Il nostro rapporto con il palcoscenico è sempre stato qualcosa di strano.
La prima volta che abbiamo calcato un piccolo palcoscenico era quello del teatro parrocchiale della chiesa dei Decollati e l’emozione è stata palpabile. Il profumo del legno e della polvere era inebriante e il sipario che si chiudeva come una tenda produceva un suono frusciante che metteva i brividi.
Ogni teatro ha un suo palco particolare con un sipario oggi meccanizzato che rende meno romantico lo scorrere, ma sicuramente più funzionale e poi le luci, i camerini, l’amplificazione, le poltrone. Le dimensioni sono importanti, ma l’architettura rende più romantico l’esibirsi. Alcuni teatri ricordano momenti storici e ti trasmettono emozioni maggiori.
Poi ci sono i palchi dei locali, spesso senza sipario, spesso molto piccoli, spesso senza nemmeno un piccolo camerino d’appoggio (i bagni lo sostituiscono), luci improvvisate, amplificazione scarna fino ad arrivare ad avere un microfono in tre. Piccolissimi spazi a metà della sala, dove spesso ti passano le persone mentre reciti o i camerieri per portare da bere ai tavoli, ma il cabaret è spesso questo, vicinanza con il pubblico, giocare dei disagi. Alle volte è capitato che qualcuno di noi ha passato un panino ad un tavolo difficile da raggiungere, ha preso un’ordinazione di un cliente, ha sorseggiato un drink offerto mentre si recita (per la precisione noi non beviamo alcolici per cui al massimo un po’ di birra o una aranciata). Abbiamo risposto a telefonini che squillano tanta è la vicinanza col pubblico e tutto ha fatto sempre parte dello spettacolo.
Le piazze sono un po’ diverse, i palchi sono giganti, dove ti perdi letteralmente, magari per spettacoli con un cantante importante o con un gruppo musicale che lo invade con strumenti vari, relegandoti a un piccolissimo spazio, amplificazioni e luci inadeguati per la grandezza della piazza, ecc. Oppure palchi alti e distanti dal pubblico, correlati con sedie o meno, messi in piazze popolate da tanti negozi o con giostre squillanti vicine che non fanno sentire lo spettacolo. Mi ricordo una notte bianca dove nella stessa avevano installato due palchi così vicini che facevamo a gara a chi avesse il volume più alto
Ti rendi conto spesso che non è importante lo spettacolo in sé stesso né il suo svolgimento, ma aver portato un artista. Non potrò mai dimenticare uno spettacolo che abbiamo fatto nella villa comunale di Corleone. L’Assessore ci disse che nonostante aveva avuto nelle due sere precedenti due artisti nazionali, lo spettacolo più riuscito era stato il nostro perché avevamo una buona amplificazione. Le due sere precedenti non si sentiva letteralmente nulla.
Di tutte le avventure con i palchi in piazza, in circa quarant’anni di spettacoli, ne citeremo due che sono rimasti impressi nella nostra memoria. Sicuramente ne avremo vissuti altri paradossali, come ad esempio al Villaggio S. Rosalia a Palermo un palco dove i ragazzini salivano durante lo spettacolo e si lanciavano a terra come se facessero dei tuffi senza che nessuno si preoccupasse della pericolosità, o quello a Cattolica Eraclea dove durante lo spettacolo sono saliti un gruppo di ragazzi sul palco e con le pistole giocattolo sparavano tutto il tempo distraendo la gente.
Ma i due episodi che ricordiamo sono:
il primo a Mazara del Vallo, spiaggia di Tonnarella, dovevamo fare una serata e vi posso garantire che la folla era incredibile. La gente ci aspettava, i manifesti erano in tutta la città e si avvertiva un clima di festa. Arriviamo e ci rendiamo subito conto di qualcosa di strano: Nessuna traccia del palcoscenico…
–Forse lo monteranno stasera. Giorgio sono già le venti e normalmente sono operazioni lunghe da fare
–Magari è posizionato in un posto nascosto. Giuseppe capisco che giocare a nascondino resta una cosa bella, ma le persone dovrebbero saperlo a due ore dallo spettacolo dove devono recarsi…
Ad un certo punto ecco la soluzione. Nel punto di maggior confluenza del pubblico viene fatto arrivare un camion e ci dicono: “Avete problemi ad esibirvi come palcoscenico sul cassone di un camion?” Ovviamente no! Ed ecco credo il posto più strano dove ci siamo esibiti.
Il secondo a San Biagio Platani, durante la famosa festa degli Archi del Pane, che si tiene nel periodo di Pasqua, arriviamo e ammiriamo le bellissime sculture fatti con il pane restandone incantati. In tutto questo non vediamo nessun palco, anzi a dire il vero un palco gigante c’è ed è quello dove ci eravamo esibiti la settimana precedente per una festa (Capita alle volte che in un comune non ci chiamino per anni e poi ci fanno fare due spettacoli nel giro di una settimana). Ma non vi erano luci di sorta…
Camminando notiamo un palco vicino ad un bar alto quindici centimetri con una cassa di amplificazione da festa in casa, un piccolo faretto e un microfono da karaoke. Ovviamente abbiamo pensato: “sarà quello del localino” e continuiamo a cercare il palco.
Finalmente arriva l’Assessore e ci indica quel palco dicendo che era in un posto di passaggio per cui non si poteva fare di meglio. Cosa si fa in questi casi? Si va via? Ci si lamenta? No, si sale sul palco e si fa di necessità virtù, dato il posto davvero scomodo, mi ricordo Giuseppe che come se fosse un vigile indicava alla gente il passaggio, indicava i bagni e soprattutto come sempre utilizzava qualsiasi mezzo per fare spettacolo.
Sicuramente la riuscita dello spettacolo dipende da tanti fattori, ma il fattore più importante è non perdere lo spirito per il quale abbiamo sempre fatto cabaret: divertirci facendo divertire e soprattutto stare insieme.