Dopo il successo del primo “racconto su tela”, ecco la seconda puntata della nostra nuova rubrica.
Questa volta vogliamo raccontarvi di un particolare autore, Honoré Daumier e in particolare della sua opera “Il vagone di terza classe” del 1862. Vicino alle classi disagiate, Daumier denuncerà spesso la povertà e le condizioni degli ultimi, che nella Francia post rivoluzione, rappresentano ancora la maggioranza della popolazione. Un pittore impegnato anche politicamente con le sue vignette satiriche e le sue famose opere di denuncia come “la Gargantua” o “Allegoria della Repubblica”. Un pittore degli ultimi, dicevamo, che opera nel periodo della disillusione, lontano dallo sfarzo, lontano dalla purezza classicheggiante dei dipinti di Versailles dove un re ingordo e sordo alle sofferenze di un popolo, chiuso nella sua reggia dorata, passeggiava nella sala degli specchi nell’illusione che quella luce riflessa potesse durare in eterno.
La riflessione sulla rivoluzione è evidente nelle sue opere di satirica e di denuncia, una rivoluzione che non ha condotto a ciò sperato. Nessun tangibile miglioramento se non sulla carta, nessun illuminato governo razionale. La rivoluzione nel suo esasperato Saturnismo finisce per divorare i suoi stessi figli. Il lavoro della ghigliottina ha soddisfatto solo la sete di sangue d’intriganti tricoteuses, e la testa rotolante di Luigi XVI ha il gran merito di tagliare finalmente i residui di medioevo che strangolavano la società europea, ma non sfama il popolo.
Daumier racconta tutto questo nelle sue opere e il Vagone di terza classe, è testimone di quella diseguaglianza sociale che il sangue rivoluzionario non è riuscito a cancellare, una disuguaglianza che fa male e che non fa altro che aumentare lo stato di diritto.
La vecchietta in primo piano ha vissuto la rivoluzione, si è nutrita del sogno di uguaglianza, ha sperato che finalmente quelle convenzioni sociali, che rendevano possibile quella diseguaglianza, potessero essere abbattute, ma adesso dopo una vita di vane speranze e ristrettezze, non ha più niente, ha lo sguardo perso per chi lì sul ciglio dei suoi occhi, vi è la solitudine. La bocca semi aperta senza denti e senza voce.
Il vapore che grande invenzione, sono andati in città a vedere i frutti della terra, una terra che non è loro, ma di cui sono schiavi. Il paniere intrecciato come le mani vecchie della signora, è vuoto ma la giornata non è andata bene come speravano.
Il ragazzino sfinito riposa… è cosi intelligente, cosi sveglio, ha un’immaginazione cosi forte quasi quanto la sua volontà. Eppure questo probabilmente non basterà, le sue doti naturali non lo salveranno, il figlio del conte, del medico, dell’avvocato lo precederanno sempre, non importa quanto lui sia più intelligente, brillante e forte, loro hanno qualcosa che non avrà mai.
Avranno possibilità, avranno comprensione, avranno tutte le attenzioni e le possibilità che i soldi possono fornire. Lui no, dovrà lottare per ogni singola briciola di benessere, dovrà filare sempre dritto, dovrà faticare il triplo.
Probabilmente si dispererà di questo perche quei “figli di”, gli saranno superiori solo per convenzioni artificiali, solo per finzioni sociali, niente di più.
La scuola (ammesso che ci andrà), sarà il primo luogo dove si manifesterà la disuguaglianza sociale, “i figli di” avranno voti più alti, e tutti, dalle maestre alle istituzioni premieranno il loro talento indotto, non importa se è appreso quasi per osmosi dal loro contesto, non importa quanto di naturale ci sia in quei 10, in quella lezioncina imparata a memoria, saranno già dal primo contatto migliori di lui. Per quanto il suo 6 o 7 sia frutto di sacrifici, voto preso nonostante i suoi genitori non sappiano parlare, preso nonostante il lavoro, nonostante il vagone di terza classe, sarà sempre inferiore, e varrà sempre meno di chi pur avendo la stessa intelligenza o addirittura pur essendo meno dotato ha avuto la semplice fortuna di nascere ricco.
Non gli resta che sognare, appoggiato alla nonna, è stanco e non c’è illusione.
La madre che allatta sembra quasi non avere volto, lei ha già conosciuto la violenta cecità della sorte che l’ha voluta povera, lei è senza contorno, non si percepisce la sua età, giovane o già vecchia, la sua unica ricchezza è rappresentato da quel piccolo che stringe a sé, la ricchezza del genitore povero sta nei propri figli, mentre la ricchezza del figlio ricco sta nei suoi genitori.
Dietro le figure in primo piano, vi sono stanchi lavoratori con il volto solcato dalla fatica. Uomini quasi mostri, imbruttiti dalla povertà,dalla fame,dalla miseria. Figure poco definite senza speranza. Volti in grado di produrre solo smorfie, sono al buio perché è quello il loro posto, e la poca luce che arriva a toccarli e quella che basta a caratterizzare le loro figure quasi incompiute.
Al contrario sotto il finestrino, in posizione opposta vi sono loro, i borghesi.
Sembra di sentire i loro discorsi cosi schizzinosi e avversi, cosi snob sotto i loro potenti cappelli neri. Sentono il puzzo della povertà e ne sono infastiditi, si ripromettono che la prossima volta viaggeranno in prima classe ma in fondo, attaccati come sono al denaro, non lo faranno mai. La luce li coglie perfettamente e ne rileva i profili in modo evidentemente più accademico e romantico. È a loro che appartiene il mondo.
Quanti vagoni di terza classe oggi potremmo dipingere? Quante storie guardando solo all’occidente potremmo raccontare? La diseguaglianza sociale esiste, così come la giustizia sociale incompiuta, solo che oggi ha preso forme un po’ diverse.
Non possiamo concludere desiderando una società dove tutti condividano tutto, dove i ricchi non si limitino a finti esclusivi club di beneficenza nati per scambiarsi favori, ma condividano materialmente la propria ricchezza. Non possiamo volere in assoluto tutti uguali a prescindere dalle loro esperienze, conoscenze e fortune. Non ci sentiamo di propagandare l’applicazione del comunismo più assoluto; ma forse basterebbe che il piccolo dipinto da Daumier, nato oggi, avesse qualche possibilità in più, che gli si potessero vedere gli occhi, se non altro per piangere, auspicheremmo solo che siano le doti naturali (se esistono) a differenziarci.
Ecco, il desiderio è che tutti possiamo partire dagli stessi blocchi di partenza, che possa lui stesso essere fautore della propria disgrazia e della propria fortuna.
Pietro Schirò
Che bell’articolo!
Non conta mai dove si arriva, conta da dove si parte! Quanta fatica, impegno, determinazione ostinata, coraggio, ci sono dietro i risultati che vorremmo ottenesse quel bimbo inseguendo i suoi sogni!