Un tempo il Cassaro era la strada più elegante e il palcoscenico più ammirato di Palermo.
La passeggiata lungo il Cassaro era molto amata dalle dame del tempo che per niente al mondo avrebbero voluto perdere. Era il luogo dove le donne sfoggiavano i loro abiti e la loro bellezza, dove si facevano incontri leciti o illeciti, dove nascevano amori e tradimenti, una vera e propria vetrina, guardata e ambita anche da chi non poteva frequentarla.
Si racconta che il viceré di Sicilia, Marcantonio Colonna, noto per la tresca amorosa con la bella Eufrosina Siragusa, usava organizzare lungo il Cassaro (attuale Corso Vittorio Emanuele), delle corse: “la corsa dei berberi” cavalli senza sella che correvano lungo il Cassaro in corsa sfrenata, partendo da Porta Felice fino ad arrivare a Porta Nuova.
Il Pitré narra che i cavalli venivano cavalcati da fantini scelti tra i trovatelli e che solo più tardi si decise di eliminare questa terribile usanza e di far correre gli animali senza cavalieri. Pare che collocassero sulla criniera e sulla coda dei cavalli delle palline e dei pungoli, per stimolarli a correre più velocemente. Al vincitore della corsa, veniva data in premio un’aquila in legno dorato, su cui erano state incollate delle grosse monete d’argento.
Ma la corsa più famosa ed attesa era “la corsa della bagasce”, uno spettacolo al quale accorreva numeroso tutto il popolo palermitano.
A questa corsa partecipavano le “bagasce”, donne di facili costumi: un elegante abito con il corsetto di raso era il premio messo in palio dal Colonna.
Queste gare, erano molto in voga nel cinquecento, lo dimostrano due documenti , uno del 1572 e uno del 1578, dove si sottolinea che queste corse scatenavano la fantasia degli uomini che godevano della vista di queste sventurate con i capelli al vento, le gambe nude e il seno in bella vista.
Luigi Natoli nel suo “Storie e leggende di Sicilia” (Flaccovio 1982) ne descrive una vera e propria cronaca:
«Le corritrici erano sei, si schierarono sulla medesima linea, l’una accanto all’altra. Erano in veste lunga; ma perché le gambe avessero maggior libertà, il signor Marcantonio aveva permesso che si vestissero alla ninfale, con vesti larghe, cioè aperte fino al ginocchio, e senza maniche, nessuna sottana, le gambe coperte di calze lunghissime, e i piedi calzati con nastri. Erano belle a vedersi.»
«Sparò il terzo colpo. Le sei donne si rizzarono sulle punte dei piedi, coi pugni serrati, l’ occhio fisso sulla strada, stimolate dal desiderio della vittoria. A un tratto il campanello squillò; parve che qualcuno le avesse sospinte: si slanciarono tutte e sei, come sei pazze, come sei furie, su per il Cassaro».
«Le vesti aderivano loro sul grembo, sulle cosce, svolazzando sopra le spalle, sbatacchiate fra i polpacci e i piedi. Correvano col volto acceso, senza veder nulla; accecate, anzi, da quella moltitudine confusa che da una parte e l’altra della strada fuggiva al loro occhio. Gli urli, le grida, gli schiamazzi della folla le assordavano; intorno a loro risonavan scoppi di mano, fischi, strilli acutissimi; chi le incitava, chi lanciava dietro a loro un’ insolenza, una parola ambigua, una parola indecente; alcuni con lo scudiscio, con una pertica, con un bastone, le aizzavano come si farebbe con le bestie. Era un urlìo sempre più alto, più tumultuoso, più assordante; erano scoppi formidabili di risa che le pungevano, le indispettivano, le rallegravano. E correvano».
La corsa delle bagasce lungo il Cassaro prese dopo il nome di “Palio di Santa Maria Magdalena” e si articolava in quattro parti. Nella prima correvano i ragazzini, nella seconda i giovani, nella terza gli uomini e dulcis in fundo, nella quarta le attese “bagasce”.