Le “riparate dello Scavuzzo” chi erano queste donne che abitavano questa “Casa dello Scavuzzo”? Perché nella Palermo del XVII secolo vengono chiamate “riparate”? C’è una differenza con le ree pentite che si ritiravano in convento ad espiare le loro debolezze carnali? Intanto la casa dello Scavuzzo non era un convento e questo è già un indizio.
Una morale piuttosto permissiva verso il sesso maschile ha sempre tollerato una certa libertà in tema sessuale. Per cui se a dedicarsi ai piaceri mondani era un uomo, poteva addirittura essere motivo di lode. Ma quando queste licenze le prendevano le donne, allora la morale diventava inflessibile e le bollava con un marchio infamante.
Ma se la società ipocrita e puritana non ammetteva redenzione per queste donne “peccaminose e perdute”, ecco che animi nobili si mobilitavano e organizzavano pie Istituzioni per accogliere quante di queste ragazze pentite, decidevano di ritirarsi dal mondo del peccato e intraprendere la via della purificazione. Coloro che appartenevano alle classi nobili, venivano accolte volentieri nei monasteri femminili con l’appellativo di repentite (ree-pentite): prendevano i voti e abbracciavano la vita di clausura.
Una sorte diversa avevano le donne che pur esse pentite non avevano nobili natali: alcune provenivano dalla “strada” (le cosiddette cassariote, perché battevano i marciapiedi del Cassaro) altre non erano colpevoli, ma violate e abbandonate loro malgrado e dunque sporcate. Queste derelitte, venivano accolte in istituti detti di emenda o conservatori. Qui, venivano “riparate”, cioè poste al riparo dai pericoli della vita: ma non avevano diritto a costituirsi in monasteri veri e propri perché pur desiderandolo, non prendevano, né potevano prendere i voti.
Istituti di emenda di Palermo ce ne furono diversi, come il Ritiro delle Zingare vicino all’Albergheria per esempio, ma quello dello Scavuzzo fu tra i primi a sorgere a Palermo. Inizialmente e per più di trent’anni fu un monastero Carmelitano edificato per volontà del barone di Santa Venera Antonio Colnago nel 1624. Successivamente la struttura venne assegnata alle donne da redimere assumendo il nome di “Casa e Conservatorio delle Donne riparate alla Santissima Concezione”.
In realtà il complesso era conosciuto come “Ritiro dello Scavuzzo” perché sorgeva nella strada che prendeva il nome dal palazzo del notaio Giacomo Scavuzzo (nome oggi trasformato in via Schiavuzzo), e comprendeva il monastero con il chiostro, un piano rialzato per le celle e la preesistente chiesa della “Madonna delle Grazie” che aveva fatto costruire la famiglia Vernagallo verso il 1592.
Le ragazze che vi furono accolte non erano suore, però come suore scandivano la loro vita, pur senza avere professato dei voti. Erano organizzate proprio come un ordine monastico con tanto di abito e una superiora che talvolta si faceva chiamare badessa.
La vita che volevano fare era come quelle delle monache di clausura, ed a quello aspiravano col tacito consenso delle Istituzioni ecclesiastiche e mal viste dalle monache “regolari” che consideravano un abuso queste pretese.
In ogni modo, sotto il loro governo il complesso fu ingrandito ed abbellito con decorazioni di discreta fattura e questo suggerisce l’appoggio di qualche illustre benefattore.
Non è chiaro quando il Conservatorio divenne una Badia, cioè un convento vero e proprio di monache di clausura. Sappiamo solo che a un certo punto smise di accogliere donne sviate, consentendo l’accesso solo a giovani vergini che si votavano alla vita spirituale.
È di questo periodo un fatto increscioso accaduto, secondo il Pitrè, il 10 gennaio del 1782. Raccontano le cronache che un nobiluomo palermitano, tale Tommaso Celestre Marchese di S. Croce, volle visitare allo Scavuzzo sua cugina: la Duchessa di Reitano, Caterina Colonna. Ma con inaspettata fermezza, la superiora del Conservatorio per preservare la clausura gli negò il permesso di entrare. Esaurite tutte le sue influenze per accedere con le buone, il
Il Marchese Celestre diede piglio alla violenza e si presentò con soldati per forzare l’ingresso a colpi di scure. Le donne, barricate dentro, cominciarono a tirare pietre ed acqua bollente dalle finestre, proprio come nella difesa delle mura della città durante gli attacchi dei nemici. Ovviamente i soldati ebbero la meglio ed entrarono nel convento e l’esagerata reazione della superiora fu punita con un periodo di carcerazione allo Spedaletto. Sconfitta ma non pentita per la resistenza, la superiore poteva considerarsi soddisfatta: aveva difeso l’onore della clausura cedendo solo alla sopraffazione della forza maschile!
Nel 1866, con la soppressione degli ordini religiosi, l’istituto venne cancellato. Il complesso passò al demanio e subì profondi cambiamenti strutturali per adeguarlo a nuove destinazioni. Il 16 settembre del 1926 divenne scuola d’Arte Autonoma con lo scopo di formare una classe di artigiani professionisti. Il terremoto del 1968 danneggiò gravemente il complesso che ridotto a poco più di un rudere, venne abbandonato per una quarantina d’anni fino a quando nel 2009 non è diventato residenza Universitaria.
Dell’antico convento rimane oggi solo il portale sulla via Schiavuzzo e all’interno il chiostro che benché restaurato, mantiene ancora un certo fascino.
Saverio Schirò