Attendere chi. O cosa?
Forse una speranza l’illusione di cambiare ciò che ti circonda. Talmente complicato perché sai che mai ciò che è stato rubato ti potrà essere restituito. Puoi gridare, piangere, soffrire, ma nessuno ascolterà, nessuno ti capirà, anzi ti giudicherà.
Rita Atria
Le parole di Rita Atria sono forti, dure e non lasciano nessuno spiraglio alla speranza, quella che aveva perso, lasciandosi morire nella disperazione…
Chi è Rita Atria?
Forse molti di voi non la conosceranno, ma credo sia giusto dedicare qualche attimo del proprio tempo al fine di conoscere la sua storia, perché mantenere vivo il ricordo permette a tutti quanti noi di perfezionarci e poter costruire una società migliore.

Rita nasce nel 1974 a Partanna, in provincia di Trapani , paese di circa 10000 abitanti.
Il padre è affiliato a “cosa nostra“ e nel 1985, quando Rita ha appena 11 anni, viene ucciso in un agguato per mano della mafia.
Dopo aver perso il padre, cresce legata al fratello Nicola e alla cognata, moglie del fratello (Piera Aiello), ne raccoglie tutte le confidenze e viene a conoscenza di affari e dinamiche legate alla malavita locale, in quanto anche il fratello era malavitoso.
Nel 1991 anche Nicola perde la vita, sempre per mano mafiosa.
Sono momenti di sgomento, di frustrazione per le donne della famiglia Atria, perché loro malgrado sono costrette a subire il peso delle catene che le rende schiave di questa realtà mafiosa.
Piera Aiello, non vuole portare sopra di sé quel grave peso, perché lei sa, lei conosce. Decide di far avvenire un cambiamento e denuncia gli assassini del marito.
È un atto grandioso, rivoluzionario, ribelle per certi versi, che scuote la coscienza di Rita, la quale decide di seguire le orme della cognata diventando testimone di giustizia, figura questa che è stata legislativamente riconosciuta con la legge n. 45 del 13 febbraio 2001.
Si badi bene, Rita non è mai stata una pentita o una collaboratrice di giustizia in quando non è mai stata partecipe ai fatti di malavita; quella sua condizione le era stata imposta da un padre e fratello che non le avevano nemmeno chiesto, perché alle “femmine” della famiglia spetta il silenzio.
La scelta di Rita e il suo gesto eroico le costa l’affetto della madre, che da quel momento in poi la ripudiera’ come figlia e non vorrà più, nemmeno da morta, avvicinarsi a lei. La madre in seguito dirà: “preferisco una figlia morta che infame”.
La stessa profanerà la sua lapide, distruggendo la foto con un martello, segno di una mentalità cosi radicata che nemmeno i vincoli di sangue possono talvolta spezzare.
Rita e Piera invece, coraggiosamente, cambiano quella mentalità dicevano: “andate dai ragazzi tra la Mafia e dite loro che c’è un altro mondo”.

Cominciano a fare delle rivelazioni che vengono raccolte da Paolo Borsellino, che in quegli anni era procuratore di Marsala.
Tra Rita e P. Borsellino nasce un rapporto come tra padre e figlia, fatto di confidenze e di consigli.
Borsellino chiama Rita “a picciridda” (la bambina) e lei ricambia affettuosamente con l’appellativo di “zio”, perché così si usa qui in Sicilia, ci si merita questo appellativo non solo per i legami di parentela, ma anche per affetto donato e ricevuto.
Proprio in quegli anni, grazie alle testimonianze di Rita e Piera, vengono arrestati parecchi malavitosi di Partanna, Sciacca e Marsala e si indaga su personaggi di spicco della vita politica siciliana.
Il 19 luglio 1992 a causa di un attentato terroristico di stampo mafioso, muore a Palermo il giudice Borsellino insieme agli agenti della scorta. È la strage di via D’Amelio.
Rita ne rimane fortemente scossa e capisce che la strada da percorrere è lunga, perché si deve sradicare un modo di pensare che è stato talmente inculcato, fino a fa parte di noi del nostro DNA, della nostra gente.
Lei diceva: «Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita.
Tutti hanno paura, ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi.
Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta»
Rita cade perciò nella disperazione e soltanto una settimana dopo, a soli 17 anni, si lancia dal 6 piano della sua abitazione, un edificio di Roma dove viveva in forma anonima sotto protezione.
Diventa così anche lei vittima della strage di via d’ Amelio.
Questa è la triste dimostrazione che Rita non è solo vittima di Mafia, ma anche di uno Stato disattento che non ha avuto empatia nei suoi confronti, infatti lei si suicida proprio perché senza Borsellino non si sentiva più protetta.
A Rita è stato intitolato un capannone confiscato alla criminalità a Calendasco, in provincia di Piacenza, inaugurato il 12 maggio 2018.
Erina Marino
Immagine di copertina: Quadro di Roberta Marino
Per approfondire: Rita Atria wikipedia.org