Una leggenda popolare ambientata nella Sicilia del ‘500, vede protagonista l’imperatore Carlo V d’Asburgo e alcuni giudici corrotti di Palermo.
Tale racconto, giunto fino a noi in diverse varianti, ci offre uno spaccato di alcuni aspetti della giustizia e dell’amministrazione palermitana di quell’epoca, seppur infarcito di elementi di fantasia e dettagli cruenti.
Scopriamolo insieme.
Carlo V a Palermo
Abbiamo già parlato della vista di Carlo V a Palermo, evidenziando quanto questo evento fosse importante e sentito nella nostra città.
Riassumendo, di ritorno dalla vittoriosa riconquista di Tunisi, l’imperatore Carlo V d’Asburgo, sovrano di Sicilia, di Spagna, del Sacro Romano Impero e praticamente di mezzo mondo, decise di fermarsi sull’isola per una visita ufficiale. Lo scopo era quello di celebrare i suoi successi militari, ma anche riprendere il controllo di un territorio strategicamente fondamentale, in cui i nobili avevano spesso mostrato segni di insofferenza, più che di fedeltà al re.
Il culmine del suo itinerario era ovviamente la sosta a Palermo, capitale del Regno, nella quale si sarebbe fermato per circa un mese.
Proprio durante questo suo soggiorno, pare che l’imperatore si sia concesso del tempo per conoscere meglio la città e i suoi abitanti, oltre gli incontri e gli impegni ufficiali.
A tal proposito si narra che il sovrano si sia interessato ad un caso di malagiustizia, intervenendo personalmente contro i giudici corrotti.
Ecco cosa accadde.
La leggenda dei giudici corrotti
Si racconta che un ragazzo palermitano di buona famiglia, rimasto orfano, sia stato allevato da un tutore che ne amministrava anche l’ingente fortuna. Una volta adulto, il ragazzo avrebbe provato a reclamare il possesso dei propri beni, che però gli venivano continuamente negati.
Perciò l’orfano decise di rivolgersi a cinque importanti giudici, per ottenere giustizia. Questi però, raggiunti dal furbo tutore, avevano accettato una consistente somma in denaro, per deliberare contro il ragazzo, il quale, disperato, decise di approfittare della presenza di Carlo V in città, per chiedergli udienza.
Esposti i fatti, l’imperatore decise di prendere a cuore la vicenda. Travestito da abate, seguì da vicino tutte le fasi della causa, palesemente imbastita per dare ragione al tutore. Dopo aver ascoltato tutto il processo, al momento della sentenza, Carlo V rivelò la sua vera identità, dismettendo le vesti del povero abate. Dopo aver ribaltato l’esito del processo, assegnando tutti i beni all’orfano, il sovrano inflisse una pena esemplare ai giudici corrotti.
Scorticati vivi, le loro pelli furono usate per rivestire le sedie dei magistrati del tribunale, perché servissero da monito per chiunque amministrasse la giustizia in modo scorretto.
Un’altra versione della storia coinvolge sempre gli stessi personaggi, ma non vede l’imperatore come protagonista.
In questa narrazione, sarebbe stato proprio l’abate a derubare il ricco orfano, che si ritrovò costretto ad adattarsi, vivendo con una famiglia povera e lavorando come garzone per un anziano chiavettiere.
Quest’ultimo, appresa la storia e l’identità del ragazzo, si sarebbe rivolto a Carlo V per sottoporgli il caso. Appurata la verità, l’imperatore ordinò che i magistrati corrotti fossero legati dietro alcuni cavalli e trascinati a morte lungo la strada da allora nota come Discesa dei Giudici.
In realtà entrambe le versioni di questa storia non sono altro che una saporita e scabrosa leggenda, visto che questi fatti non sono riportati in nessuna cronaca dell’epoca. La cosiddetta Calata dei Giudici (oggi “discesa”), in realtà prende il suo nome dalle abitazioni dei Giudici della Corte Pretoriana, collocate lì in un’ala del monastero di Santa Caterina, ma la fantasia popolare, come sempre “galoppa”, tramandando le storie più incredibili che poi giungono fino a noi.
Fonti: M. DI LIBERTO, Nuovissimo stradario storico della città di Palermo, Palermo 1995
E. Di Bona – La statua di Carlo V e la leggenda dei cinque Giudici – Ecointernazionale.com