Le Sante di Palermo

Le quattro patrone della città, prima di santa Rosalia

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Quante volte siamo passati da piazza Vigliena, più nota come i “Quattro Canti”? Sicuramente un sacco di volte! Ma quante volte abbiamo fatto attenzione ai complessi architettonici che l’adornano?
Se solleviamo gli occhi, al terzo ordine delle facciate di ogni quinta sono raffigurate le sculture di quattro donne: sono poste lì dal 1617 perché erano le sante patrone di Palermo prima del il 27 luglio 1624, quando veniva eletta santa patrona della città laSantuzza” ovvero Santa Rosalia.

Le sante di Palermo prima di santa Rosalia

Piazza Villena (i quattro canti)

Le quattro sante patrone della città di Palermo, prima di santa Rosalia, sono Agata, Cristina, Ninfa e Oliva, riportate in ordine alfabetico, nella stessa disposizione in cui sono collocate nei Quattro Canti in senso antiorario.

La devozione verso queste donne, eroine della fede, è andata affievolendosi nel corso dei secoli fino a scomparire del tutto. Oggi quasi nessuno ne è a conoscenza e tuttavia i nostri antenati concittadini riponevano su di esse le speranze di buone annate, la salvezza da pesti e pestilenze e ne impetravano grazie su grazie.
Una devozione che si è espressa con numerose rappresentazioni artistiche, oltre le citate quattro collocazioni nei Quattro Canti, che le vede comparire nei posto di onore della balaustra della Cattedrale e in tantissime chiese della città.

Andiamo adesso a rendere loro l’onore che meritano per essere state considerate sante secondo la fede cristiana e la devozione popolare. Donne in primo piano in un tempo in cui la figura femminile era fortemente relegata nelle retrovie della società; comunque eroine e martiri di una società gretta e ottusa che ha fatto pagare con la vita le loro scelte personali in tema di fede. E questo a prescindere dalle leggende e dai racconti mitici che sicuramente hanno avvolto e contornato le loro storie reali.

Sant’Agata

Chi dice sant’Agata pensa subito Catania di cui effettivamente è la patrona, anche se qualcuno la vorrebbe nata a Palermo piuttosto che a San Giovanni di Galermo, un odierno quartiere di Catania, com’è più probabile. Visse dal 230 al 5 Febbraio del 251, quando moriva agonizzante per le torture subite, l’asportazione dei seni con tenaglie e il rogo sui carboni ardenti. Crudeltà a cui sarebbe stata sottoposta per ordine di un prefetto romano, tale Quinziano che se ne era invaghita e una volta rifiutato l’avrebbe denunciata come cristiana, fatta arrestare e consegnata agli aguzzini.

Il rogo che la uccise non bruciò il suo velo rosso. L’anno seguente una eruzione dell’Etna minacciava la città ed i catanesi portarono in processione il velo miracoloso fermando la lava. Processione che fu ripetuta con successo tutte le volte che le eruzioni mettevano in pericolo la città.
La reliquia del braccio della santa è conservata a Palermo, nella Cattedrale.
Un altro culto particolare è legato alla chiesa di S. Agata la pedata nei pressi della Porta omonima, dove è conservato una roccia che reca impressa un’orma profonda che secondo la leggenda sarebbe stata lasciata dal piede della santa che da quelle parti sarebbe passata.
Si festeggia il 5 febbraio. Gli attributi principali sono le tenaglie e il piatto con i seni tagliati.

Santa Cristina

Santa Cristina di Bolsena, nota anche come Santa Cristina di Tiro (… – 304 circa), perché latini e orientali si contendono la paternità dei natali. Secondo la tradizione fu martirizzata sotto l’imperatore Diocleziano, intorno all’anno 304. La venerazione di santa Cristina, vergine e martire, risale almeno al IV secolo a Bolsena: presso il sepolcro della santa, infatti, era sorto un cimitero sotterraneo.

