Non si hanno notizie sulla fondazione del castello di Misilmeri, e neppure è certo che un Emiro vi abbia mai abitato sebbene il nome con cui è conosciuto, “castello dell’Emiro“, sia piuttosto antico. Oggi è solo un rudere ma possiede inalterato tutto il suo fascino.
La storia del castello dell’Emiro: le origini
Sfortunatamente non abbiamo notizie dettagliate della costruzione e della storia che questo castello ha attraversato nel corso dei secoli.
Il primo impianto doveva essere una semplice torre Saracena di avvistamento, utile a salvaguardare il fertile territorio circostante da incursioni indesiderate. Su questo nucleo originario, è possibile che al tempo del dominio arabo della Sicilia siano stati realizzati degli adattamenti tali da renderlo un avamposto fortificato per proteggere le mercanzie che transitavano alla volta di Palermo, un po’ come il castello di Cefalà Diana ed altri lungo la via del grano.
Che il castello vero e proprio sia stato voluto dall’emiro Ja’far II che regnò in Sicilia fino al 1019 è possibile, infatti El Idrisi, il famoso geografo, nel suo “Libro di Ruggero” del 1154 parla di una “Dimora dell’Emiro (Manzil El Amir)” come “fortilizio tra i più ragguardevoli e valido castello”, posto a sei miglia da Palermo. Non è mai stata accertata storicamente la residenza di un qualunque Emiro all’interno del castello, tuttavia il nome col quale questo luogo era conosciuto ne attesterebbe almeno la proprietà.
Il termine Manzil El Amir attraverso alcune modifiche linguistiche è diventato il luogo che oggi noi conosciamo come Misilmeri.
Il massimo splendore del Castello: dai Chiaramonte agli Aiutamicristo
Non si hanno notizie certe sul castello per tre secoli, se non verso la metà del XIV secolo, sotto la proprietà dei Chiaramonte, quando sarebbe stata edificata una cappella dedicata forse a Sant’Antonio Abate.


Nel 1486, la baronia di Misilmeri fu venduta dai La Grua alla casata degli Aiutamicristo e questi chiamarono da Noto uno dei più famosi architetti siciliani del tempo: Matteo Carnalivari al quale venne affidato l’incarico di restaurare ed ampliare il castello dell’Emiro.
I lavori del Carnalivari al castello durarono circa un anno, dal 1487 al 1488, e impegnarono numerosi muratori, manovali e scalpellini. Abbiamo un documento dell’ottobre del 1487 che relaziona sui lavori eseguiti, dal quale si intuiscono apparati architettonici esistenti all’epoca che oggi è molto difficoltoso riconoscere. Si parla di un “dammusu di lu toccu, factu allamia, cioè con tetto a crociera che poggia su quattro angoli, posto all’interno del cortile del palazzo. In pratica il classico “tocco” cioè un porticato come quello davanti a Santa Maria della Catena a Palermo; di un “dammusu chi est subta lu dittu reposu et supra lu fossatu” e di una “turretta fatta supra la scala con la babalucia”. Dove fosse questo “fossato” e questa “scala a chiocciola” non è facile stabilirlo.
Sappiamo invece che il castello si componeva di almeno 23 stanze di misura diversa, tutte coperte con tetti a botte o a crociera con o senza costoloni, e chiavi di volta in marmo dipinto di cui se ne intravede ancora qualche segno.
Dopo gli Aiutamicristo l’inesorabile declino del Castello
Morto il Barone Guglielmo Aiutamicristo nei primi anni del ‘500, la cattiva amministrazione delle Baronie portò rapidamente al fallimento la Famiglia Aiutamicristo: i feudi di Calatafimi e Misilmeri passarono al primogenito Rainero, poi al figlio Guglielmo, che vendette la terra di Misilmeri a Francesco del Bosco nel 1540.
I nuovi proprietari non apportarono modifiche notevoli all’impianto, anzi ne trascurarono sempre più la manutenzione fino a quando la proprietà passò ai principi Bonanno che la mantennero fino al 1812, quando una nuova Costituzione abolì i diritti feudali.
Tuttavia pare che già da molto tempo il castello non fosse più stabilmente abitato e il declino proseguì senza sosta: il complesso subì ulteriori danni a seguito di terremoti, dissesti geologici e forse qualche esplosione accidentale quando fu adibito come deposito di polvere da sparo.
Così, per tanti anni, il castello mostrò il suo aspetto desolato di rudere, con la facciata principale caratterizzata da grandi fori scavati nella robusta muratura in pietra che testimoniavano la grave precarietà del luogo.
Nel 1979 il castello dell’Emiro è passato all’Assessorato Regionale dei beni culturali e nel 2010 restaurato e messo in sicurezza. Sono stati eseguiti lavori di integrazione strutturale e lo svuotamento di gran parte degli elementi crollati dagli ambienti, di modo che è diventato più facile comprenderne la struttura dell’impianto originale, benché molte domande sono rimaste ancora senza risposta. Occorrerebbero ulteriori operazioni di restauro purtroppo difficili da finanziare.
Il castello oggi: una visita è consigliata!
Si raggiunge il Castello dell’Emiro lungo la provinciale SP 38, che collega Misilmeri a Belmonte Mezzagno.
Dopo qualche curva, il complesso già si staglia al di sopra di una collina. Un piccolo tratto di strada sterrata sulla destra, conduce ad uno slargo dal quale, a piedi, una comoda via d’accesso conduce nel terrazzo antistante l’ingresso principale del castello. Si tratta di un pianoro, recintato a pietre, posto sul versante meridionale.
Di fronte, l’entrata principale doveva mostrarsi monumentale per via di un’ampia scalinata. All’angolo sinistro era presente una torre merlata, ora ridotta in macerie e sulla destra un’alta muratura che si aggetta verso il pianoro, forse un magazzino o una scuderia per le carrozze visto che non si intravedono scivoli d’ingresso per rotabili.

