il Regio Decreto 3036 del 7 luglio 1866 definì la soppressione degli ordini religiosi e e delle congregazioni e l’anno successivo una seconda legge dispose la confisca dei beni degli enti religiosi. Fu proibita la vita religiosa, cioè la vita comunitaria di coabitazione negli istituti religiosi, che si svuotarono dai preti, frati, suore, monache e in questo modo, lo Stato si appropriò del patrimonio ecclesiastico.
Dalla chiesa allo stato: ecco alcuni dei patrimoni trasferiti
La città di Palermo è ricca di siti d’interesse culturale, raggiungibili a piedi anche dai turisti con cartina geografica alla mano. Tali attrattive si vedono distribuite sulla mappa della città con particolare densità nel centro storico e, andandole a trovare, si scopre un curioso aspetto che accomuna la loro collocazione. Facendo una visita turistica di Palermo incontriamo una serie di musei, istituti scolastici, universitari, biblioteche, che sorgono proprio in corrispondenza di chiese e con un’architettura a loro non proprio confacente.
Vedendo solo qualche esempio ne viene un elenco considerevole.
La Facoltà di giurisprudenza ha sede nella monumentale ex-casa dei padri teatini, includendovi l’oratorio dei falegnami, accanto la chiesa di San Giuseppe ai Quattro Canti.
Presso l’ex-Collegio Massimo dei gesuiti, abbiamo oggi la biblioteca regionale, mentre a Casa Professa si trova quella comunale.
La vecchia casa degli oratoriani ospita oggi il museo archeologico regionale, nel chiostro dei domenicani si trova il museo di Storia Patria, l’ex-convento dei frati minori (parrocchia Sant’Antonio di Padova) appartiene al polo umanistico dell’Unipa.
Ex-casa dei padri teatini in via Maqueda, oggi sede dell’Università degli Studi di Palermo, Scuola di Scienze Giuridiche ed Economico-Sociali e Dipartimento di Giurisprudenza.
Una scuola elementare occupa la struttura dell’ex-convento degli agostiniani scalzi (chiesa di San Gregorio al Capo), altre scuole sono negli ex-monasteri dei Sett’Angeli e dello Schiavuzzo. La sede centrale del liceo Regina Margherita sorge sul monastero basiliano che la tradizione lega a Santa Rosalia. Nell’ospedale dei Fatebenefratelli oggigiorno il liceo scientifico Benedetto Croce ha una spettacolare aula magna affrescata (e vincolata dalla Sovrintendenza).
La GAM (Galleria di Arte Moderna) a Palermo ha sede nell’ex-convento del TOR (Terz’Ordine Regolare) accorpato alla parrocchia di Sant’Anna la Misericordia. Nel convento dei frati minimi (parrocchia San Francesco di Paola) si trova il Circolo sottufficiali dell’Esercito. E poi, l’Archivio di Stato che si trova nel convento della Gancia dei frati minori francescani e quello della Catena dove avevano il noviziato i padri teatini.
Visitando di presenza tali strutture si apprezzano pure le notevoli dimensioni degli originari complessi religiosi, spesso inclusivi di ampi cortili, ciascuno dei quali con un corso storico-artistico non certo riassumibile in poche parole.
“Storia degli effetti”: il passato che rimane
Il turista straniero e talvolta pure il “turista della propria città”, non sempre è a conoscenza del fatto che tutti questi luoghi hanno in comune il medesimo momento storico per il cambio di proprietà e destinazione d’uso.
Conoscere la storia aiuta oggi per esempio a celebrare consapevolmente il 160° dell’unità d’Italia. Infatti ci sono vicende superate, che appartengono al passato, come pure se ne riscontrano altre che rimangono sempre attuali.
In filosofia della storia si chiama “storia degli effetti” il passato che giunge fino a noi e in un certo qual modo continua a essere presente, anzitutto nelle testimonianze materiali visibili e vivibili, come pure attraverso i suoi effetti sociali e politici.
