Giorno 05 Giugno, presso Palazzo Chiaramonte – Steri, è stata inaugurata la fruizione pubblica del più conosciuto dipinto del pittore bagherese Renato Guttuso, La Vucciria, in occasione del suo ritorno in sede dopo 3 anni di trasferta nella capitale.
In molti sono accorsi per vedere “dal vivo” l’opera d’arte e verificare quanto si dica di essa, che sia cioè un perfetto scorcio del mercato, quasi una fotografia in pittura, sottoponendola quindi al confronto con i propri ricordi personali.
Un po’ per curiosità dunque ma anche probabilmente perché affascinati dal ritrovarsi al cospetto di un’opera d’arte dal grande nome.
Ma, al di là di ciò, cosa sappiamo della Vucciria dipinta? E dell’artista che l’ha creata?
Renato Guttuso
Aldo Renato Guttuso (Bagheria 1911 – Roma 1987) era un’artista bagherese ma che conosceva benissimo Palermo ed il mercato raffigurato, nel quale si lasciava trasportare dalla magia della veracità del popolo commerciante, seduto al tavolo della pittoresca trattoria Shangai la cui terrazza affacciava proprio su piazza Caracciolo o passeggiando tra le bancarelle delle relative putìe.
Guttuso in trattoria – Foto: A. Calaciura Renato Guttuso – Foto: A Calaciura Guttuso alla Vucciria – Foto: F. Scafidi
Ridurre la sua vita cosi piena in poche righe è davvero ingeneroso: pittore e politico, poeta e redattore per il giornale L’Ora, restauratore presso la Pinacoteca di Perugia, critico d’arte per le più importanti riviste italiane, nonchè scenografo per diverse pièces teatrali (una fra tutte lady Macbeth di Sostakovic) ed illustratore delle maggiori opere della letteratura italiana; in ogni caso appassionato e disincantato, sebbene fosse molto legato alla sua terra, viaggiò molto tra il bel paese e l’Europa per rendere onore alla sua pittura, la leva militare ed esigenze politiche dettate dalla sua adesione al partito comunista italiano.
Protagonista della pittura neorealista italiana e fortemente legato anche all’espressionismo, iniziò ben presto a dedicarsi all’arte del pennello e già a 13 anni datava e firmava i suoi dipinti, per lo più copie di importanti opere paesaggiste tanto da partecipare alla sua prima collettiva a Palermo a soli 17 anni.
Durante i suoi numerosi spostamenti in Italia ed in Europa conobbe artisti del calibro di Giacomo Manzù, Lucio Fontana, Pippo Rizzo, Pablo Picasso ma anche letterati e scrittori come Salvatore Quasimodo, Pablo Neruda, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia, Alberto Moravia.
Quadriennale di Roma, Biennali di Venezia, galleria Il Milione di Milano, per citare qualche esposizione. E poi mostre dedicate a New York, Mosca, Parma, Palermo, Venezia, Parigi.
E nel frattempo la lotta partigiana, il matrimonio con Mimise Dotti, la fascinazione per Marta Marzotto (sua musa per circa un ventennio), la laurea Honoris Causa, la londinese Tate Gallery che acquista una sua opera.
Potrei continuare all’infinito.
La Vucciria
Dipinta nel 1974 secondo la tecnica dell’ olio su tela e donata dal pittore stesso all’Università degli Studi di Palermo, la Vucciria è lo stendardo per eccellenza della faccia popolare di Palermo. In essa, ogni aspetto si ricollega al mercato e alle sensazioni che offre a tutti coloro che lo vivono o semplicemente lo attraversano, a cominciare dal nome; mercato che diventa specchio o se vogliamo metafora della città stessa.

Il termine vucciria non sarebbe altro che l’evoluzione popolare del termine francese boucherie ossia macelleria, italianizzato poi in bocceria (l’attuale piazza Caracciolo, cuore del mercato, era prima detta proprio piazza Bocceria per le numerose macellerie) ed infine in vucciria. Ma per i palermitani, il termine ha una doppia anima legata strettamente con la prima: significa caos, confusione, andirivieni rumoroso di persone.
Come disse lo scrittore Andrea Camilleri:
Un narratore o un commediografo, davanti alla Vucciria, avrebbero materia di scrittura sino alla fine dei loro giorni.
Già perché la Vucciria è vita pulsante ma anche morte, nella realtà cosi come nel dipinto.
In esso non c’è il benchè minimo spazio vuoto: tutto è pieno, in movimento, sviluppato in verticale come se ogni bancarella occupasse una strada che sale, tanto che le figure si incontrano, si scontrano, si svelano e si occultano, secondo il fenomeno delle apparizioni e sparizioni, reso magistralmente dal pittore.
Una confusione di merci che occupa un posto ben preciso: a sinistra i pesci, i polpi, le seppie, i gamberi e tutto ciò che proviene dal mare; a destra il bue squartato e il neonato anch’esso sanguinolento resi su fondo chiaro di mattonelle come a voler sottolineare quel senso forse anche un po’ mistico della morte come sacrificio. E poi formaggi e salumi tutti insieme e ancora la frutta, tutta insieme secondo la selezione.
E tra una cassetta e l’altra, si dispongono i personaggi e sembra di leggerne i pensieri nelle loro espressioni e nel loro strano silenzio: gli sguardi di sfida tra il pescivendolo ed il salumaio, l’incontro casuale dell’uomo in giallo e della donna ritratta di schiena, l’uomo con la coppola in fondo che controlla, sottecchi.
Il pittore occultatosi per metà in alto a sinistra e la sua musa distante, in abito verde, quasi a volere anticipare la rottura di quel rapporto professionale e sentimentale che lo unì a lei per oltre un ventennio, avvenne dopo la morte della sua amata moglie.
Il suo stile, riconoscibilissimo nel segno netto e nel contorno forte e ben presente negli oggetti raffigurati, guarderà sempre al forte cromatismo dei paesaggi bagheresi; il colore è intenso, protagonista indiscusso, quasi aggressivo, da fauvista. La costruzione dell’immagine è veloce, pertanto carica di tensione emotiva. Il suo rapporto con l’arte è un triangolo: la tela, i colori e la sua mano, intenta a tracciare un segno più grafico che pittorico, consegnandoci la più verosimigliante riproduzione della realtà, senza mezzi termini o virtuosismi di sorta.
Reale e senza scale di grigi, proprio come la sua vita.
Aldo Renato Guttuso riposa a Bagheria, presso Villa Cattolica, all’interno della quale si trova il Museo Guttuso.
La sua tomba, in marmo, è opera dello scultore e amico Giacomo Manzù.

M. Luisa Russo
Grazie Per questa “esposizione” letteraria della “vucciria”, perché l’ho guardata tante volte, ma vista soltanto adesso! La prossima volta, mi tocca dal vivo.