Nella parte settentrionale dell’antica Palermo si aprivano tre porte: porta santa Rosalia, porta Maqueda e porta Carini. Le prime due furono abbattute durante la metà del XIX secolo. Solo la porta detta “Carini”, rifatta nel XVIII secolo, venne risparmiata.
Sulla sua origine si sa poco, però pare che già esistesse nel 1310, data scritta in un lascito di un giardino con vigna, “extra Portam Careni Panormi”.
Nel 1325 fu gravemente danneggiata dagli attacchi del duca Carlo di Calabria, nel tentativo di penetrare in città, e successivamente fu ricostruita dal nobile palermitano Ubertino La Grua che svolgeva diverse mansioni pubbliche quali capitano e giustiziere di Palermo. Grazie ai suoi meriti fu insignito del feudo di Carini, divenendone principe.
Ma pare che la porta non fu nominata “Carini” in onore del La Grua, bensì il contrario, ovvero fu quest’ultimo a prendere il titolo di Principe di Carini per avere ricostruito la porta cittadina, così chiamata perché era il punto di partenza più naturale per raggiungere la località.
La porta Carini ricostruita nel 1325 era di semplice architettura, formata da un solo arco in pietra di taglio privo di decorazioni, una delle poche della città che non fosse stata ingentilita da migliori profili architettonici. Tuttavia era ricca di tradizioni e leggende popolari che la rendevano beneamata dai cittadini. Si racconta che sopra le sue mura sia apparsa Sant’Agata, nel 1348, liberando la città dalla peste. Per questo la santa fu venerata in una chiesa lì vicino (non più esistente) dove un pozzo forniva un’acqua miracolosa.
Nel 1782, riferisce il Villabianca, il baluardo detto di Gonzaga che si trovava lungo le mura tra porta Carini e l’attuale teatro Massimo, venne ceduto alle suore del vicino monastero di S. Vito (attuale caserma dei carabinieri), le quali, come contropartita dovevano ricostruire a proprie spese la porta. L’opera venne eseguita in un paio d’anni con un nuovo disegno e spostata un po’ più avanti, nel posto dove attualmente si trova.
Riferisce il Villabianca che “l’apertura di essa fu fatta conforme alle porte Felice e Maqueda, formata essendo di due alte piramidi, che sono comprese fra sei colonne di pietra rustica con vasoni di pietra sulle cimasi per varietà del disegno“.
Questa scelta urbanistica non era casuale, tant’è che convolse altre antiche porte di Palermo e consisteva nello spostare più avanti le aperture ed abolire i vecchi fossati che circondavano le antiche mura e che divennero le strade che costeggiano il centro storico della città. Poi col tempo al di qua delle mura vennero addossate le abitazioni cosicché oggi non resta pressocchè nulla dell’antica cinta muraria.
All’interno della porta a sinistra e a destra, sotto il cornicione di coronamento si scorgono due lapidi marmoree ormai ridotte in condizioni tali che è molto difficile leggerne le iscrizioni. La porta diede il nome anche alla strada che da essa conduce al Convento di S. Francesco di Paola: appunto Via Carini.
Fonte: Rosario La Duca “Palermo ieri e oggi”
Immagini tratte da: palermodavedere.it
Da sempre una delle mie porte preferite a palermo
Complimenti, interessante l’articolo sulla porta Carini.