Camillo Benso conte di Cavour, primo ministro del regno di Sardegna, aveva formulato a suo tempo la teoria della «libera Chiesa in libero Stato», fiorita nel governo del connubio Cavour-Rattazzi, in una proposta di legge esaminata da una commissione parlamentare e presentata alla Camera il 20 febbraio 1855. La netta separazione del potere spirituale attribuito alla Chiesa, dal temporale di competenza dello Stato, concluse che a quest’ultimo spettasse istituire e sopprimere la personalità giuridica degli enti ecclesiastici, oltre che appropriarsi dei beni materiali, se non utili al culto divino, unica facoltà riconosciuta alla Chiesa. Così il Piemonte promulgava le leggi anticlericali che poi ripropose all’Italia intera dopo l’unità, quando la “Cassa ecclesiastica” divenne il “Fondo per il culto”, poi “Fondo edifici di culto” oggi facente capo al Ministero dell’Interno. La città di Palermo conta una trentina di chiese appartenenti al FEC, cioè di proprietà dello Stato.
1866-1867 soppressione degli ordini religiosi e confisca dei beni
Con «eversione dell’asse ecclesiastico» si indicarono dunque gli effetti economici di due leggi del Regno d’Italia: il Regio Decreto 3036 del 7 luglio 1866 di soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose (in esecuzione della Legge 2987 del 28 giugno 1866) e la Legge 3848 del 15 agosto 1867 che dispose la confisca dei beni degli enti religiosi. Dapprima il novello Stato italiano proibì la vita religiosa, cioè la vita comunitaria di coabitazione negli istituti religiosi, che si svuotarono dai preti, frati, suore, monache; contestualmente lo Stato si appropriò del patrimonio. Per i consacrati che non poterono rientrare in famiglia si previde un trattamento pensionistico. Solo trent’anni più tardi, intorno al 1895, venne consentito ai religiosi di tornare ad abitare i propri conventi, limitatamente ad alcuni spazi, ritagliati tra le attività pubbliche dei nuovi inquilini (carceri, scuole, caserme, ospedali, uffici, musei, ecc.). Depauperati di tutti i beni, ancora fino al periodo fascista le corporazioni religiose cercarono di riscattare in denaro qualcosa delle vecchie proprietà, o rivendicare in tribunale l’originario possesso. Ricordiamo pure che l’“assegno di congrua” corrisposto dallo Stato ai parroci fino al 1986, aveva proprio il carattere di risarcimento per i danni subiti dalla Chiesa con l’incameramento forzoso.
Da principio l’intento dichiarato delle confische e liquidazione dei beni, era fare cassa per appianare il disavanzo di bilancio dello Stato sabaudo. Si dovettero però adottare misure correttive quando la situazione sfuggì di mano al demanio, ovvero ci si rese conto che il patrimonio artistico si stava perdendo con alienazioni scriteriate. Mentre i direttori del demanio iniziavano a porre condizioni speciali per la vendita dei beni di valore artistico, nascevano pure i primi “monumenti nazionali”, ai quali lo Stato doveva prestare un occhio di riguardo.
Nel 1877 erano inscritte nel bilancio del Fondo per il culto dotazioni per altri nuovi monumenti nazionali, introducendo così il principio per cui il governo si obbligava alla conservazione di tali complessi immobiliari ed elementi annessi (laboratori, biblioteche, archivi, farmacie, fattorie, ecc.).
Una storia non ancora finita
Questa storia non è iniziata e finita un secolo e mezzo fa, perché continua tutt’oggi. Prendendo conoscenza delle funzioni del Fondo edifici di culto, come si presenta al cittadino nei siti internet istituzionali, si legge che «il compito del Fondo è di conservare le chiese aperte al culto pubblico, affidandole in uso all’autorità religiosa, e di assicurare il restauro e la conservazione degli edifici stessi e delle opere d’arte in essi custodite». È una felice espressione di Stato a servizio dei cittadini per il bene comune. È un fine nobile e pure strategico nel Paese col maggiore patrimonio artistico e culturale del mondo, se opportunamente valorizzato.
Corrado Sedda d.O.
Riferimenti bibliografici:
Angela Pellicciari, Risorgimento anticattolico, Fede&Cultura, 2018
Angela Pellicciari, Risorgimento ed Europa, Fede&Cultura, 2008
Bruno Lima, Due Sicilie 1860. L’invasione, Fede&Cultura, 2013
Antonio Ciano, I Savoia e il massacro del sud, Ed. Ali Ribelli