Passeggiando per le vie del centro di Palermo, e più precisamente all’Albergheria, facendo lo slalom tra una munnizza ed un’incuria di cui ci lamentiamo da sempre ma di cui probabilmente non ci libereremo mai (non solo nel centro storico), è possibile imbattersi in una curiosa lapide marmorea, incastonata sulla facciata laterale sinistra della chiesa di San Francesco Saverio.
Qui si legge, in un perfetto italiano settecentesco, che si fa divieto ai cittadini di gettare rifiuti nei pressi della suddetta chiesa.
Questo testimonia che il problema della “munnizza” è tutt’altro che recente, come d’altronde è stato testimoniato da viaggiatori illustri come Goethe, nel 1787.
Ecco cosa prevedeva la legge dell’epoca.
La lapide di San Francesco Saverio all’Albergheria
La lapide marmorea di cui stiamo parlando, è addirittura precedente all’arrivo del noto letterato tedesco. Risale al 1760, anno in cui venne promulgato un bando che vietava ai cittadini di gettare a terra, sporcizia e altri rifiuti per la strada, soprattutto in prossimità di alcuni luoghi, questo caso la zona circostante alla “venerabile Chiesa di San Francesco Saverio”.
Oltre a ricordare ai cittadini l’esistenza del divieto, la lapide precisa anche la pena destinata ai contravventori, ovvero una multa di cinque onze o addirittura la reclusione fino a un anno per i cittadini “inabili”, presumendo comunque che si trattasse di un’inabilità di natura economica piuttosto che fisica, quindi in parole povere, chi non fosse stato in grado di pagare la multa.
Un’ulteriore curiosità consiste invece nel fatto che fosse prevista una lauta ricompensa per chiunque facesse la spia, denunciando l’abbandono di rifiuti alle autorità competenti.
Il delatore (o rivelante, come scritto nella lapide) aveva diritto ad un terzo della multa pagata, i restanti due terzi invece andavano nelle casse della Deputazione delle strade, l’ente amministrativo che aveva il compito di mantenere la funzionalità ed il decoro delle vie cittadine.
Palermo d’altronde non era nuova a questo genere di bandi, che promettevano una ricompensa in cambio di una buona “soffiata”. Già nel 1737 un discutibile provvedimento, anche noto come il “Bando delle Teste”, prevedeva che un bandito potesse ricevere il condono delle sue pene, se avesse fatto catturare un criminale “peggiore” di lui.
Quali furono le conseguenze di questo provvedimento contro la “munnizza”?
Ovviamente è facile immaginare gli effetti che un tale bando ebbe sulla società dell’epoca. Se è vero che l’iniziativa fosse stata attuata in buona fede ed in risposta ad un problema gravoso per la nostra città (e ancora oggi lo sappiamo bene), è anche vero che la promessa di un premio in denaro causò una moltitudine di false denunce, controverse e faide che sfociarono inevitabilmente in evidenti ingiustizie, vista la facilità con la quale era possibile formulare delle accuse fittizie al solo fine di intascare una lauta ricompensa.
Ma funzionò il provvedimento?
Non sappiamo se nell’immediato Palermo risultò meno sporca, sappiamo di certo che la ripulitura (se mai ci fu) non durò a lungo, visto che già qualche anno dopo, le cronache riportano cumuli di immondizie gettati impunemente per le strade. Evidentemente a prescindere dai provvedimenti delle varie amministrazioni, antiche e moderne, dovrebbero essere i cittadini i primi ad innescare il cambiamento.
La domanda è: ci libereremo mai del problema?
Fonti: R. La Duca – La città perduta (I serie) – Napoli 1975 – Edizioni Scientifiche Italiane