Un Palermitano a Parigi… nella notte del terrore

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La cameriera si avvicina al tavolo. Ha l’aria preoccupata.
Dice di aver ricevuto l’ordine, dalla polizia, di far uscire tutti i clienti e di chiudere.
Vicino pare che ci siano stati degli attentati.
Con un’amica mi trovo in un attimo fuori dal locale.
Un attentato allo stadio.
Forse no.
Forse fuori.
Forse in una pizzeria.
Ci sono cento morti a terra. Ci sono feriti.
Il telefonino non si connette, non so dove siamo. Forse è meglio prendere la metro. No, le stanno chiudendo. No, forse è meglio andare a piedi.
Di qua. Veloci. Le sirene della polizia e delle ambulanze ci indicano le strade da cui dobbiamo allontanarci.
Il telefono squilla. È mia madre dall’Italia.
Sul ponte due turisti si baciano e si fanno le foto con lo sfondo della Senna e della torre Eiffel illuminata: ciò che non sai non ti può ferire…
Un momento! Ma dov’è la torre Eiffel?
Non ho mai apprezzato la torre Eiffel, l’ho sempre considerata una sorta di cicatrice nella bella faccia immortale di Parigi. Ma il suo sbrilluccichio sornione adesso mi mancava. L’assenza era come un pugno sullo stomaco.
Lontano dalle vie del centro, il cielo è violaceo, cela le stelle come se nuvole immaginarie coprissero la città. Il silenzio è surreale, è assordante, rotto soltanto dalle luci delle televisioni proveniente da ogni finestra di ogni palazzo. È l’una di notte e sono tutti svegli.
Per strada non c’è nessuno.
Ogni tanto qualcuno scende da un taxi, mi attacco ai loro volti, sono volti familiari, li conosco, conosco ciascuno di loro intimamente. So che anche loro come me non lo sanno, ma percepiscono.
Perché nell’aria c’è qualcosa di strano, un elettricità, un magnetismo, un qualcosa che si respira; e dai polmoni arriva al cervello e ti avverte che sta accadendo qualcosa, qualcosa d’ineluttabile, d’inevitabile, di irresistibile.
Qualcosa che non sai ma che vicino a te sta cambiando la vita di molti.
Sono confuso, ma quell’aria, quell’atmosfera la riconosco, ha qualcosa di già vissuto.
Aumento il passo e ci penso bene. È la stessa aria che in quel giugno sentii salendo le scale di casa, prima che mia madre mi informasse dell’incidente e della morte del nonno. Ecco cosa era, ecco forse è la morte che lascia una scia di energia negativa che si percepisce, che si sente sulla pelle.
Ecco l’inevitabilità della sorte che ti passa accanto, che tu sia in Siria sotto un bombardamento francese, a Parigi sotto attacco del terrorismo, o in un paesino della provincia di Palermo. Quell’aria è sempre la stessa. Non ha colori, motivazioni, nazionalità. Arriva senza freno lasciando solo l’imbarazzo dell’ingiustizia.
Tutto ad un colpo appare forse per quello che è di piu vero. Tutto è senza categorie, senza egoismi, si esce per un attimo dalla trama di finzioni che disegnano le nostre vite e si è soli, fatalmente nudi sul ciglio dell’eterno.
Non si puo’ piu fuggire da se stessi. Piccoli e impauriti, si è come assaliti da una nausea, da una malinconica pena per non essere un altro, per non essere altrove.
Sento una goccia di sudore scendermi su tutta la schiena, la strada è infinita non la ricordavo cosi lunga. Forse ho sbagliato strada, forse non dovrei essere qui, forse non sono piu in linea col mio destino, devo cambiare strada, devo tornare indietro, cercarne altre, forse devo solo ammettere di aver bisogno anche io di aiuto. Sono distante da tutto e da tutti.
No. Ecco, il veterinario all’angolo. Sì. Sono arrivato.
Il portone. Il giardino. Il calore confortante dei riscaldamenti. Il buio della mia stanza. Si è fulminata la Lampadina…
Parigi, 14/11/2015

Foto: da Twitter autore Johan

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Pietro Schiro
Pietro Schiro
Laureando in Giurisprudenza attualmente alla Sorbona di Parigi

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