Superata la soglia, ecco a sinistra le stanze per il corpo di guardia a difesa dell’ingresso. Oltre questo “filtro” si perviene al grande cortile centrale, acciottolato ancora oggi con semplici disegni geometrici che lo rendono piacevole alla vista. Tutto intorno, su più livelli, si affacciano gli ambienti principali del castello, o meglio quel che ne rimane.
A destra, dei corpi bassi, i cui tetti sono ormai crollati, dovevano essere adibiti alle merci o alle scuderie: sono ancora visibili larghi pezzi di pavimentazione. A sinistra è tutto crollato, rimane la parte esterna del grande muro di cinta che doveva contenere dentro un corridoio e sopra un camminamento per eventuali guardie.

Più avanti, proprio di fronte all’ingresso, doveva esserci il famoso “toccu col dammuso allamia” cioè un bel porticato decorato, con colonne a reggere la volta: rimangono superstiti solo due basi di colonne che dovevano sostenere il portico. Da lì si accede ad un vano col pavimento in cotto che doveva essere una specie di disimpegno. A destra, una scala che conduceva ai piani superiori e a sinistra su due livelli si riconoscono altri ambienti di pregio tra cui, la cappella del castello, con un arco gotico e una finestra orbicolare in alto. Quel che rimane dei tetti a crociera mostrano vagamente la struttura originaria e conservano gli accenni delle preziose decorazioni che dovevano caratterizzarla.
Dalla cappella si accede ad altri ambienti di cui non è chiaro l’utilizzo. Quello che rimane dei tetti di questi ambienti, sono degli eleganti archetti pensili poggiati su capitelli sagomati, alcuni dei quali rappresentano piccole aquile in volo.
Il piano nobile era ospitato all’interno della grande torre: un parallelepipedo che nonostante la possente struttura per metà è crollato, solo il piano terra è agibile anche se ricoperto di detriti. Si possono notare le pareti ancora intonacate e decorate con semplici cornici ad ogni piano; le volte a botte e i merli lungo i muri perimetrali superstiti. Nel secondo livello della torre si può distinguere quel che resta di un monumentale camino ad angolo, probabilmente mai utilizzato vista la mancata presenza di fuliggine.
Intorno alla torre si aprono diversi elementi di difficile interpretazione tra cui i resti di una scala che dall’esterno probabilmente dava accesso a qualche piano della torre e al di là della torre verso settentrione si apre un altro spazio anch’esso cinto da muro, forse un’area privata o un giardino.
Per gli amanti del mistero, come spesso è accaduto per costruzioni simili, anche il castello dell’Emiro è avvolto da misteriose presenze tramandate nei racconti popolari del paese. Tesori nascosti protetti da spiriti che si aggirano tra i ruderi, come la dama vestita di bianco che porta con sé una brocca d’acqua; oppure stanze nascoste sotto terra, ancora perfettamente arredate di oggetti preziosi, che ovviamente nessuno ha mai trovato.
Ora non resta che andare a visitare il Castello dell’Emiro di Misilmeri, meglio se in primavera quando la vegetazione è ancora verde: è libero, è affascianante, è gratis!
Saverio Schirò
Fonti:
- G. Mannoia, Castello dell’Emiro di Misilmeri in youtube.com
- Voce Guglielmo Aiutamicristo in treccani.it
- La Storia di Misilmeri “di Mons .F. Romano Tip .F. Serafica
Non conoscevo alcuna notizia su questo castello, o su questi ruderi solenni che rimangono. Mi ha incuriosito parecchio la lettura, lasciandomi col rammarico che questi straordinari ricordi del passato siano finiti in rovina, sebbene mantengano anche in questo stato un fascino straordinario. Che c’è da dire se non: peccato che questi pezzi della nostra storia siano stati così tanto trascurati nel tempo. Ma nello stesso tempo vien da pensare che i vari possessori non hanno avuto più i mezzi per mantenerli integri!