Ho voluto iniziare la descrizione del monte Pellegrino con queste belle parole tratte dal libro “Viaggio in Sicilia” di Bernard Berenson nel 1957, perché credo che sintetizzino il fascino suggestivo e indefinibile di quello che per i palermitani è “il Monte” per antonomasia.
Dal Settecento ad oggi, da quando Giovanni Houel, pittore di Luigi XV, ed Enrico Cristoforo Kniep, compagno di Wolfgang Goethe nel suo viaggio in Italia, rimasero incantati dall’aspra bellezza del monte, l’imponente sagoma del monte Pellegrino è stata infinite volte ritratta da artisti di tutto il mondo.
Ma per il buon popolo palermitano monte Pellegrino è assai più che un luogo mirabile per bellezza naturale: è sacro alla loro fede, è la rocca che ha sempre protetto e difeso la città, oltreché, per molti, nido di antiche memorie e di cari ricordi; insomma, è una parte della loro anima.
Una storia molto antica quella di monte Pellegrino
Il ”più bel promontorio del mondo”, così lo definì Goethe, fu chiamato dai Fenici che vi si insediarono appena sbarcati nella piana di Palermo, “Panhorm”, che starebbe a significare “grande rupe”.
I greci lo chiamarono Hercta, in latino divenne mons Peregrinus e successivamente per gli arabi Gebel Grin (monte vicino) poi abbreviato in Bel Grin, infine per noi monte Pellegrino.
Durante la prima guerra punica per tre anni vi si accamparono le truppe di Amilcare e di Asdrubale, cacciate dalla città dalle legioni romane. Poi, cadute le piazzeforti puniche di Tindari, di Solunto e della Cannita, anche il monte Pellegrino dovette essere abbandonato dai Cartaginesi.
Durante la dominazione musulmana si apre un’altra fase della storia del monte palermitano che in quel periodo diviene centro di vita religiosa. Infatti, in quel tempo, molte grotte del Pellegrino furono trasformate in vere e proprie abitazioni da monaci eremiti che seguivano i dettami del monachesimo bizantino ispirati da San Basilio. In epoca normanna vi sorse anche un cenobio sotto la regola benedettina.
Il monte di Santa Rosalia
Ed è proprio in veste di romita benedettina che Rosalia figlia di Sinibaldo, signore di Quisquina, si ritira in una di queste grotte che servivano da dimora anche a gruppi femminili di eremite. Rosalia Sinibaldi, “sdegnosa del mondo e delle sue gioie”, consacratasi a Cristo, si seppellì volontariamente in un’oscura grotta del monte, dalla cui imboccatura, bassa e stretta, a malapena filtrava un po’ di luce. Molti anni ella trascorse in quel luogo freddo e umido pregando e consumando la sua carne nei crudeli digiuni. Ancora giovane morì, e secondo le sue volontà fu seppellita nella stessa grotta dov’era vissuta negli ultimi anni della sua vita.
La fama della sua santità si sparse per tutta la Conca d’Oro. Per molti secoli fedeli, frati ed eremiti cercarono invano di trovare le ossa della Santa. Nel 1624, mentre in città imperversava la peste, le presunte ossa della Vergine Rosalia furono rinvenute all’interno della grotta del monte Pellegrino.
Trasportate le reliquie in città furono portate in processione il nove giugno del 1625, e secondo quanto riferito dai diaristi dell’epoca , la pestilenza andò rapidamente scemando e gli ammalati uscivano dagli ospedali prodigiosamente guariti gridando: “Viva Santa Rosalia“, finché il terribile morbo cessò interamente.
In onore della Vergine Rosalia, proclamata Patrona della città di Palermo, la grotta sul monte Pellegrino fu trasformata in santuario, e da allora è divenuto meta di pellegrinaggi da parte dei fedeli ed è tuttora uno dei luoghi sacri più suggestivi di tutta la Sicilia.
Ancora oggi la fede e l’amore dei palermitani verso la loro Santa Patrona perdurano immutati. Anche se il “viaggio” è diventato una breve corsa in auto, il bisogno di onorare la “Santuzza“, di renderle omaggio, è sentito ancora oggi come in passato. Ci sono anche fedeli che in devozione alla Santa, il 4 settembre pellegrinano a piedi, a volte scalzi, per l’antica strada acciottolata (la scala) dalle falde del monte fino al santuario.
