È capitato a tutti noi palermitani, almeno una volta nella vita, di pronunciare la parola “m*nchia”.
Potrebbe sembrare strano o triviale, in realtà siamo abituati all’uso non come una parolaccia riferita al membro maschile o offesa nei confronti di qualcuno, ma piuttosto come un modo, tutto nostro, di intercalare per esprime meraviglia, disprezzo, apprezzamento o uno stato d’animo.
In altre città potremmo sentir dire esclamazioni o modi di intercalare come: allora, dunque, ciumbia, praticamente, vero…Ma qui a Palermo, nel linguaggio parlato, si utilizza questo vocabolo in un ordine sintattico tale da rendere più incisivo il significato.
Esempio:
– Ti piace questo…? (riferito ad una pietanza)
– M*nchia è buonissimo! (apprezzamento)
Succede qualcosa di brusco come un incidente, cosa dici?: – M*nchia! (esclamazione).
Due ragazze/i vedono un ragazzo/a piacente per strada o ancora meglio al mare, cosa affermano?: – M*nchia che bono/a! (meraviglia).
In estate con i nostri normali 35 gradi all’ombra appare normale esclamare: – Che M*nchia di caldo! (disprezzo).
Per non parlare di tutte le forme contenenti la parola:
Minchione = persona tonta
Malaminchiata = chi fa lo stupido
E poi via con: M*nchia innevata, m*nchia di mare, che m*nchia guardi!
Talvolta per evitare di risultare volgare il “m*nchia” viene sostituito da “Mizzica” che in realtà ha lo stesso identico significato.
Ma da dove ha origine questa colorita parola di cui i Palermitani non possono fare a meno nel loro modo di esprimersi?
Già i latini utilizzavano la parola “Mentula” (membro virile) che con il passare del tempo è giunta ai nostri giorni come “M*nchia”, termine utilizzato, come detto prima, in varie situazioni quotidiane.
Cercando di descrivere l’ organizzazione sociale del popolo romano nell’antichità, proveremo a capire il perché dell’uso odierno della parola.
L’ organizzazione basilare della società romana antica era la famiglia patriarcale che aveva come capo il “pater familias” ovvero il padre di famiglia a cui tutti dovevano sottostare. L’uomo ricopriva un ruolo importante nella società e spesso associato, come connubio inscindibile, al suo membro. Questo retaggio culturale si è fatto strada attraverso i secoli fino ai giorni odierni. In alcune famiglie fino a qualche anno fa e non solo, era uso comune dire che il padre/marito fosse il capo famiglia. A costui spettava il posto d’onore a tavola, in genere sul lato corto, il “capo tavola”, si meritava il piatto più ricco e decideva lui cosa guardare in TV o gli argomenti da discutere.
Ricordo che mio padre aveva questo titolo d’onore in casa.
Oggi la situazione, nelle famiglie palermitane è positivamente cambiata, la famiglia è un’unità collaborativa, non più una gerarchia piramidale.
Il culto di Priapo (divinità greca della sessualità), probabile figlio di Dioniso/Bacco (divinità del vino associato alle feste e riti orgiastici), si diffuse in età ellenistica e romana in modo fiorente, simbolo dell’istinto sessuale e della forza generativa maschile, e quindi anche della fecondità della natura. Si ricorda che durante i riti in onore di Dioniso le ragazze portavano nei campi dei falli riempiti di miele e succo d’uva che servivano per “irrigare” le terre, simboleggiando la fertilità.
Il membro maschile era quindi rappresentato in dipinti e statuette itifalliche (fallo in erezione). Altro oggetto dell’antichità era Tintinnabulum, un campanello che aveva molteplici funzioni di richiamo sia del bestiame che della servitù, ma particolare era quello appeso davanti alle porte di casa, rappresentato da una statuetta maschile con il membro in erezione, con funzione di “campanello” per avvertire l’arrivo di persone, ma anche con la funzione di allontanamento del male.
I commediografi latini, tra cui Plauto, ripresero elementi della commedia greca come l’itifallia sotto forma di ironia, ma anche come funzione apotropaica (da αποτροπαιοσ=che allontana dal male) e proprio da ciò deriverebbe il gesto di toccarsi i genitali come atto scaramantico.
Del resto Aristotele fece risalire l’etimologia della parola “commedia” da κωμοι= comoi, ovvero le sfilate falliche che avvenivano durante le festività in onore di Dioniso.

Non appare dunque strano che tale venerazione resistette nel tempo, anche alle proibizioni che la chiesa seppe imporre nei secoli. E seppur tutto sia stato ridimensionato, nelle manifestazioni artistico pittorica/statuaria, continua a permanere, nei Palermitani, quella forza espressiva che un fallo disegnato, anche in modo stilizzato, sul muro di una strada continua ad avere e ancor di più nel linguaggio che correntemente utilizziamo e che come patrimonio genetico trasferiamo da padre in figlio proprio come la stessa forza virile di qualcosa che è generatore di vita.
Erina Marino
Foto Copertina: Miguel Hermoso Cuesta, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons
Interessante soprattutto la derivazione del termine “commedia” che non sapevo. Complimenti.