Via Garibaldi

    “I nomi delle strade sono come titoli dei capitoli della storia di una città, e vanno perciò rispettati quali monumenti storici e salvaguardati a prescindere dal gusto artistico dominante”

    Via Garibaldidalla via Milano e dal corso dei Mille alla piazza Rivoluzione.

    Si chiamava prima ‘via del palazzo Ajutamicristo‘, (ingresso civ. 41) per il magnifico edificio, costruito negli anni 1490-98 dall’architetto Matteo Carnalivari per conto di Guglielmo Ajutamicristo, barone di Misilmeri. Nel corso degli anni ospitò personalità di rilievo quali la regina Giovanna di Napoli nel 1500, l’imperatore Carlo V nel 1535 (una lapide ricorda l’evento), Don Giovanni d’Austria nel 1571. Nel1558 divenne proprietà dei Moncada, principi di Paternò, che vi accolsero l’Accademia  dei Cavalievi, istituita nel 1567 dal vicerè don Garcia di Toledo, e l’Accademia letteraria degli Accesi, fondata l’anno successivo dal nuovo viceré Francesco Avalos, marchese di Pescara.

    Altri nobili palazzi si ergono nella via: il palazzo Monterosato ( dove abitò il filosofo Tommaso Natale) al civ. 26; il Palazzo Burgio di Villafiorita al civ 44; il palazzo Naselli Flores al civ. 84. Numerose anche le lapidi commemorative di grandi eventi dell atsoria siciliana.
    Mutato nome in ‘strada di Porta di Termini’, per l’esistenza dell’omonima porta (documentata dal 1117, ricostruita nel 1328, inglobata in un baluardo nel secolo XVI, abbellita nel 1724, ed, infine, demolita nel 1852), la via fu definitivamente intitolata all’Eroe dei due mondi, dopo il suo vittorioso ingresso in città, il 27 maggio 1860.
    Rivoluzionario, idealista, grande condottiero, capo popolare e guida morale Giuseppe Garibaldi nacque a Nizza il 4 Luglio 1807 e morì nell’isola di Caprera il 2 giugno 1882.
    Nel marzo del 1882, già prossimo alla fine, volle venire a Palermo e partecipare alle cerimonie celebrative del 6° centenario del Vespro Siciliano. Commovente, in tale circostanza, il suo saluto ai ‘picciotti’, letto con voce malferma ma profonda:
    Miei carissimi picciotti, credete forse che io vi abbia dimenticato? Come potrei dimenticare i miei fratelli d’armi che tanto valorosamente cooperarono alla liberazione di questa bella ed illustre capitale? Io mi ricordo che coi poveri vostri fucili – ma col cuore di leoni- voi caricavate i borbonici e li fugavate. I Mille pure vi ricordano come coraggiosi compagni in tutte le battaglie della Patria e vanno superbi nel rammentarvi. 
    Addio. Io vi mando un saluto dal cuore e sono per la vita. Vostro G. Garibaldi“.

     

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