Durante il periodo Edo, quando il Giappone chiuse le sue frontiere nei confronti dell’Occidente, don Giovanni Battista Sidoti, un coraggioso prete palermitano, decise di introdursi di nascosto nel paese travestito da samurai, per svolgere clandestinamente l’attività di missionario.
La sua conoscenza ha svolto un ruolo importante nella crescita della diffusione della cultura Europea in un Giappone altrimenti del tutto chiuso agli avvenimenti esterni e ai costumi degli altri popoli.
Andiamo a scoprire chi era questo coraggioso sacerdote siciliano.
Giovanni Battista Sidoti: Un prete siciliano in Giappone
Giovanni Battista Sidoti (o Sidotti come riportato in alcuni documenti) nacque a Palermo il 22 Agosto 1667, dove a 17 anni intraprese la carriera ecclesiastica, studiando come seminarista e conseguendo poi la laurea in filosofia e teologia presso il Collegio massimo dei Gesuiti.
In seguito si recò a Roma, per studiare diritto alla Sapienza.
Qui, negli ambienti ecclesiastici romani, venne a conoscenza delle torture e del martirio che i missionari cristiani subivano in Giappone, allora sotto la politica autarchica dello shogunato Tokugawa, nota come sakoku. Questa imponeva severissime regolamentazioni ai rapporti con gli stati esteri, consentendo solo a pochissimi mercanti (perlopiù cinesi e olandesi) di intrattenere commerci navali e vietando ogni forma di indottrinamento, punita addirittura con la pena di morte.
La notizia di queste severissime pene inflitte ai missionari cristiani, aumentò ancora di più la spinta a sfidare le leggi di questa nazione “senza Dio” e di diffondere la conoscenza del vangelo al fine di salvarne la popolazione.
Con questo spirito Sidoti si offrì volontario nel 1702 per la missione di monsignor Carlo Maillard de Tournon, delegato dal papa Clemente XI per la risoluzione di alcuni conflitti tra i cristiani in Cina. Il suo scopo era quello di stabilirsi in oriente per prepararsi alla sua missione, studiando la lingua e la cultura giapponese prima di raggiungere la terra del Sol Levante.
Il viaggio iniziò da Civitavecchia il 4 luglio dello stesso anno, dove si imbarcò su una nave genovese che lo portò a Tenerife. Qui sostò per svariati mesi, prima che un convoglio navale appartenente alla Compagnia Francese delle Indie Orientali, lo prelevasse per portarlo a Manila, nelle Filippine, dove Sidoti si fermò per 4 anni. Durante questo soggiorno cercò di imparare il giapponese, avvalendosi anche dell’aiuto di alcuni cittadini nipponici residenti lì.
Dopo un lungo periodo di studio e opere umanitarie, che lo fecero benvolere dall’intera popolazione locale, iniziò la sua vera missione e dopo un paio di tentativi falliti riuscì finalmente a sbarcare (di notte e clandestinamente) nell’isola di Yakushima.
Per non farsi riconoscere aveva deciso di camuffarsi. Indossò un kimono, si rasò i capelli sulla fronte e raccolse quelli posteriori in una crocchia, esattamente come facevano i samurai. Oltre alla valigia con i libri sacri e quelli di grammatica giapponese, portò con sé una spada, che doveva essere parte del travestimento.
Nonostante tutti gli accorgimenti ed il tentativo di mantenere un basso profilo, le cronache olandesi riferiscono che i suoi tratti somatici lo tradirono immediatamente e le autorità locali lo arrestarono per poi portarlo a Nagasaki, dove fu interrogato a lungo grazie alla mediazione di un interprete e di alcuni mercanti olandesi in grado di parlare il latino.
Alla fine proprio il suo luogo di provenienza, ovvero Palermo, lo salvò da un’esecuzione immediata, visto che l’ingresso nel paese era espressamente vietato a portoghesi e castigliani, ma non ai siciliani.