Secondo una agiografia piuttosto tardiva, la santa sarebbe morta martire a causa della sua fede cristiana. Rinchiusa in una torre dal padre, subì infiniti supplizi. La leggenda narra che una volta arrestata, fu flagellata e posta su una ruota infuocata, ma guarì miracolosamente. Le fu allora legata una corda al collo con una ruota di pietra e gettata nel lago di Bolsena, ma la ruota iniziò a galleggiare. Dopo ulteriori torture indicibili da cui guariva miracolosamente, morì trafitta da due frecce.

Le reliquie, contese da diverse città, sarebbero state condotte nella Cattedrale di Palermo da Roma tra il 1154 e il 1166. Si festeggia il 24 luglio.

Attributi che la caratterizzano sono la palma del martirio e le due frecce che la trafissero.

Santa Ninfa

Secondo una passio del XII secolo, di Santa Ninfa è nata a Palermo al tempo di Costantino. Era figlia di un prefetto, Aureliano, che contrastò ferocemente la figlia che si era convertita al cristianesimo dopo le predicazione del vescovo Mamiliano di Palermo, che la battezzò.

Entrambi furono incarcerati, insieme a duecento cristiani, e torturati per ordine del padre di lei. L’intervento miracoloso di un angelo li liberò e li guidò a Roma e poi nell’isola del Giglio, dove rimasero a lungo in eremitaggio. Andarono dunque a Bucina, vicino Roma, dove Mamiliano morì e un anno dopo anche la Santa morì di stenti e fu ivi sepolta.

Gli abitanti del luogo, durante un periodo di siccità, pregarono la santa di intercedere presso Dio affinché piovesse. Si verificò il tanto desiderato miracolo e i fedeli cominciarono a venerarla come una santa.

Il suo capo, custodito nella chiesa di Santa Maria in Monticelli a Roma fin dal 1098, fu traslato nella Cattedrale di Palermo nel 1593 e posto sotto un altare.
Si festeggia il 10 novembre. Il suo attributo principale è una coppa con le fiamme.

Sant’Oliva

Le vicende che narrano di questa santa sono tutt’altro che chiare. Oliva, sarebbe nata a Palermo nel 448 da una famiglia di cristiani. Ma questo contrasta con la leggenda che siano stati i genitori ad esiliarla a Tunisi non appena manifestò la sua fede.

Altri sostengono che l’esilio sia opera del vandalo Genserico che aveva conquistato Palermo e non tollerava la fede della ragazza che si dedicava ai prigionieri. Fatto sta che la sua vicenda umana si trasferisce a Tunisi, dove il governatore Amira l’avrebbe sottoposta a varie quanto inutili torture e abbandonata nel deserto. Sopravvissuta agli animali feroci, dopo vari supplizi sarebbe stata decapitata dopo ulteriori torture.

Il suo corpo fu ritenuto sepolto a Tunisi per molto tempo e venne richiesto più volte. Vuole il credo popolare che sia stato portato a Palermo e sepolto sotto la piccola chiesetta dedicata alla Santa poi inglobata nella chiesa di San Francesco di Paola. Leggende locali la vorrebbero venerata superstiziosamente anche a Tunisi, dove una moschea porta ancora il suo nome in arabo.  La sua festa si celebra il 10 giugno. Il suo attributo principale è un ramo di ulivo.

Saverio Schirò

Foto copertina by Depositphotos.com

Foto delle Sante by Effems via wikipedia.org CC BY-SA 4.0

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Saverio Schirò
Saverio Schiròhttps://gruppo3millennio.altervista.org/
Appassionato di Scienza, di Arte, di Teologia e di tutto ciò che è espressione della genialità umana.

2 COMMENTI

  1. Su sant’oliva ho dei dubbi che nel 5 secolo c’era l’emiro a Tunisi, visto che era ancora impero romano d’oriente, e che la religione di maometto arriverà qualche secolo dopo!

    • Grazie per la precisazione, Giovanni, il termine sultano che è stato adoperato è effettivamente errato giacché si riferisce a regni arabi. Il termine esatto è governatore. Ma si capisce in ogni caso che si tratta più che altro di leggende.

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