Rimane ben poco da vedere della chiesa della Madonna della Speranza a Palermo: pochi segni quasi irriconoscibili in un vecchio casolare di campagna tra i palazzi di corso Pisani. Nessuno probabilmente l’ha mai vista, nascosta com’è in una viuzza laterale, anche perché dai primi anni del XX secolo, quando era diventata una casa di villeggiatura della Marchesa Milletarì, ha subito oltre all’abbandono un inesorabile degrado. Ne parlò La Duca negli anni ‘70, quando l’edificio era ridotto a magazzino di uno sfascio di automobili.
Eppure questa chiesa è stata una delle più antiche di Palermo!
Ripercorriamo adesso la sua storia e se qualcuno avesse la curiosità di dare un’occhiata, ma solo dall’esterno, può provarci raggiungendo il tratto del corso Pisani proprio nel punto in cui diventa via Agostino Catalano: si accede dal numero 122, varcando quel che resta di un passaggio che una volta era un arco chiuso da un cancello, e percorrendo una trentina di metri lungo la strada che conduce ad un parcheggio per pullman.
Le origini antichissime della chiesa della Madonna della Speranza
Le origini di questa chiesa sono davvero antichissime! Risalgono probabilmente al VI secolo, quando in questo luogo, fuori dalle mura della città, doveva esistere un monastero femminile dei benedettini. Un monastero, diciamo a carattere penitenziale, dove venivano relegate suore penitenti per qualche grave mancanza commessa: il titolo “Madonna della Speranza” sarebbe legato alla speranza di queste suore di essere reintegrate nei monasteri di appartenenza.
Non sappiamo nulla di questo monastero, se non che era nei pressi di quello di sant’Ermete (San Giovanni degli Eremiti) e che vi furono confinate alcune suore di un monastero di san Martino delle Scale. Il perché è spiegato in un regesto (una specie di riassunto di documenti e atti ufficiali) che riguarda il papa Gregorio Magno, il quale accusava il vescovo Vittore di Palermo di avere trascurato i disordini che si erano consumati nel monastero di San Martino, e della clausura violata da un tale medico di nome Anastasio. Di che disordini, è spiegato a grandi linee: una disputa tra la badessa e aspiranti tali e un uso inappropriato dei beni del monastero per accaparrarsi favori. Per la clausura violata, saranno state coinvolte più monache, che supponiamo avrebbero accusato mali immaginari per essere curate da un medico “reale”… di quali tipo di visite si trattasse ognuno immagini da sé.
Monastero e chiesa sono andati distrutti e le suore trucidate dai Saraceni, quando nel IX secolo invasero la Sicilia. Alla riconquista cristiana al tempo dei Normanni, si deve la riedificazione della chiesa, ma non del monastero, di cui effettivamente non rimase alcuna traccia.
Questo contraddice quei pochi storici, di parte, i quali sostenevano che questo monastero avrebbe accolto Santa Rosalia prima di ritirarsi in eremitaggio, perché i tempi non coincidono.

Dopo un silenzio durato circa 500 anni, ritroviamo notizie della chiesa quando l’arcivescovo di Palermo, Cesare Marullo, nel 1588 fondò il seminario dei chierici e si appoggiò al complesso per ospitare i seminaristi. Venne costruito un piano al di sopra della chiesa da usarsi come refettorio e un corpo addossato lateralmente dove era collocata la scala ed altri locali. Un muro di cinta venne costruito intorno al complesso e al giardino circostante.
Cento anni dopo, e siamo alle soglie del 1700, per gli elevati costi di gestione, la proprietà venne concessa in enfiteusi, in pratica affittata, per 12 onze annuali, a un tale Don Gerardo Magliocco al quale evidentemente non importava della sacralità del luogo e pensò bene di dividere l’interno della chiesa in due parti facendolo diventare un magazzino, benché la metà anteriore rimase chiesa, non si sa per quale culto!
Da quel momento, il complesso cambiò proprietà più volte subendo numerose manomissioni strutturali, perdendo sempre di più l’aspetto originario. Forse per eludere la gabella della luce che alla fine del ‘700 tassava le aperture degli edifici, alcune finestre furono murate e più tardi, quando divenne casa di villeggiatura, ogni dettaglio che ricordasse l’originario carattere sacro venne cancellato: tolte decorazioni o croci, il grande portale d’ingresso venne chiuso lasciando solo una persiana, che adesso è ancora visibile.