A questo punto si decise di trasferirlo nella capitale Edo (oggi Tokyo) per essere interrogato da un consigliere dello shogunato, Arai Hakuseki, considerato uno dei saggi confuciani più importanti dell’epoca. Nei loro lunghi colloqui che toccavano i più svariati temi, dall’astronomia alla geografia, tra i due si sviluppò un certo rapporto di stima. Proprio sulla base di queste conversazioni Hakuseki scrisse alcune delle sue opere più importanti, volte a diffondere nel paese la conoscenza delle culture e degli usi occidentali.
Solo su un punto non si trovarono mai d’accordo. Sidoti insisteva nella sua missione e considerava il cattolicesimo come l’unica via di salvezza per il popolo giapponese, per questo insisteva nella volontà di insegnarlo e diffonderlo. D’altra parte proprio il cattolicesimo era severamente vietato, anche a causa della propaganda negativa promossa dagli olandesi, di fede protestante e ai quali era invece talvolta concesso di celebrare i propri riti (le politiche in merito variavano di regione in regione, a seconda dei governi locali).
Ad ogni modo la provenienza, l’attitudine e la saggezza di Sidoti fecero sì che non fosse condannato a morte e fosse invece mantenuto agli arresti in una struttura chiamata “Casa dei Cristiani”, dove pur non potendo uscire, era trattato con tutti i riguardi, nutrito con 5 pasti al giorno e con due camerieri al suo servizio.
Questa condizione privilegiata durò fino al 1714, quando proprio i due servitori confessarono di essersi convertiti al cattolicesimo e di essere stati battezzati dallo stesso Sidoti. A questo punto la pena capitale divenne inevitabile.
Lui e i due camerieri vennero calati in tre buche nel terreno, poco più grandi dei loro corpi. Qui, seppur alimentati quotidianamente, erano costretti a vivere tra i loro stessi rifiuti e nessun ricambio d’aria. Giovanni Battista Sidoti morì entro pochi giorni, all’età di 47 anni.
Nel 2014 dei lavori svolti in quel luogo, riportarono alla luce dei resti umani, identificati poi come appartenenti a Sidoti e ai due servitori giapponesi.
Oggi un’immaginetta in rame della Madonna del Dito, a lui appartenuta, è custodita come cimelio nel museo nazionale di Tokyo e un piccolo monumento fu eretto in suo onore nell’isola di Yakushima, dove era sbarcato inizialmente.
A Palermo, una lapide posta sul Cassaro, sulla parete esterna del Collegio massimo dei Gesuiti, ricorda i suoi studi in quel luogo ed il suo ruolo di mediazione tra le due culture.
Di recente la Chiesa ha avviato il suo processo di canonizzazione per questo martire siciliano dalla storia così particolare.
Leggi anche: Tama Kiyohara, la palermitana giapponese
Fonti:
M. Torcivia, Giovanni Battista Sidoti Missionario e martire in Giappone, 2017
Treccani.it – SIDOTI, Giovan Battista
Wikipedia.org – Giovanni Battista Sidotti
Foto monumento Sidoti by Großsulzer, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons
Mi chiamo don Mario Torcivia e sono il Postulatore della Causa di beatificazione, nonché l’autore della biografia su Sidoti citata tra le fonti. Sono curioso di sapere come ha conosciuto Sidoti e manifesto la mia disponibilità per un incontro. Avviso che giovedì 11 novembre p.v. alle ore 12, nel palazzo arcivescovile di Palermo, sarà celebrata l’ultima sessione dell’inchiesta diocesana. In seguito, il materiale sarà inviato a Roma per la fase romana della Causa. MT
Grazie per averci contattato, il suo commento ha grande valore per noi (visto che il suo nome è anche citato tra le fonti).
Abbiamo conosciuto Sidoti innanzitutto grazie all’iscrizione posta sull’ex Collegio Massimo dei Gesuiti, da lì abbiamo svolto qualche ricerca che ha poi portato alla scrittura dell’articolo.
Per approfondimenti può contattarmi quando vuole all’indirizzo samueleschiro@palermoviva.it
Che storia fantastica!!