L’amicizia declinata con il linguaggio del palermitano

Sono arcinoti i rapporti di profonda intimità che i palermitani nutrono per i propri conterranei, tanto che il concetto di amicizia si può declinare in tanti modi diversi: “Amicu mia“, “Cuscì” e “Me frè” sono tra i più comuni.
In via generica si definisce “Amicu mia” una persona che hai conosciuto o incontrato accidentalmente e che, se appartiene ad un ceto o una professione superiore o pari alla nostra, ci può sempre servire, o per vantarne il rapporto o per estorcere un favore.
Cuscì” non è tuo cugino, anche se gli estranei adulti spesso vengono chiamati “zio“.  Cuscì è una persona che magari abita nel nostro quartiere o condivide il nostro lavoro e con cui c’è una certa familiarità dovuta all’appartenenza.
Con il termine di “Me frè” il rapporto diventa più intimo e simbiotico, ma non parliamo di questioni legate alla consanguineità. Molto spesso si tratta di amici che condividono molto tempo o di colleghi di lavoro con cui si crea una certa affinità.
Ma vediamo come il palermitano tipo sfrutta queste figure, partendo dall’esperienza maturata all’interno di una portineria di un ospedale che – è bene chiarirlo – potrebbe essere la portineria di un municipio, di un Comune, di un assessorato o di un’azienda pubblica.
A proposito del famoso “Amicu miu” non posso scordare un pomeriggio di qualche anno fa, quando un signore dall’aria “toca” e la classica “annacata” tipica di chi pensa (o crede) che le porte di un ufficio si debbano aprire come le acque del Mar Rosso di biblica memoria. Si presenta: “Sono il signor Montante (e già vedevo fiumi di panna) amico del dott. Cimiciolla (nomi di fantasia, naturalmente)”.
Faccio il numero interno del medico di guardia, enuncio il nome dell’avventore e la presunta amicizia che li lega e mi sento rispondere: “Ma cu minchia è!?
Ecco questo è il tipico esempio di palermitano che per avere conosciuto o incontrato accidentalmente qualcuno che possa “servire” crede di avere trovato un motivo valido per riempirsi di sé e millantare amicizie eccellenti.
Passiamo a “Me cusci”. Anche questa tipologia di amicizia, che in realtà molto spesso nemmeno è conoscenza, si suole sfruttarla per scavalcare turni o per accedere fuori orario. Si presentano in portineria e subito usano la parola fatale, il chiavistello che apre tutte le porte. “Cusci”, pozzu acchianari? Sugnu….mi manna…appartegnu…..
I “me frè” non hanno bisogno di presentarsi o entrare perché già sono lì. Colleghi affiatati che condividono caffè, sigarette e passione per il calcio, con tanto di foto del Palermo. Cercano di condividere quasi sempre lo stesso turno perchè l’amicizia che li lega è molto forte.

Naturalmente ognuno a Palermo si arrangia e, considerati i servizi che vengono offerti ai cittadini comuni e i grandi favori offerti alla gente che “conta”, la ricerca di scorciatoie alternative è la prassi.
È bene puntualizzare che per scavalcare un turno o per ricevere favori o privilegi non bisogna necessariamente fare parte di queste tre categorie: basta presentarsi come il dottor tal dei tali, essere amico di tal medico, pagare per un ricovero in intramoenia ed ecco che la vita è facilitata.
Ognuno s’arrangia come può ed è inutile stigmatizzare il comportamento di una certa fascia sociale che magari userà mezzi rozzi e meno nobili per ottenere gli stessi obiettivi che altri ottengono attraverso titoli, amicizie altolocate o parcelle onerose.
Il palermitano è così, magari lo senti parlare a gran voce per stigmatizzare un comportamento scorretto e poi servirsi dello stesso favore di cui ha beneficiato l’altro che riprendeva con la classica aria di moralizzatore.

Giuseppe Compagno

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.