Marzo pazzerello, guarda il sole e prendi l’ombrello.
Quando marzo aprileggia, aprile matteggia.
Povero mese di Marzo! Un mese che non gode di buona fama, probabilmente per le sue stramberie meteorologiche.
E deve essere proprio così se un canto popolare ci mette in guardia con i seguenti versi “E trasi marzu lu svinturatu/a cui cci scippa e metti la saluti/ma si pri sorti ti trovi malatu/di novu ti lu fai tabbutu” (Ed entra Marzo lo sventurato/che toglie e dà la salute/ma se per caso ti trova malato/di nuovo ti fa la tomba). Se in questo mese qualcuno se la scampa, la gente suol dire: ” ora nun mori cchiù” (ora non muore più) e ricordiamo, a tal proposito, il famoso “Zu Martinu” di piazza Ballarò, che avendo perduto nel corso della sua vita moglie e figli in marzo, alla mezzanotte passata del 31, si affacciava al balcone di casa sua, compiva coram populo una usuale funzione fisiologica, esclamando le fatidiche parole “..e t’aiu pisciatu Marzu!” (e ti ho pisciato Marzo).
Contro questo povero mese chi più ne ha più ne mette. Anche se la Pasqua cade in Aprile, c’è qualcuno che dice “Marzu è tantu tristu/ca detti morti a Cristu” (Marzo è tanto cattivo che ha fatto morire Gesù).
Qualche altro aggiunge che marzo è malvagio anche sotto aspetti diversi e impietosamente ricorda il terremoto del 1823 avvenuto, con gravi danni, proprio il giorno 5 di questo mese.
Dopo averne dette di cotte e di crude su Marzo tanto diffamato, vediamo ora cosa ci riserva di buono, almeno secondo le tradizioni.
Un tempo, come riferisce il Cacioppo, nel giorno di S. Giuseppe (19 Marzo) si usava “vestire alla foggia di quel patriarca alcuni vecchi poveri, che hanno il capo canuto, e la barba lunga e bianca. Si dà loro un mazzetto di fiori, e costoro girano la città eccitando la compiacenza del basso popolo. Talora si unisce una donzella vestita da Maria ed un ragazzo che fa Gesù; tutti e tre insieme percorrono i quartieri più popolati, e quindi a mezzogiorno si fa loro trovare in qualche strada una piccola mensa a bella posta preparata, ove pranzano pubblicamente; e questo chiamasi il pranzo di Gesù, Giuseppe e Maria”.
Un uso questo ormai del tutto scomparso, mentre invece resiste ancora la tradizione delle “vampe” che vengono accese alla vigilia nelle piazze e negli slarghi dei quartieri del centro storico.
Dolce tipico di questa tradizione è la Sfincia di S. Giuseppe un dolce molto diffuso nella Sicilia occidentale, una sorta di bignè ricoperta di crema di ricotta.
Tratto da “Palermo ieri e oggi” la città di Rosario La Duca