Non è il famoso “telegrafo senza fili” che usavano gli Indiani d’America, ma il Tam Tam era un locale di qualche anno fa a Piano Stoppa (Tra Misilmeri e Belmonte in provincia di Palermo).
È stata una esperienza bellissima. Noi e i soliti gruppi di cabaret (quelli che, per intenderci, giravano come noi club e pub) facevamo spettacolo la domenica in quel locale e ogni volta che prendevamo una serata lì era un brivido. Poiché, dopo aver fatto trenta spettacoli con un repertorio che bastava a malapena per uno spettacolo e mezzo, la preoccupazione si impadroniva di noi, per non parlare del fatto che, di solito, era lo stesso bellissimo pubblico…bellissimo, ma sempre lo stesso! Nei teatri, normalmente, lo spettacolo per la stagione resta lo stesso e il pubblico è sempre differente, invece nei locali no, il pubblico è composto da affezionati del genere: per la serata del liscio hai il pubblico amante delle vecchie balere, per la musica dal vivo un pubblico con quella passione e così era per il cabaret.
Infatti, non appena Giovanni (il gestore) chiamava, e io regolarmente dicevo “si”, da quel momento per me e i miei due compari iniziava il Calvario!
Possiamo rifare sempre le stesse cose? Proviamo qualcosa di nuovo…e che cosa? Cambiamo un personaggio? … meglio di no!… Qualcosa ci inventeremo…
E, devo dire la verità, arrivavamo spesso la domenica augurandoci che non ci fosse pubblico o che ci fosse un temporale che bloccasse la viabilità, la neve magari…ma non succedeva nulla, il pubblico c’era e il peggio era che ci voleva bene.
Ricordo una comitiva di Belmonte (per tutti Dario e Margherita) che veniva sempre alle serate di quel locale e, per farsi ancora più male, ci veniva a vedere anche al Carpe Diem a Palermo il giovedì…quanto dobbiamo a queste ed altre splendide persone che ci hanno spronato ad andare sempre avanti!
Ricordo anche una coppia di fidanzati che tutte le domeniche sere aveva il tavolo prenotato in prima fila e anche loro sapevano tutti i pezzi a memoria. Insomma dei quadri splendidi e dei ricordi meravigliosi.
Ma la sera più bella è stata quando noi, per l’ennesima volta come sigla di chiusura dello spettacolo, abbiamo fatto la canzone dell’Ospedale (Parodia sulla condizione degli ospedali Palermitani). Si avvicina timidamente Dario e ci dice “Ragazzi abbiamo una sorpresa per voi…sedetevi che la canzone la cantiamo noi!”.
Per la prima volta si avvera quello che ognuno di noi sogna…il palcoscenico si allarga e tutti siamo uniti: noi e il pubblico…
…E Giuseppe dice con la sua nota poetica: “Ragazzi forse è ora che cambiamo repertorio…”.
Cambiare repertorio… sicuramente è facile da dire, ma merita un discorso su come nasce uno spettacolo di cabaret.
Oggi esiste la rete che fornisce una miriade di spunti e di idee, ma ai nostri esordi la cosa era completamente differente.
Scrivere non è un fatto scontato, non dici: “adesso scriviamo un nuovo pezzo o un nuovo spettacolo” e magicamente la cosa si realizza. Per prima cosa deve esserci lo spirito giusto. Grazie a Dio, in tutti questi anni questo spirito lo abbiamo avuto. Normalmente c’è uno di noi…
-Il signor Enzo. Grazie Giuseppe che lo ricordi
Che si incarica di portare un canovaccio (dicesi canovaccio una serie di appunti con scarsa razionalità) che suscita come prima reazione…
-Ma che porcherie hai portato? Ecco grazie Giorgio per averlo ricordato.
Partendo da “quelle porcherie” si fa una sorta di “brain storming”, frullato di cervello vero e proprio: ognuno dice le più disparate fesserie e tra tante di esse, esce fuori la battuta geniale che si riconosce dal fatto che viene accolta con una fragorosa risata da parte di tutti e tre (se a ridere si è in due si rischia che la battuta non sia a prova di pubblico esigente).
La bellezza è che alle volte nascono personaggi con pochissime battute e il “pezzo” ha una durata di circa cinque minuti. Portandolo in scena cresce a dismisura attraverso improvvisazioni, idee estemporanee, coinvolgimento del pubblico e diventa mezzo spettacolo. Esempio eclatante è il poeta, ovvero Fiorello di Paola (quello che doveva vendere il libro al Convento…ogni tanto faccio accenni alle puntate precedenti per verificare il grado della vostra attenzione!).
Quando è nato questo personaggio era qualcosa di estemporaneo e con una poesia incredibile che si intitolava “La fontanella”: il poeta, dopo essersi lamentato di voler recitare la poesia senza nessuno che lo boicottasse, iniziava facendo: “Plic, plic, plic (rumore di goccia d’acqua) plic plic…grhsss (rumore tipico di un tubo quando l’acqua non scorre più) …l’acqua mi chiuieru!! (l’acqua mi hanno chiuso)”. Piccola e semplice ma, credetemi, suscitava un’ilarità contagiosissima con il pubblico che rideva in modo incredibile. Piano piano il personaggio del poeta è diventato un pezzo composito attraverso una presentazione introduttiva fatta da me e Giorgio
-La parte più bella del pezzo! Giorgio, non ci allarghiamo.
Dicevo, seguita dall’ingresso del poeta e soprattutto da poesie epiche come “Papà” o la più famosa “Voglio morire nel sonno come mio nonno”.
In proposito mi ricordo ancora di 6 puntate che abbiamo girato a Roma per il “Seven Show”, trasmissione di cabaret che andava sulla rete televisiva nazionale, tutte incentrate sul personaggio del poeta. Siamo arrivati negli studi per girare, non ci conosceva nessuno ma avevano tra di loro come tormentone “Voglio morire nel sonno”, senza sapere che era nostro. Ci hanno detto che lo avevano sentito al provino che avevamo registrato ed era entrato nella loro mente.
Pertanto, per scrivere un nuovo spettacolo, bisogna avere una serie di alchimie che non sono semplici. Anche oggi scrivere uno spettacolo nuovo è un’impresa titanica che però, grazie a Dio, ancora ci riesce.
Male che vada si pesca nel repertorio classico con i tanti pezzi dei nostri personaggi che la gente ancora ama: Fifo, il Mago Macuè, il Signor Giorgio, il bambino, il vecchietto, il citato poeta, e tanti altri, nonché commedie e farse che in quasi quarant’anni di storia ci hanno accompagnato.
In tutto questo i tempi del Tam Tam restano il periodo più bello, poco repertorio ma tanta voglia di incontrare pubblico per far notte dopo lo spettacolo parlando di come sia bello vedere la gente che ride.