Quando alla fine degli anni ‘20 del 1900 Nino Basile riconobbe l’antica chiesa della Madonna della Speranza (grazie alle descrizioni e agli schizzi lasciati dal canonico Mongitore che la vide nel XVIII secolo), il complesso era denominato “Villino Fortunato” ma la nuova proprietaria era la Marchesa Milletarì. Dopo di allora, l’abbandono di cui abbiamo parlato è tuttora visibile.
La chiesa della Madonna della Speranza: come era e com’è adesso

Descrivere le condizioni attuali del complesso è facilissimo per quanto riguarda la parte esterna, quasi impossibile capire cosa sia rimasto all’interno. Ma poco importa, dal momento che l’impianto originario e poi le modifiche del tempo del seminario sono state quasi tutte stravolte dai ripetuti cambi d’uso.
Le condizioni attuali dell’esterno mostrano ciò che resta della chiesa incastonato dentro una “superfetazione costruttiva”. Si riconosce il grande portale, adesso murato, con la vecchia persiana per l’ingresso. Due finestre a tutto sesto, ai lati del portale sono visibili benché siano state murate. Al di sopra, una finestra anch’essa a tutto sesto serviva a dare luce alla navata della chiesa.
Non sappiamo come fosse chiuso il tetto, se a “salienti” cioè con la forma della chiesa dei Vespri all’interno del cimitero di sant’Orsola (che praticamente è dello stesso periodo) o a “capanna”, con un timpano sul davanti. Di fatto è stato abbattuto per costruire la sopraelevazione per il refettorio dei chierici. Si riconosce benissimo la differenza della tipologia tra le due costruzioni: la chiesa con conci piccoli e ben squadrati; la parte soprastante, con conci più grossi e grossolanamente collocati.
Sul davanti un balcone è sostenuto da tre mensoloni, mentre nella parete laterale si estende un altro balcone che presenta due aperture, due finestre murate al primo piano e tre più in basso corrispondenti alla chiesa.
Non vi sono cornici o marcapiani decorati, se non le cornici bugnate ad intaglio che circondano il portale e le finestre e sono ancora in parte riconoscibili.
La parte destra dell’edificio, addossata alla chiesa, risale al XVII secolo e da allora dovette subire molti rifacimenti e adattamenti di cui rimangono vaghe tracce.
Della chiesa e del refettorio abbiamo una descrizione dei mastri muratori che relazionavano sui lavori fatti e quelli da fare: una porta grande d’intaglio, con tre archi sovrapposti e il portone in legno. All’interno una navata unica chiusa da un cappellone con un altare di Nostra Signora della speranza. Apertura e tetto chiuse da componenti in legno.
Il salone del refettorio era circondato da panche di legno per il desinare dei chierici. Il soffitto chiudeva le mura con una cornice lavorata. Erano presenti 12 finestre grandi e due finestre più piccole incorniciate con marmi intagliati e parapetti di ferro.
Oggi davvero c’è ben poco da vedere, ma chi fosse tanto curioso da andarci, si ricordi di rimanere qualche minuto in silenzio per rispetto del luogo sacro che fu immaginandolo animato da monache dedicate al lavoro e alla preghiera in attesa di una redenzione terrena che per alcune di esse non sarebbe mai arrivata.
Saverio Schirò
Fonti:
- R. La Duca, Lo “sfascio” di S. Maria della Speranza, in La città perduta, 4° serie pp. 81-83 Ed. e Ristampe Siciliane, Palermo 1978
- N. Basile, Chiesa della Madonna della Speranza, in Palermo Felicissima, ristampa anastatica Palermo 1978, pp. 49-59
- A. Mongitore, Le Chiese fuori città… (manoscritto nella Biblioteca comunale di Palermo, fol. 205 e sgg.)
- Vivi Tinaglia – Ultimi scampoli di storia in corso Pisani, in Salvare Palermo, settembre/dicembre 2012
- Santa Maria della Speranza in lionspalermodeivespri.it
Interessante ed esaustiva descrizione di luoghi e fatti storici.