Lo spettacolo di Palermo vista dal monte Pellegrino
Che tu sia credente o no, salire sul monte Pellegrino è, comunque, uno spettacolo che riserva emozioni indimenticabili. Ad ogni tornante della strada l’occhio scopre nuove bellezze, resta affascinato da nuovi scorci panoramici, via via sempre più vasti ed aperti.
Da un lato lo sguardo spazia sul porto, affollato di navi, oltre la linea del molo si scorge l’elegante sagoma della splendida Villa Igiea e la candida mole di Villa Belmonte immersa nel verde dei suoi giardini.
Dall’altro lato, il versante settentrionale, si affaccia su uno scoscendimento pauroso al di sotto del quale si possono ammirare le limpide acque dell’Addaura e, a sinistra il golfo di Mondello distende l’arco della sua magnifica spiaggia.
Dalla sommità del monte poi, lo spettacolo mozzafiato che si abbraccia con l’occhio non ha eguali. Volgendo le spalle al mare, ci si apre davanti come uno scenario mirabile, tutta la conca palermitana. Ed ecco, se ci volgiamo, possiamo ammirare il mare che ci si schiude davanti ad un orizzonte sconfinato, e in fondo sulla linea dell’orizzonte, piccola come uno scoglio ci appare la rocciosa Ustica.
Natura, archeologia e geologia
Gli amanti della natura, ma non solo loro, subiscono da sempre il fascino di monte Pellegrino. Infatti il nostro monte, riveste notevole interesse anche dal punto di vista archeologico e geologico: nelle grotte del versante nord sul litorale dell’Addaura sono state trovate numerose testimonianze di insediamenti umani. In una di esse è stata scoperta una serie di graffiti paleolitici, in particolare vi sono incisioni raffiguranti animali e figure umane, forse celebranti un rito religioso.
Anche gli speleologi hanno fatto importanti scoperte nel monte Pellegrino. Le grotte verticali del monte, come “l’Abisso della Pietra Selvaggia” profonda 171 metri, hanno svelato ad appassionati e studiosi, scenari sotterranei di incomparabile bellezza nonché di grande interesse scientifico.
Il castello Utveggio
Appollaiato su un costone del monte si trova il “Castello Utveggio”, un’elegantissima struttura in stile liberty nata come albergo di lusso, che purtroppo non ebbe molta fortuna. Dopo un lungo abbandono è stato acquistato dalla Regione Siciliana e ristrutturato, in seguito è stato sede del Cerisdi, una scuola manageriale oggi non più attiva.
Quello che rimane è che vi si può godere un panorama paradisiaco. Per chi ama andare in bici poi, monte Pellegrino offre occasioni di salutari escursioni godendo dell’odore forte della resina dei pini e dell’affascinante verde paesaggio circostante, fatto di piante mediterranee e macchie di fichidindia. La scalata in bici di monte Pellegrino seguita dall’ebbrezza della discesa, rappresenta un classico per tutti i ciclisti palermitani.
Quasi quasi……… esco in bici!
Nicola Stanzione
Posso condividerlo nella mia pagina facebook? La storia, come narrata da te, la sapevo, ma mi interessa ancora di più perchè menziona la grotta dell’Addaura e l’Abisso della Pietra Selvaggia, da me esplorato tante volte verso la fine degli anni settanta.
Ciao Francesco, puoi condividerlo ovviamente citando la fonte.
Pellegrino dal latino “peregrinus”, straniero, o dall’arabo “Gebel Grin”«monte vicino»
direi di aggiornare la parte del castel utveggio
Grazie per la segnalazione Angelo, abbiamo provveduto ad aggiornare le informazioni.
Davvero rilassante questa lettura sul nostro monte. Sotto, dentro e intorno questa placida montagna vedo che esistono mondi ed esperienze tutte da vivere. Grazie per queste sollecitazioni, Nicola.
Mi piacciono sempre i vostri articoli. Il sig. Stanzione sa davvero tantissime cose su Palermo.