri. Per questo, una serie di norme piuttosto rigide ne regolavano la vendita, sia per mantenere i prezzi sotto controllo, ma anche bandendo norme igieniche ed identificando i luoghi in città in cui tale vendita poteva essere effettuata.
Nel ‘300 il mercato del pesce si svolgeva in maritima, nei pressi della spiaggia tra l’odierno foro Italico e il piano di sant’Erasmo, mentre il tonno si vendeva fuori l’antica porta san Giorgio vicino ad alla tonnara nel borgo di S. Lucia, dove oggi c’è il porto di Palermo.
Nel ‘500, i mercati si ampliarono ed il pescato poteva essere venduto alla Kalsa, ma soprattutto al vecchio porto della Cala, proprio nei pressi della porta della Pescaria dove si svolgeva il mercato all’ingrosso da cui il pesce veniva poi distribuito nei mercati entro le mura cittadine. Fu in questo periodo che si andavano costituendo i grandi mercati storici come quello del Capo e della Vucciria.
Nel corso dei secoli bandi e leggi del Senato continuarono a regolare questo mercato, a volte imponendo addirittura i prezzi, altre impartendo norme igieniche come il divieto di conservare il pesce nelle case ma di portarlo subito nei mercati per essere venduto fresco. La figura dei rigattieri, cioè intermediari tra i pescatori ed i venditori, ora veniva abolita ora riattivata, ma comunque mai era permesso di acquistare il pesce direttamente dalle barche specialmente se si era cuochi di ristoranti o di famiglie private.
Per quanto riguarda l’ubicazione dei mercati, ogni secolo vide scelte diverse ma comunque sempre in luoghi limitrofi alla costa: la “pescaria” fu così spostata dal piano di sant’Erasmo a fuori porta della Dogana; da porta dei Greci a quella della Pescaria e poi di Piedigrotta; dal borgo santa Lucia fino all’odierno Mercato Ittico, costruito nel secondo dopoguerra proprio accanto alla non più esistente chiesa della Madonna di Piedigrotta di cui scarsi resti sono tutt’oggi presenti sotto l’edificio del mercato del pesce.
Saverio Schirò
fonti
- R. La Duca, La città passeggiata, 3, L’Epos editrice, Palermo 2003
- R. La Duca, La città Perduta, terza serie, Edizioni e ristampe siciliane, Palermo 1977